“Israele vuole deportarmi dalla mia città natale”

E.I. di Salah Hamouri. Attualmente sono a rischio di espulsione da parte di Israele dalla mia città natale, Gerusalemme, dove sono nato da padre palestinese di Gerusalemme e madre francese e dove ho vissuto tutta la mia vita. Mia moglie, Elsa Lefort, è cittadina francese. È stata deportata da Israele nel 2016 mentre aspettavamo il nostro primo figlio. Per quattro anni sono stata separato da mia moglie e da mio figlio.

Le nostre vite sono state completamente sconvolte a causa delle politiche israeliane e delle continue false accuse e diffamazioni intese a screditare la mia reputazione e lavorare come difensore dei diritti umani.

Di recente, le autorità israeliane hanno intensificato il loro attacco contro di me. Il 3 settembre, mi è stato infatti comunicato che il ministro degli Interni israeliano intende revocare il mio status di residente permanente nella città di Gerusalemme, sostenendo che avrei “violato la lealtà” nei confronti dello Stato di Israele.

Israele sta gettando contro di me il peso dell’occupazione, come fa anche con innumerevoli altri palestinesi. E non per la prima volta.

Quando avevo 16 anni, sono stato arrestato e detenuto per cinque mesi per aver partecipato alle attività studentesche durante la seconda Intifada. Nel 2004 sono stato nuovamente arrestato e ho trascorso altri cinque mesi in stato di detenzione senza accusa né processo.

Nel 2005, sono stato imprigionato per aver pianificato un presunto attacco contro Ovadia Yosef, il defunto padrino spirituale e fondatore del partito ultra-ortodosso Shas. Ho negato le accuse contro di me e ho scontato la maggior parte di una condanna a sette anni. Sono stato poi rilasciato nel 2011 come parte di un accordo di scambio di prigionieri.

Il ministro degli Interni israeliano Aryeh Deri è l’attuale leader del partito Shas.

Trasferimento della popolazione.

Dopo aver sperimentato in tenera età l’oppressione e la brutalità dell’occupazione israeliana, ho deciso di diventare un palese e appassionato difensore dei diritti umani. Nel tentativo di riprendere in mano le redini della mia vita dopo diversi anni di prigione, mi sono iscritto all’università, mi sono laureato in giurisprudenza e sono subito entrato a far parte di un programma sui diritti umani per il mio master. Fu in quel periodo che conobbi Elsa.

Nel 2015, Elsa e io abbiamo deciso di andare in Francia per far visita alla sua famiglia prima della nascita di nostro figlio. Al ritorno di Elsa il 5 gennaio 2016, è stata detenuta all’aeroporto Ben Gurion per ben due giorni e alla fine le è stato negato l’ingresso. Elsa aveva un visto di un anno ricevuto grazie al suo lavoro presso il Consolato francese a Gerusalemme e all’epoca era incinta di sette mesi. Nonostante ciò, è stata trattenuta in aeroporto da sola, le è stato negato il contatto con qualsiasi altra persona, non ha ricevuto cure mediche ed è stata poi rimpatriata in Francia. L’obiettivo di Israele era quello di negare a nostro figlio il diritto di nascere a Gerusalemme e mantenere lo status di residenza a Gerusalemme.

L’esperienza della mia famiglia non è unica e il mio caso non è che un esempio della pratica sistematica di Israele di trasferimento della popolazione e manipolazione demografica in Palestina, in particolare a Gerusalemme.

Dal 2018, a seguito delle modifiche apportate alla legge sull’ingresso in Israele, il ministro degli Interni israeliano è stato autorizzato a revocare la residenza dei palestinesi a Gerusalemme per “violazione della lealtà a Israele”. Il concetto stesso è ridicolo: come ci si può aspettare che una popolazione brutalmente soggiogata e colonizzata giuri fedeltà al suo occupante?

L’emendamento e una serie di altre politiche israeliane sono contrari al diritto internazionale umanitario e cercano di accelerare l’allontanamento dei palestinesi da Gerusalemme. Israele ha impiegato svariate strategie per imporre un rapporto di 30:70 tra palestinesi ed ebrei israeliani nella città. Dal 1967, ha revocato la residenza a più di 14.500 palestinesi da Gerusalemme e altri migliaia devono affrontare sfide quotidiane per conservare la loro residenza e la loro esistenza in città.

Inazione.

Ci sono state alcune denunce internazionali della politica israeliana di revoca della residenza sulla base di “violazione della lealtà”, compreso il mio caso. La Francia ha risposto all’annuncio di Israele che revocherà la mia residenza dichiarando che “dovrei essere in grado di condurre una vita normale a Gerusalemme” insieme a mia moglie e mio figlio.

Israele ha già revocato in modo punitivo i diritti di soggiorno a più di 13 palestinesi di Gerusalemme; questi includono tre membri eletti del Consiglio legislativo palestinese e l’ex ministro degli Affari di Gerusalemme dell’Autorità palestinese. L’elenco continuerà a crescere a meno che la condanna internazionale non sia accompagnata da azioni concrete di fronte alle continue violazioni israeliane dei diritti dei palestinesi.

Gerusalemme è la mia casa. Elsa e io avevamo sperato di stabilire una vita insieme qui, come una famiglia, e questo ci viene negato. Qualunque cosa decida il ministro degli Interni israeliano, io e la mia famiglia resteremo impegnati a perseguire la giustizia e a costruire una vita familiare con dignità e pace in Palestina.

Salah Hammouri è un avvocato del gruppo per i diritti umani Addameer ed è attualmente iscritto a un corso di laurea magistrale sui diritti umani presso l’Università Al-Quds.

(Nella foto: Salah Hammouri ed Elsa Lefort a Lifta, un villaggio palestinese vicino a Gerusalemme che è stato spopolato dalle forze sioniste nel 1948. Fotografia per gentile concessione di Salah Hammouri).

Traduzione per InfoPal di Rachele Manna