
The Newarab. La recensione del film Israelism svela come i giovani ebrei americani stiano rivedendo il loro sostegno a Israele, mentre sono sempre più disponibili ad affrontano le critiche pur di parlare a favore dei diritti dei palestinesi.
“La nostra comunità non ebraica fatica a comprendere la nostra fissazione e ossessione profondamente radicata nei confronti di Israele”, sottolinea l’avvocato americano di destra Abe Foxman all’inizio del nuovo documentario Israelism, molto realistico sulla situazione attuale.
Attraverso l’obiettivo di due giovani ebrei americani, il film offre un ottimo approfondimento sulla loro disillusione nel rendersi conto che Israele non è l’idealizzata “Disneyland ebraica” che una volta immaginavano.
Foxman, una figura di spicco in quanto capo dell’influente organizzazione ebraica americana Anti-Defamation League, appare costantemente nel documentario per descrivere il formidabile e storico sostegno degli ebrei americani a Israele.
“Penso che il nostro film aiuti a spiegare alcuni dei fenomeni [a cui stiamo assistendo] riguardo al fatto che tutto ciò che critica Israele, anche se fatto da ebrei, viene definito antisemita”.
Israelism rivela l’intenso legame tra gli ebrei americani e Israele, da una parte, e la crescente frattura generazionale su questo argomento dall’altra.
In effetti, Israelism si addentra in acque praticamente inesplorate e svela il legame tra Israele e l’“ebraicità” e, soprattutto, perché la critica al primo viene spesso confusa con la critica al secondo.
Ad aprile, il documentario statunitense è arrivato anche nel Regno Unito, proprio al momento opportuno, ossia mentre il governo britannico definiva le manifestazioni filo-palestinesi “marce dell’odio”, e mentre coloro che criticavano il governo israeliano continuvano ad essere erroneamente etichettati come antisemiti.
La brutalità della guerra di Israele a Gaza, giunta al suo nono mese, indica che la questione Israele-Palestina rimane in vetta alle agende politiche e al dibattito pubblico.
A dispetto dei governi occidentali, la società civile è stata impegnata in manifestazioni di massa che hanno continuato a chiedere incessantemente la fine dello spargimento di sangue, dell’occupazione e del sostegno incondizionato a Israele.
“Penso che vi sia un tentativo molto pericoloso di legare Israele all’identità ebraica americana e all’ebraismo più in generale, che fa sì che alcuni ebrei americani abbiano la sensazione che se critichi Israele, stai criticando loro – il che è ben lontano dalla verità”, afferma la co-regista di Israelism, Erin Axelman.
Axelman, 34 anni, ha incontrato The New Arab al cinema Genesis, punto di riferimento nella zona est di Londra, durante la prima proiezione della tappa britannica di un tour europeo.
La co-regista ha parlato di come la guerra abbia scatenato una nuova ondata di attivismo filo-palestinese. Inoltre, Axelman ha analizzato il motivo per cui la questione israelo-palestinese rimane un argomento così controverso ed appassionante per l’opinione pubblica.
Sebbene le proiezioni negli Stati Uniti abbiano contribuito ad aprire gli occhi a molti, più recentemente, nelle città europee di Marsiglia, Malmö, Copenaghen e Roma, il doumentario ha incontrato qualche resistenza.
In Germania, cinque richieste di proiezione sono state rifiutate, ha detto Axelman, nonostante si trattasse di eventi organizzati da gruppi ebraici.
Aumento di interesse dall’inizio della guerra.
Israelism, realizzato da Axelman e dal co-direttore Sam Eilertsen, ha visto un notevole aumento di interesse a partire dal 7 ottobre.
Axelman afferma che il film aiuta ad affrontare tutti i pregiudizi e funge da strumento per coloro che cercano di comprendere la multiforme connessione tra Stati Uniti e Israele a livello sociale, educativo, commerciale, culturale e politico.
“Penso che il film aiuti a spiegare il fenomeno a cui stiamo assistendo secondo il quale qualsiasi cosa critichi Israele, anche se fatta da ebrei, viene considerata antisemita”, hanno aggiunto.
“Così come il vasto movimento degli ebrei della diaspora che affermano con orgoglio ‘Non in nostro nome… Siamo inorriditi da ciò che sta facendo Israele’”, continua Axelman.
La recente ondata di sostegno alla Palestina nei campus universitari statunitensi, con manifestazioni di massa e accampamenti organizzati dai comitati studenteschi di solidarietà con la Palestina assieme ai gruppi ebraici, dimostra il crescente divario generazionale sull’argomento toccato nel film Israelism.
“Era una terra senza popolo per un popolo senza terra”.
