JVP invita a boicottare i viaggi gratuiti ‘Birthright’ in Israele: non è un nostro diritto per nascita

Betlemme-Ma’an. L’organizzazione statunitense Jewish Voice for Peace (JVP) ha lanciato una campagna prendendo di mira Birthright Israel, un’organizzazione non profit che sponsorizza e dona ai giovani adulti ebrei un viaggio gratuito di dieci giorni in Israele, “il cui scopo è rafforzare l’identità ebraica, le comunità ebraiche e la relazione tra Israele e il suo popolo”, secondo quanto riportato dal sito web di Birthright.

JVP, che sostiene apertamente il movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele (BDS) e altri movimenti pro-Palestina, ha lanciato la campagna “#ReturnTheBirthright” nel suo sito, denunciando il programma milionario e affermando che “Israele non è un nostro diritto di nascita”.

“Mentre agli ebrei di tutto il mondo viene donato questo viaggio gratuito e per di più la cittadinanza automatica se scelgono di migrare in Israele, ai palestinesi è proibito ritornare nelle case e nei villaggi dove i loro antenati hanno vissuto per secoli”, ha affermato JVP.

Il gruppo ha denominato la Nakba, o “catastrofe”, avvenuta nel 1948 quando è stato istituito lo Stato d’Israele e le milizie sioniste hanno espulso più di 750 mila palestinesi dalle loro case e dai loro villaggi, “un atto di pulizia etnica”, rilevando che “quando i giovani ebrei sono portati dalle guide del Birthright a fare escursioni attraverso le foreste in Israele, qualche volta si imbattono ancora nei resti di questi distrutti villaggi palestinesi, ricoperti, spesso deliberatamente, dai progetti di riforestazione del Fondo Nazionale Ebraico”.

“Nel frattempo, milioni di questi palestinesi e dei loro discendenti continuano a vivere in campi profughi e da qualche altra parte nella diaspora globale palestinese, impotenti a ritornare nella loro patria, mentre quelli che rimangono nella regione storica della Palestina continuano ad affrontare una discriminazione, una cittadinanza di seconda classe nell’attuale Israele e una costante occupazione militare in Cisgiordania e a Gaza”, ha detto la JVP.

Il gruppo ha implorato i giovani ebrei tra i 18 e i 26 anni – quelli eleggibili per il programma Birthright – di sottoscrivere un impegno a non assumere “un ruolo attivo nell’aiutare lo stato a promuovere un ‘ritorno’ ebraico mentre si respinge il diritto al ritorno palestinese”.

“Lo stato moderno d’Israele si basa sulla continua cancellazione dei palestinesi”, ha affermato JVP, aggiungendo che il programma Birthright “è gratuito soltanto perché è stato pagato dall’espropriazione dei palestinesi. E poiché siamo contrari a ciò, noi ci impegniamo a promuovere il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi”.

“Non fare un viaggio sponsorizzato da finanziatori conservatori e dal governo israeliano, dove la continua oppressione e occupazione dei palestinesi ti verrà nascosta, soltanto perché è gratuito. Esistono altri modi per rafforzare la nostra identità ebraica, insieme a chi condivide i nostri valori. Israele non è un nostro diritto di nascita”, ha concluso JVP.

Oggi, 69 anni dopo la Nakba, più di 6 milioni di palestinesi, nel territorio palestinese occupato o nella diaspora, richiedono ancora l’attuazione del loro diritto, riconosciuto a livello internazionale, di ritornare nelle loro case e nei loro villaggi nell’odierna Israele, una ragione che è stata sancita dal diritto internazionale dopo l’adozione della Risoluzione 194 delle Nazioni Unite.

L’Ong palestinese per i diritti legali Badil stima che il 66% dei 13 milioni di palestinesi nel mondo oggi sono stati sfollati “almeno una volta nella loro vita, con numeri considerevoli che hanno subito ciò più di una volta”.

Nel frattempo, Visualizing Palestine, in occasione del giorno della Nakba, ha specificato con un grafico che il 77% dei precedenti villaggi e paesi palestinesi nell’attuale Israele non sono mai stati ricostruiti, confermando l’opinione che la deportazione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi è stata parte di un piano per la pulizia etnica dell’area anziché una lotta per il posto tra israeliani e palestinesi.

Traduzione di Daniela Caruso