Israele vuole “salvare le anime” degli israeliani privando i palestinesi delle loro case

Palestinians inspect the rubble of of their house that were demolished by the Israeli bulldozers, in the village of Qabatiya south of Jenin, on April 4, 2016. The three Palestinians to whom the houses belonged were shot dead in Jerusalem at the beginning of February after killing an Israeli police officer and wounding another in an armed attack outside Damascus Gate in Jerusalem's Old City. Photo by Nedal Eshtayah EI. Meno di due settimane dopo che la Corte suprema israeliana ha sollevato un’ingiunzione sulle demolizioni punitive delle abitazioni, ruspe israeliane sono arrivate lunedì mattina 4 aprile, a Qabatiya, nella Cisgiordania occupata, e hanno raso al suolo tre case.

EI. Meno di due settimane dopo che la Corte suprema israeliana ha sollevato un’ingiunzione sulle demolizioni punitive delle abitazioni, ruspe israeliane sono arrivate lunedì mattina 4 aprile, a Qabatiya, nella Cisgiordania occupata, e hanno raso al suolo tre case.

Le abitazioni appartenevano ai familiari di un giovane accusato di un attentato alla porta di Damasco, nella Gerusalemme occupata, ai primi di febbraio, che ha causato la morte di un ufficiale di frontiera israeliano.
Altri tre giovani sono stati feriti a morte sul luogo dell’incidente.
Alla fine di lunedì, 20 persone sono rimaste senza casa a Qabatiya.
Dallo scorso ottobre non è passato un mese che l’esercito israeliano non abbia fatto uso del Regolamento 119, disposizione risalente al mandato britannico che legittima la facoltà di demolire l’abitazione di un presunto aggressore palestinese per scopi di deterrenza.
Complessivamente 21 abitazioni sono state demolite in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, negli ultimi sei mesi. In aggiunta 36 appartamenti e case vicine sono state danneggiate nell’operazione.
In ogni caso l’organizzazione per i diritti umani HaMoked ha presentato una petizione a nome delle famiglie coinvolte, chiedendo all’Alta Corte Israeliana di fermare le demolizioni.
HaMoked sostiene che tale pratica costituisce una punizione alla collettività e che viola le leggi del diritto internazionale.
La Quarta Convenzione di Ginevra proibisce ad una potenza occupante di demolire la proprietà privata “eccetto nei casi in cui tali demolizioni siano rese assolutamente necessarie da operazioni militari”.
Fino a giovedì la Corte aveva respinto ogni istanza, mantenendo la sua vecchia disposizione.
Nella sua decisione riguardo le demolizioni di Qabatiya il vice presidente della Corte, Eyakim Rubinstein, ha scritto che prove segrete elaborate da agenzie per la sicurezza israeliane supportano la tesi secondo la quale le demolizioni servano da deterrente.
“Non abbiamo affatto piacere in questi casi”, ha scritto Rubinstein, “ma la necessità non può essere negata e noi sediamo tra la nostra gente e tutto ciò che può provocare loro dolore, ed è nostro dovere fare quanto è in nostro potere per salvare più anime possibili”.
“Dovrebbe essere ripetuto con la dovuta enfasi: l’uso del Regolamento 119 per la vendita e la demolizione delle abitazioni dei terroristi è per scopi di deterrenza, non di punizione”, ha aggiunto Rubinstein.
Tuttavia, le demolizioni non sono mai rivolte contro i familiari degli ebrei israeliani che conducono atti di violenza contro i palestinesi, nonostante la tendenza di tali attentati sia aumentata negli ultimi anni.
Le demolizioni delle abitazioni a scopi punitivi sono state condannate da Amnesty International e Human Rights Watch come punizioni rivolte anche alla collettività.
Più di dieci anni fa, una commissione militare aveva stabilito che le demolizioni punitive erano indirizzate all’opposto della deterrenza, scopo solo apparente.
I palestinesi vittime di tali pratiche vendicative affermano che le demolizioni non fanno altro che cementare la loro determinazione contro l’occupazione israeliana.
Salim Joubran è l’unico giudice arabo dell’Alta Corte Israeliana ad aver espresso il proprio dissenso per tali leggi.
“Il materiale presentatoci non era soddisfacente per concludere che l’uso di multe e demolizioni costituisca un metodo reale ed effettivo di deterrenza per l’esecuzione degli attacchi”, ha scritto.
Joubran è uno dei circa quattro giudici che ha mostrato riserve sulla pratica negli ultimi sei mesi.
Un vero cambiamento?
Il 31 marzo, una giunta di tre giudici ha accolto la petizione di una famiglia affinché venisse fermata la demolizione della loro casa, ordinata dopo che il loro figlio di 21 anni Abd al-Aziz Meri è stato accusato di essere implicato nell’uccisione di un soldato e di un civile lo scorso ottobre. I giudici Menachem Mazuz e Anat Baron hanno rifiutato di accogliere l’ordine di demolizione sulla base del fatto che la prima residenza di Meri non era la casa familiare. Il ragazzo infatti aveva vissuto per tre anni in un alloggio per studenti.
Baron, l’ultimo giudice a mettere in dubbio l’efficacia della pratica, ha basato la sua argomentazione sul fatto che le autorità di occupazione non abbiano menzionato che la famiglia fosse a conoscenza delle intenzioni del ragazzo – e che quindi non possa essere accusata di “aver fatto finta di nulla”.
Un editoriale di Haaretz ha annunciato questa decisione come “punto di svolta” della Corte Suprema, che limita l’uso di una politica “draconiana”.
Ma lo stesso giorno la corte ha respinto la petizione di HaMoked su richiesta di una giunta di sei giudici che hanno chiesto la revisione della sentenza.
In un altro caso, lo scorso mese, dei giudici hanno preso in esame una petizione contro la demolizione della casa di un ragazzo di 15 anni accusato di aver condotto un attentato contro un gruppo di coloni nelle colline a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata, un’area di intensa colonizzazione, dove molti villaggi palestinesi sono stati completamente distrutti da Israele.
In quel caso Baron era a favore della demolizione della casa, sostenendo che i genitori debbano essere ritenuti responsabili per le azioni dei figli, in modo da tenerli meglio sotto controllo.
(Didascalia foto. Bambini palestinesi siedono sulle rovine della loro casa, che insieme ad altre due è stata distrutta dalle forze di occupazione israeliana nel villaggio di Qabatiya, in Cisgiordania, il 4 aprile, come politica punitiva dei familiari dei palestinesi accusati di terrorismo. Nedal Eshtayah/APA images).
Traduzione di Marta Bettenzoli