Axelman spiega come il documentario si basi sulla loro esperienza personale: cresciuti nello stato nord-orientale del Maine imparando ad amare incondizionatamente Israele, idolatrando l’esercito israeliano e poi, più tardi, iniziando a scoprire i palestinesi “oltre confine”.
“In realtà è una storia ebraica terribilmente comune”, osserva Axelman, riferendosi alla loro esperienza giovanile, “quella di imparare una versione molto idealizzata e rimaneggiata della storia israeliana”.
La tradizionale narrativa filo-israeliana con la quale sono cresciuti molti ebrei americani cancella la storia dei palestinesi o li tratta come “inferiori”, spiega Axelman.
Ma oggi sempre più giovani cominciano a rendersi conto di ciò che anni di scuola, viaggi religiosi in Israele e familiari li hanno messi al riparo.
Questa rivelazione è al centro di Israelism, e delinea i profili di Simone Zimmerman ed Eitan (del quale non sappiamo il cognome).
Simone ha frequentato una scuola ebraica, visita e vive in Israele grazie ad un programma di scambio, ed Eitan si arruola nell’esercito israeliano dopo aver terminato la scuola e aver trascorso, da adolescente, le vacanze nei campi giovanili in Israele.
Avventurarsi “oltre confine”, verso la Cisgiordania.
Entrambe le narrazioni sono sorprendenti. Lo spettatore segue l’ingenuità di Simone come studentessa all’Università della California, Berkeley. A un certo punto, scoppia in lacrime quando la sua università vota a favore del movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) nel 2013.
Più tardi, però, dopo un viaggio in Cisgiordania nonostante il parere contrario di familiari e amici, si trasforma in un’attivista pro-Palestina per la fine dell’occupazione e viene denunciata dalla comunità come “ebrea che odia se stessa”.
In Cisgiordania, Simone si ritrova ad essere testimone di eventi che contraddicono tutto ciò che le era stato insegnato.
Incontra due palestinesi, Baha Hilo e Sami Awad, le cui famiglie furono espulse durante la Nakba del 1948 quando centinaia di migliaia di palestinesi divennero rifugiati e i loro villaggi furono occupati dagli ebrei mentre si stava formando lo Stato di Israele.
La famiglia di Awad venne sfrattata dalla loro casa a Gerusalemme per far posto a una famiglia ebrea, mentre quella di Hilo fu espulsa dalla città di Yaffa, l’attuale Tel Aviv.
Critiche agli attivisti ebrei pro-Palestina.
Eitan, il soldato, diventa sempre più contrariato dal modo in cui gli è stato ordinato di trattare i palestinesi quando viene inviato in Cisgiordania, durante la sua prima missione ufficiale.
Ciò che Eitan rivela, come ad esempio il modo in cui l’esercito israeliano insegna ai cadetti a disumanizzare i palestinesi, è forse ancora più toccante alla luce delle numerose accuse di crimini di guerra che Israele sta affrontando per la sua guerra in corso a Gaza.
“Spesso essere un ebreo critico nei confronti di Israele all’inizio può farti sentire molto solo perché la narrativa tradizionale suggerisce che tutti gli ebrei della diaspora sostengono Israele”
Eitan considera “immorale” il periodo trascorso in Cisgiordania, mentre si trova a dover fare i conti con ciò di cui è stato testimone: soldati che picchiano i palestinesi solo per il gusto di farlo, mentre viene detto loro di scegliere a caso uomini e donne per le perquisizioni, allo scopo di diffondere la cultura del terrore.
Di ritorno negli Stati Uniti, Simone viene definita una “ebrea che odia se stessa” e una “minaccia per la comunità” quando inizia a difendere i diritti dei palestinesi e a criticare le politiche israeliane. Perde persino il lavoro per il politico socialista Bernie Sanders, come direttrice per la sensibilizzazione ebraica, dopo che Foxman ne ha chiesto il licenziamento.
La sua esperienza testimonia come la difesa dei diritti dei palestinesi e le critiche alle politiche del governo israeliano possano metterti davanti ad un feroce plotone d’esecuzione.
Axelman spera che il film non solo aiuti a spiegare perché storicamente c’è stato un sostegno filo-israeliano così incondizionato da parte della comunità ebraica, ma testimoni anche il crescente movimento di ebrei che si immedesimano e sostengono la libertà palestinese.
“Spesso essere una persona ebrea critica nei confronti di Israele può inizialmente far sentire molto soli perché la narrativa mainstream suggerisce che tutti gli ebrei della diaspora sostengono Israele”, dice Axelman.
“Ma la verità è ben lontana da ciò. Siamo estremamente divisi e incredibilmente polarizzati”.
Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi