KAIROS PALESTINE: ‘Abbiamo sentito il grido dei nostri figli’.

Un momento di verità
“In questo storico documento, noi Cristiani Palestinesi dichiariamo che l'occupazione militare della nostra terra è un peccato contro Dio e contro l'umanità. (…) Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme, abbiamo ascoltato il grido di speranza che i nostri figli hanno lanciato in questi tempi difficili che stiamo vivendo in questa Terra Santa”

Una parola di fede, speranza e amore dal cuore delle sofferenze dei palestinesi  

 

 

KAIROS PALESTINA 2009

Prima edizione

Abbiamo sentito il grido dei nostri figli

Noi, i Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme, abbiamo ascoltato il grido di speranza che i nostri figli hanno lanciato in questi tempi difficili che stiamo vivendo in questa Terra Santa.

Noi li sosteniamo e li supportiamo nella loro fede, la loro speranza, il loro amore e la loro visione per il futuro. Sosteniamo anche l'invito a tutti i nostri fedeli, nonché ai leader Israeliani e Palestinesi, alla Comunità internazionale e alle Chiese del mondo, al fine accelerare il conseguimento della giustizia, della pace e della riconciliazione in Terra Santa. Noi chiediamo a Dio di benedire tutti i nostri figli, dando loro più potere al fine di contribuire efficacemente nella creazione e nello sviluppo della loro comunità, rendendola una comunità d’amore, fiducia, giustizia e pace.

 

Sua Beatitudine Teofilo III, Greco-Ortodosso

Sua Beatitudine il Patriarca Fouad Twal, Chiesa Latina

Sua Beatitudine il Patriarca Torkom Manougian, Armeno Ortodosso

Reverendissimo Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa

Sua Eminenza Arcivescovo Dr. Anba Abraham, Copto

Sua Eminenza Arcivescovo Mar Swerios Malki Murad, Siro-Ortodosso

Sua Eminenza Arcivescovo Paul Nabil Sayah, Maronita

Sua Eminenza Arcivescovo Abba Mathaious, Etiope

Sua Eminenza Arcivescovo Joseph-Jules Zerey, Greco-Cattolico

Vescovo Gregor Peter Malki, Siro-Cattolico

Vescovo Munib A. Younan, Luterano

Vescovo Suheil Dawani, Anglicano

Vescovo Raphael Minassian, Armeno-cattolico

15 Dicembre 2009

 

 

Kairos Palestina

 

Questo documento è la parola dei Palestinesi Cristiani per il mondo, riguardo quanto sta accadendo in Palestina. È stato scritto in questo momento, quando abbiamo deciso di vedere la Gloria della grazia di Dio in questa terra e nelle sofferenze del suo popolo. Con questo spirito, il documento richiede alla comunità internazionale di sostenere il popolo Palestinese, che ha affrontato oppressione, spostamenti forzati, sofferenza e l'apartheid chiara per oltre sei decenni. La sofferenza continua, mentre la comunità internazionale guarda in silenzio lo Stato occupante, Israele. La nostra parola è un grido di speranza, con amore, la preghiera e la fede in Dio. Ci rivolgiamo prima di tutto a noi stessi e poi a tutte le Chiese ed i cristiani nel mondo, chiedendo loro di prendere posizione contro l'ingiustizia e l'apartheid, spingendoli a lavorare per una pace giusta nella nostra regione, chiedendo loro di rivedere teologie che giustificano i crimini perpetrati contro la nostra gente e l'espropriazione della terra.

In questo storico documento, noi Cristiani Palestinesi dichiariamo che l'occupazione militare della nostra terra è un peccato contro Dio e contro l'umanità, e che ogni teologia che legittima l'occupazione è ben lungi dagli insegnamenti cristiani, perché la vera teologia cristiana è una teologia di amore e di solidarietà con gli oppressi, un appello per la giustizia e l'uguaglianza tra i popoli.

Il presente documento non è apparso spontaneamente, e non è il risultato di una coincidenza. Non è uno studio teorico teologico o un documento politico, ma è piuttosto un documento di fede e di lavoro. La sua importanza deriva dalla sincera espressione delle preoccupazioni dei cittadini e la loro visione di questo momento storico che stiamo vivendo. Esso cerca di essere profetico per affrontare le cose come sono, senza equivoci e con audacia, in aggiunta si propone la fine dell'occupazione Israeliana della terra Palestinese e tutte le forme di discriminazione, come la soluzione che porterà ad una pace giusta e duratura con la creazione di uno Stato palestinese indipendente con Al-Quds come sua capitale. Il documento chiede anche che tutti i popoli, i leader politici e le persone con potere decisionale facciano pressioni su Israele e adottino misure legali per costringere il suo governo a porre fine all’oppressione e al disprezzo per il diritto internazionale. Il documento contiene inoltre una chiara posizione: la resistenza non violenta a questa ingiustizia è un diritto e un dovere per tutti i Palestinesi, compresi i Cristiani.

 

I promotori di questo documento hanno lavorato su di esso per più di un anno, nella preghiera e nella discussione, guidati dalla loro fede in Dio e dal loro amore per il loro popolo, accettando i consigli di molti amici: i Palestinesi, gli Arabi e quelli nel contesto della comunità internazionale più ampia. Siamo grati ai nostri amici per la loro solidarietà con noi.

Come Cristiani Palestinesi ci auguriamo che questo documento possa rappresentare il punto di svolta per concentrare gli sforzi di tutti i popoli amanti della pace nel mondo, in particolare le nostre sorelle ed i nostri fratelli Cristiani. Ci auguriamo inoltre che il documento venga accolto positivamente e riceva un forte sostegno, come è stato nel 1985 in Sud Africa per il documento Kairos che, a quel tempo, ha dimostrato di essere uno strumento nella lotta contro l'oppressione e l'occupazione. Noi crediamo che la liberazione dall'occupazione sia nell'interesse di tutti i popoli della regione, perché il problema non è solo politico, in questo caso vengono distrutti i diritti di esseri umani.

 

Noi preghiamo Dio di ispirare tutti noi, in particolare i nostri leader e gli uomini politici, perché trovino la via della giustizia e dell’uguaglianza, e perché si rendano conto che essa è l'unica via che conduce alla vera e propria pace che stiamo cercando.

 

Ringraziamo

• Sua Beatitudine il Patriarca Michel Sabbah

• Sua Eminenza Arcivescovo Atallah Hanna

• Rev. Dr. Jamal Khader

• Rev. Dr. Rafiq Khoury

• Rev. Dr. Mitri RAHEB

• Rev. Dr. Naim Ateek

• Rev. Dr. Yohana Katanacho

• Rev. Fadi Diab

• Dr. Jiries Khoury

• Signora Cedar Duaybis

• Signora Nora Kort

• Signora Lucy Thaljieh

• Signor Abu Nidal El Zuluf

• Signor Yusef Daher

• Signor Rifat Kassis – Coordinatore

 

Nota: è possibile rivedere l'elenco delle istituzione Cristiane Palestinesi e delle personalità che hanno firmato il documento e copie in altre lingue nel seguente sito web: www.kairospalestine.ps

Un momento di verità

 

Una parola di fede, di speranza e di amore dal cuore delle sofferenze dei Palestinesi

 

Introduzione

 

Noi, un gruppo di Palestinesi Cristiani, dopo preghiera, riflessione ed uno scambio di opinioni, gridiamo da dentro la sofferenza del nostro paese, sotto l'occupazione Israeliana, con un grido di speranza, in assenza di ogni speranza, un grido pieno di preghiera e di fede in un Dio sempre vigilante, nella divina provvidenza di Dio per tutti gli abitanti di questa terra. Ispirati dal mistero dell’amore di Dio per tutti, il mistero della presenza divina di Dio nella storia di tutte le genti e, in modo particolare, nella storia del nostro paese, noi proclamiamo la nostra parola sulla base della nostra fede Cristiana ed il nostro senso di appartenenza Palestinese – una parola di fede, di speranza e di amore.

 

Perché ora?

 

Perché oggi abbiamo raggiunto un punto morto nella tragedia del popolo Palestinese. I leader si accontentano di gestire la crisi piuttosto che impegnarsi per il grave compito di trovare un modo per risolverlo. I cuori dei fedeli sono pieni di dolore e di domande: Cosa sta facendo la comunità internazionale? Cosa stanno facendo i leader politici in Palestina, in Israele e nel mondo Arabo? Che cosa sta facendo la Chiesa? Il problema non è solo un problema politico. Si tratta di una politica in cui gli esseri umani vengono distrutti, e questo deve essere fonte di preoccupazione per la Chiesa.

 

Ci rivolgiamo ai nostri fratelli e sorelle, i membri delle nostre Chiese in questa terra. Ci appelliamo come Cristiani e come Palestinesi ai nostri leader religiosi e politici, alla nostra società Palestinese e alla società Israeliana, alla comunità internazionale, e ai nostri fratelli e sorelle Cristiani nelle Chiese di tutto il mondo.

 

1. La realtà sul campo

1.1

 

“Dicono: “Pace, pace”, mentre pace non c'è” (Ger. 6:14). In questi giorni, tutti parlano di pace in Medio Oriente e del processo di pace. Finora, tuttavia, queste sono solo parole, la realtà è fatta di occupazione Israeliana dei territori Palestinesi, la privazione della nostra libertà e tutto ciò che risulta da questa situazione:

 

1.1.1 Il muro di separazione eretto sul territorio Palestinese, una gran parte del quale è stato confiscato per questo scopo, ha trasformato le nostre città e villaggi in prigioni, separando gli uni dagli altri, rendendoli cantoni dispersi e divisi. Gaza, soprattutto dopo la crudele guerra che Israele ha lanciato contro di esso nei mesi di Dicembre 2008 e Gennaio 2009, continua a vivere in condizioni disumane, sotto blocco permanente e tagliata fuori dagli altri territori Palestinesi.

 

1.1.2 Insediamenti Israeliani devastano la nostra terra in nome di Dio e in nome della forza, controllando le nostre risorse naturali, compresa l'acqua ed i terreni agricoli, privandone così centinaia di migliaia di Palestinesi, costituendo un ostacolo a qualsiasi una soluzione politica.

 

1.1.3 La realtà è l'umiliazione quotidiana a cui siamo sottoposti ai posti di blocco militari, durante il nostro percorso verso i posti di lavoro, le scuole o gli ospedali.

1.1.4 La realtà è la separazione tra i membri della stessa famiglia, rendendo la vita familiare impossibile per migliaia di Palestinesi, in particolare quando uno dei coniugi non ha una carta d'identità Israeliana.

 

1.1.5 La libertà religiosa è fortemente limitata, la libertà di accesso ai luoghi santi è negata con il pretesto della sicurezza. Gerusalemme ed i suoi luoghi santi sono inaccessibili per molti Cristiani e Musulmani della Cisgiordania e della striscia di Gaza. Anche in Gerusalemme ci sono restrizioni durante le feste religiose. Ad alcuni del nostro clero Arabo è regolarmente vietato l'ingresso in Gerusalemme.

 

1.1.6 Anche i rifugiati sono parte della nostra realtà. La maggior parte di loro vivono ancora nei campi profughi in condizioni difficili. Erano in attesa dei loro diritti al ritorno, generazione dopo generazione. Quale sarà il loro destino?

 

1.1.7 E i prigionieri? Le migliaia di prigionieri che languono nelle carceri Israeliane fanno parte della nostra realtà. Gli Israeliani smuovono cielo e terra per ottenere la liberazione di un prigioniero, e quelle migliaia di prigionieri Palestinesi quando avranno la loro libertà?

 

1.1.8 Gerusalemme è il cuore della nostra realtà. Essa è, al tempo stesso, simbolo di pace e segno di conflitto. Mentre il muro di separazione divide i quartieri palestinesi, Gerusalemme continua ad essere svuotata dei suoi cittadini Palestinesi, Cristiani e Musulmani. Le loro carte d'identità vengono confiscate, il che significa la perdita del loro diritto di risiedere a Gerusalemme. Le loro case sono espropriate o demolite. Gerusalemme, città della riconciliazione, è diventata una città di discriminazione e di esclusione, una fonte di lotta piuttosto che di pace.

 

1.2 Inoltre parte di questa realtà è la violazione Israeliana del diritto internazionale e delle risoluzioni internazionali, così come la paralisi del mondo Arabo e della comunità internazionale di fronte a questo disprezzo. I diritti umani sono violati e, nonostante le varie relazioni delle organizzazioni locali e internazionali dei diritti umani, l'ingiustizia continua.

 

1.2.1 Palestinesi all'interno dello Stato di Israele, che hanno anche subito un’ingiustizia storica, anche se sono cittadini e hanno gli stessi diritti e doveri di cittadinanza, soffrono ancora di politiche discriminatorie. Anche loro sono in attesa di godere dei diritti e dell'uguaglianza, come tutti gli altri cittadini nello Stato.

 

1.3 L’emigrazione è un altro elemento nella nostra realtà. L'assenza di una visione o scintilla di speranza per la pace e la libertà spinge i giovani, Musulmani e Cristiani, ad emigrare. Così il territorio viene privato delle sue più importanti e più ricche risorse – i giovani istruiti. La contrazione del numero dei Cristiani, in particolare in Palestina, è una delle conseguenze pericolose di questo conflitto; della paralisi locale e internazionale; e dell’incapacità di trovare una soluzione globale al problema.

 

1.4 A fronte di questa realtà, Israele giustifica le sue azioni come auto-difesa, compresa l'occupazione, la punizione collettiva, e tutte le altre forme di rappresaglia contro i Palestinesi. A nostro parere questa visione è un rovesciamento della realtà. Sì, c'è la resistenza Palestinese all'occupazione. Tuttavia, se non ci fosse occupazione non ci sarebbe alcuna resistenza, nessuna paura e nessuna insicurezza. Questa è la nostra comprensione della situazione. Pertanto, chiediamo agli Israeliani di mettere fine all'occupazione. Allora vedranno un mondo nuovo in cui non c'è nessuna paura, nessuna minaccia, ma piuttosto la sicurezza, la giustizia e la pace.

 

1.5 La risposta Palestinese a questa realtà è stata diversa. Alcuni hanno risposto attraverso i negoziati: questa era la posizione ufficiale dell'Autorità Palestinese, ma non fece avanzare il processo di pace. Alcuni partiti politici hanno seguito la via della resistenza armata. Israele usò questo come pretesto per accusare i Palestinesi di essere terroristi e fu in grado di falsare la reale natura del conflitto, presentandolo come una guerra di Israele contro il terrorismo, piuttosto che come la legale resistenza Palestinese volta a porre fine all'occupazione Israeliana.

 

1.5.1 La tragedia è peggiorata con il conflitto interno tra i Palestinesi stessi, e con la separazione di Gaza dal resto del territorio Palestinese. È interessante notare che, anche se la divisione è tra i Palestinesi stessi, la comunità internazionale ha una importante responsabilità dal momento che ha rifiutato di affrontare la volontà che il popolo Palestinese ha espresso con il risultato delle elezioni democratiche e legali nel 2006.

 

Ancora una volta, ripetiamo e proclamiamo che la nostra parola Cristiana in mezzo a tutto questo, nel bel mezzo della nostra catastrofe, è una parola di fede, speranza e amore.

 

2. Una parola di fede

Noi crediamo in un solo Dio, un Dio buono e giusto

 

2.1 Noi crediamo in Dio,un solo Dio,Creatore dell’universo e dell’umanità. Noi crediamo in un Dio buono e giusto, che ama ognuna delle sue creature. Noi crediamo che ogni essere umano è creato ad immagine e somiglianza di Dio e che la dignità di ognuno deriva dalla dignità dell’Onnipotente. Noi crediamo che questa dignità è una e la stessa in ognuno di noi. Questo significa per noi, qui e ora, in questa terra in particolare, che Dio ci creò non perché potessimo impegnarci in lotte e conflitti, ma piuttosto perché potessimo conoscerci e amarci gli uni gli alti,e insieme costruire la terra con amore e reciproco rispetto.

 

2.1.1 Noi inoltre crediamo nella Parola eterna di Dio, il Suo unico Figlio, nostro Signore Gesù Cristo, che Dio ha mandato come Salvatore del mondo.

 

2.1.2 Noi crediamo nello Spirito Santo, che accompagna la Chiesa e tutta l’umanità nel suo viaggio. È lo Spirito Santo che ci aiuta a capire la Sacra Scrittura, il Vecchio e il Nuovo Testamento, mostrando la loro unità, qui e ora. Lo Spirito rende manifesta la rivelazione di Dio all’umanità, passato, presente e futuro.

 

Come capiamo la Parola di Dio?

2.2 Noi crediamo che Dio abbia parlato all’umanità, qui nel nostro paese:

 

“Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti , ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo” (Ebr 1:1-2)

 

2.2.1 Noi, Cristiani Palestinesi, crediamo, come tutti i Cristiani nel mondo, che Gesù Cristo è venuto per rispettare la Legge e i Profeti. Egli è l’Alpha e l’Omega, l’inizio e la fine , e nella sua luce e con la guida dello Spirito Santo leggiamo le Sacre Scritture. Noi meditiamo e interpretiamo la Scrittura proprio come fece Gesù Cristo con i due discepoli nel loro viaggio verso Emmaus. Come è scritto nel Vangelo secondo San Luca: “

 

E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.” (Lc 24:27)

2.2.2 Il nostro Signore Gesù Cristo venne, proclamando che il Regno di Dio era vicino. Egli provocò una rivoluzione nella vita e nella fede di tutta l’umanità. Egli venne con “un insegnamento nuovo” (Mc.1:27), gettando una nuova luce sull’Antico Testamento, sui temi che si riferiscono alla nostra fede Cristiana e alle nostre vite quotidiane, temi come le promesse, l’elezione, il popolo di Dio e la terra. Noi crediamo che la Parola di Dio sia una parola viva, che getta una luce particolare su ogni periodo della storia, manifestando ai credenti Cristiani cosa Dio ci sta dicendo qui e ora. Per questa ragione è inaccettabile trasformare la Parola di Dio in lettere di pietra, che corrompono l’amore di Dio e la Sua provvidenza nella vita dei popoli e degli individui. Questo è precisamente l’errore nell’interpretazione fondamentalistica della Bibbia, che ci porta morte e distruzione, quando la Parola di Dio è pietrificata e trasmessa di generazione in generazione come una lettera morta. Questa lettera morta è usata come un’arma nella nostra storia presente, per privarci dei nostri diritti e della nostra terra.

 

La nostra terra ha una missione universale

2.3 Noi crediamo che la nostra terra abbia una missione universale. In questa universalità, il significato delle promesse, della terra, dell’elezione, del popolo di Dio aperto a includere tutta l’umanità, partendo da tutte le genti di questa terra. Alla luce degli insegnamenti della Sacra Bibbia, la promessa della terra non è mai stato un programma politico,ma piuttosto il preludio a completare la salvezza universale. E’ stato l’inizio della realizzazione del Regno di Dio sulla terra.

 

2.3.1 Dio mandò i patriarchi, i profeti e gli apostoli in questa terra, così che potessero portare avanti una missione universale al mondo. Oggi noi costituiamo tre religioni in questa terra, Ebraismo, Cristianesimo e Islam. La nostra terra è la terra di Dio, come tutti i paesi del mondo. E’ santa in quanto Dio è presente in essa, perché Dio solo è santo e santificatore. E’ dovere di chi vive qui rispettare la volontà di Dio per questa terra. E’ nostro dovere liberarla dal male e dall’ingiustizia della guerra. E’ la terra di Dio e pertanto deve essere una terra di riconciliazione, pace e amore. Questo è sicuramente possibile. Dio ci ha messo qui come due popoli, e Dio ci ha dato la capacità, se vogliamo, di vivere insieme e stabilire giustizia e pace, facendone realmente la terra di Dio:

 

“Del Signore è la terra e quanto contiene: il mondo, con i suoi abitanti (Salmo 24:1).

2.3.2 La nostra presenza in questa terra, come Cristiani e Musulmani Palestinesi, non è accidentale ma piuttosto profondamente radicata nella storia e nella geografia di questa terra, risonante alla connessione di ogni altro popolo alla terra in cui vive. Fu un’ingiustizia quando siamo stati cacciati. L’ovest ha cercato di fare ammenda per quello che gli Ebrei avevano sopportato nei paesi europei, ma hanno fatto ammenda a nostro discapito e sulla nostra terra. Hanno cercato di correggere un’ingiustizia e il risultato è stata una nuova ingiustizia

 

2.3.3 Pertanto sappiamo che certi teologi nell’Ovest hanno cercato di attribuire una legittimità biblica e teologica all’infrazione dei nostri diritti. Perciò, le promesse, secondo la loro interpretazione, sono diventate una minaccia alla nostra stessa esistenza. La “buona novella” nel Vangelo stesso è diventata “precursore di morte” per noi. Chiamiamo questi teologi ad approfondire la loro riflessione sulla Parola di Dio e rettificare le loro interpretazioni così che possano vedere nella Parola di Dio una sorgente di vita per tutte le popolazioni.

 

2.3.4 La nostra connessione a questa terra è un diritto naturale. Non è solo una questione ideologica o teologica. E’ una questione di vita o di morte. Ci sono quelli che non sono d’accordo con noi, che ci definiscono magari nemici solo perché dichiariamo che vogliamo vivere come un popolo libero nella sua terra. Soffriamo per occupazione della nostra terra perché siamo Palestinesi. E come Cristiani Palestinesi soffriamo per l’errata interpretazione di alcuni teologi. Di fronte a questo, il nostro lavoro è salvaguardare la Parola di Dio come una sorgente di vita e non di morte, così che la “buona novella” rimanga quello che è, “buona novella” per noi e per tutti. Di fronte a quelli che usano la Bibbia per minacciare la nostra esistenza come Cristiani e Musulmani Palestinesi, noi rinnoviamo la nostra fede in Dio perché sappiamo che la Parola di Dio non può essere la fonte della nostre distruzione.

 

2.4 Pertanto, dichiariamo che qualsiasi uso della Bibbia per legittimare o supportare scelte e posizioni politiche che sono basate sull’ingiustizia, imposte da una persona o da un’altra, trasforma la religione in ideologia umana e spoglia la Parola di Dio della sua santità, universalità e verità.

 

2.5 Noi inoltre dichiariamo che l’occupazione Israeliana della terra Palestinese è un peccato contro Dio o l’umanità perché essa priva i Palestinesi dei loro diritti umani basilari, elargiti da Dio. Essa distorce l’immagine di Dio nell’Israeliano che è diventato un occupante, così come distorce questa immagine nei Palestinesi che vivono sotto l’occupazione. Dichiariamo che ogni teologia, apparentemente basata sulla Bibbia, o sulla fede, o sulla storia, che legittima l’occupazione, è lontana dagli insegnamenti Cristiani, perché chiama alla violenza e alla guerra santa in nome di Dio Onnipotente, subordinando Dio agli interessi umani temporanei, e distorcendo l’immagine divina negli esseri umani che vivono sia sotto ingiustizia politica che teologica.

 

3. Speranza

3.1 Nonostante la mancanza di anche un barlume di aspettativa positiva, la nostra speranza rimane forte. La situazione presente non promette alcuna rapida soluzione o la fine dell’occupazione che è imposta su di noi. Si, le iniziative, le conferenze, visite e negoziazioni si sono moltiplicate, ma non sono state seguite da alcun cambiamento nella nostra situazione e sofferenza. Anche la nuova posizione degli USA che è stata annunciata dal presidente Obama, con un manifesto desiderio di porre fine alla tragedia, non è stata capace di portare alcun cambiamento nella nostra realtà. La chiara risposta Israeliana, rifiutando ogni soluzione, non lascia spazio per aspettative positive. Nonostante questo, la nostra speranza rimane forte, perché viene da Dio. Dio solo è buono, onnipotente e amabile e la Sua bontà un giorno sarà vittoriosa sul male nel quale ci troviamo. Come disse San Paolo:

 

“Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?(…) Chi ci separerà dall’amore di Cristo?Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto, “Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno” (…) Io sono infatti persuaso che né vita, né morte, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio” (Rom. 8:31, 35, 36, 39).

 

Qual è il significato di speranza?

 

3.2 La speranza dentro di noi significa prima e principalmente la nostra fede in Dio e secondariamente la nostra aspettativa, nonostante tutto, per un futuro migliore. Terzo, significa non rincorrere illusioni – ci rendiamo conto che il rilascio non è a portata di mano. Speranza è la capacità di vedere Dio nel mezzo dei guai, e di essere collaboratori con lo Spirito Santo che dimora in noi. Da questa visione deriva la forza di essere costanti, rimanere saldi e lavorare per cambiare la realtà nella quale ci troviamo. Speranza significa non cadere nel male, ma piuttosto stare in piedi davanti ad esso e resistergli continuamente. Non vediamo nulla nel futuro, eccetto rovine e distruzione. Vediamo in alto la mano del più forte, l’orientamento crescente verso la separazione razzista e l’imposizione di leggi che negano la nostra esistenza e la nostra dignità. Vediamo confusione e divisione nella posizione Palestinese. Se, nonostante tutto, noi resistiamo a questa realtà oggi e lavoriamo duramente, forse la distruzione che si profila all’orizzonte non verrà sopra di noi.

 

Segni di speranza

3.3 La Chiesa nel nostro paese, i suoi capi e i suoi fedeli, nonostante la sua debolezza e le sue divisioni, mostrano certi segni di speranza. Le nostre comunità parrocchiali sono vibranti e la maggior parte dei nostri giovani sono apostoli attivi di giustizia e pace. In aggiunta agli impegni individuali, le nostre varie istituzioni Ecclesiastiche fanno attiva e presente la nostra fede in servizio, amore e preghiera.

 

3.3.1 Tra i segni di speranza ci sono i centri locali di teologia, con natura religiosa e sociale. Essi sono numerosi nelle nostre varie Chiese. Lo spirito ecumenico, anche se ancora esitante, si mostra sempre di più negli incontri delle nostre diverse famiglie di Chiesa.

 

3.3.2 Possiamo aggiungere a questo i numerosi incontri per dialogo inter-religioso, dialogo Cristiano-Musulmano, che include i capi religiosi e una parte della popolazione. Il dialogo è dichiaratamente un lungo processo ed è perfezionato attraverso un sforzo giornaliero, siccome siamo sottoposti alle stesse sofferenze ed abbiamo le stesse aspettative. C’è anche un dialogo tra le tre religioni, Ebraismo, Cristianità e Islam, nonché diversi incontri tra le associazioni a livello accademico o sociale. Tutti loro cercano di creare una breccia nei muri imposti dall’occupazione e si oppongono alla percezione distorta degli esseri umani nei cuori dei loro fratelli e sorelle.

 

3.3.3 Uno dei più importanti segni di speranza è la fermezza delle generazioni, la fiducia nella giustizia della loro causa e la continuità della memoria, che non dimentica la “Nakba” (catastrofe) e la sua importanza. Allo stesso modo significante è la consapevolezza che sta sviluppando in molte Chiese nel mondo e il loro desiderio di conoscere la verità su quello che succede qua.

 

3.3.4 In aggiunta a questo vediamo in molti la determinazione a superare i risentimenti del passato ed essere pronti alla riconciliazione una volta che la giustizia e stata ripristinata. La sensibilizzazione pubblica del bisogno di ripristinare i diritti politici dei Palestinesi sta crescendo, e le voci Ebraiche e Israeliane, in sostegno di pace e giustizia, stanno crescendo con l’approvazione della comunità internazionale. Vero, queste forze per la giustizia e la riconciliazione non sono

ancora state capaci di trasformare la situazione di ingiustizia, ma hanno la loro influenza e possono abbreviare i tempi di sofferenza e affrettare il tempo della riconciliazione.

 

La missione della Chiesa

3.4 La nostra Chiesa è una Chiesa di gente che serve e prega. Questa preghiera e servizio sono profetici, portando la voce di Dio nel presente e nel futuro. Tutto quello che accade nel nostro paese, ognuno che vive qui, tutte le paure e le speranze, tutta l’ingiustizia e tutti gli sforzi per fermare questa ingiustizia, sono parte della preghiera della nostra Chiesa e il servizio di tutte le sue istituzioni. Grazie a Dio la nostra Chiesa alza la voce contro l’ingiustizia, nonostante il fatto che alcuni desiderano stare in silenzio, chiusi nella loro devozione religiosa.

 

3.4.1 La missione della Chiesa è profetica, a proclamare la Parola di Dio coraggiosamente, onestamente e amorevolmente nel contesto locale e nel mezzo degli eventi quotidiani. Se lei tiene la parte di qualcuno, è con gli oppressi, sta al loro fianco, proprio come Cristo nostro Signore stava dalla parte di ogni persona povera e di ogni peccatore, chiamandoli al pentimento, vita e ripristino della dignità elargita ad essi da Dio e che nessuno ha il diritto di strappare.

 

3.4.2 La missione della Chiesa è di proclamare il Regno di Dio , un regno di giustizia, pace e dignità .La nostra vocazione, come Chiesa che vive, è di dare testimonianza della bontà di Dio e della dignità degli esseri umani. Siamo chiamati a pregare e a far sentire la nostra voce quando annunciamo una nuova società dove gli esseri umani credono nella propria dignità e nella dignità dei loro avversari.

3.4.3 La nostra Chiesa punta al Regno, che non può essere paragonato a nessun regno terreno. Gesù disse davanti a Pilato che era davvero un re ma “il mio regno non è di questo mondo” (Gv. 18:36). San Paolo dice: “Il regno di Dio infatti non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rom.14:17). Pertanto la religione non può favorire o sostenere alcun regime politico ingiusto, ma deve piuttosto promuovere giustizia, verità e dignità umana. Deve compiere ogni sforzo per purificare i regimi dove gli essere umani soffrono l’ingiustizia e la dignità umana è violata. Il Regno di Dio sulla terra non dipende da alcun orientamento politico, perché è più grande e completo di qualsiasi sistema politico.

 

3.4.4 Gesù Cristo disse: “Il Regno di Dio è in mezzo a voi” (Lc 17:21). Questo regno che è presente in mezzo a noi e in noi è l’estensione del mistero della salvezza. E’ la presenza di Dio tra noi e il nostro senso di quella presenza in qualunque cosa facciamo e diciamo. E’ in questa divina presenza che dobbiamo fare quello che possiamo affinché sia raggiunta la giustizia in questo paese.

 

3.4.5 Le crudeli circostanze in cui la Chiesa Palestinese ha vissuto e continua a vivere hanno richiesto alla Chiesa di chiarificare la sua fede e di identificare meglio la sua vocazione. Noi abbiamo studiato la nostra vocazione e siamo arrivati a capirla meglio nel mezzo della sofferenza e della paura: oggi, noi sosteniamo la forza dell’amore piuttosto che la vendetta, una cultura di vita piuttosto che una cultura di morte. Questa è una fonte di speranza per noi, per la Chiesa e per il mondo.

 

3.5 La Resurrezione è la fonte della nostra speranza. Proprio come Cristo sorse in vittoria sopra la morte e il male, così anche noi siamo capaci, come ogni abitante di questo paese, di vincere il male della guerra. Resteremo una Chiesa testimone, incrollabile e attiva nella terra della Resurrezione.

 

4. Amore

Il comandamento dell’ amore

 

4.1 Cristo nostro Signore disse: “Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 13:34). Egli ci ha già mostrato come amare e come trattare i nostri nemici. Egli disse: “Avete inteso che fu detto: ‘amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico.' Ma io vi dico, amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (…) Voi, dunque,

siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mat 5:45-47). Anche San Paolo disse: “Non rendete a nessuno male per male” (Rom. 12:17). E San Pietro disse: “Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria ma rispondete augurando il bene, a questo infatti siete chiamati da Dio”

(1 Pietro. 3:9).

 

Resistenza

 

4.2 Questa parola è chiara. L’amore é il comandamento di Cristo nostro Signore a noi e include sia gli amici che i nemici. Questo deve essere chiaro quando ci troviamo in circostanze dove dobbiamo contrastare mali di ogni genere.

 

4.2.1 Amare è vedere il volto di Dio in ogni essere umano. Ogni persona è mio fratello o mia sorella. Comunque, vedere il volto di Dio in ognuno non significa accettare male o aggressione da parte loro. Piuttosto, questo amore cerca di correggere il male e fermare l’aggressione.

L’aggressione contro il popolo Palestinese che è l’occupazione Israeliana, è un male che deve essere contrastato. E’ un male e un peccato che deve essere contrastato ed eliminato. Responsabilità primaria di questo spetta agli stessi Palestinesi che soffrono l’occupazione. L’amore Cristiano ci invita a contrastarla. Comunque, l’amore mette fine al male percorrendo le strade della giustizia. La responsabilità è anche della comunità internazionale, perché la legge internazionale oggi regola le relazioni tra i popoli. Infine la responsabilità è degli autori dell’ingiustizia; essi devono liberarsi dal male che è in loro e dell’ingiustizia che hanno imposto agli altri.

 

4.2.2 Quando rivediamo la storia delle nazioni, vediamo molte guerre e più resistenza di guerra in guerra, di violenza in violenza. Il popolo Palestinese è stato come gli altri popoli, specialmente nella prima fase della sua battaglia contro l’occupazione Israeliana. Comunque si è anche impegnato nella lotta pacifica, specialmente durante la prima Intifada. Riconosciamo che tutti i popoli devono trovare un nuovo modo di relazionarsi reciprocamente e la risoluzione ai loro conflitti. I modi della forza devono fare strada ai modi della giustizia. Questo vale principalmente per i popoli che sono militarmente forti, potenti abbastanza da imporre la loro ingiustizia sui deboli.

 

4.2.3 Diciamo che la nostra scelta come Cristiani di fronte all’occupazione Israeliana è di resistere. La resistenza è un diritto e un dovere per il Cristiano. Ma è resistenza con amore secondo la sua logica. E’ quindi una resistenza creativa che deve trovare modi umani che toccano l’umanità del nemico. Vedere l’immagine di Dio nel volto del nemico significa prendere posizione alla luce di questa visione di resistenza attiva per fermare l’ingiustizia ed obbligare l’autore a terminare la sua aggressione e così raggiungere lo scopo desiderato, che è riavere la terra, la libertà e l’indipendenza.

 

4.2.4 Cristo nostro Signore ci ha lasciato un esempio che deve essere imitato. Noi dobbiamo contrastare il male, ma egli ci insegna che non possiamo contrastare il male con il male. Questo è un difficile comandamento, particolarmente quando il nemico è determinato a imporsi e negare il nostro diritto di rimanere qui nella nostra terra. E’ un difficile comandamento, eppure solo questo ci può supportare fermamente di fronte alle chiare dichiarazioni delle autorità occupanti che rifiutano la nostra esistenza e le molte scuse che queste autorità usano per continuare a imporre l’occupazione su di noi.

 

4.2.5 La resistenza al male dell’occupazione è integrata, allora, con l’amore Cristiano che rifiuta il male e lo corregge. Esso contrasta il male in tutte le sue forme con metodi che entrano nella logica dell’amore e attingono a tutte le energie per fare pace. Possiamo resistere con la disobbedienza civile. Noi non resistiamo con la morte ma piuttosto con il rispetto della vita. Noi rispettiamo e abbiamo una grande stima per tutti quelli che hanno dato la vita per la nostra nazione. E affermiamo che ogni cittadino deve essere pronto a difendere la propria vita, libertà e terra.

 

4.2.6 Le organizzazioni civili Palestinesi, così come le organizzazioni internazionali, NGOs

e certe istituzioni religiose chiamano gli individui, le società e gli stati a impegnarsi nel disinvestire e in un boicottaggio economico e commerciale di ogni cosa prodotta dall’occupazione. Capiamo questo, per integrare la logica della resistenza pacifica. Queste campagne di sensibilizzazione devono essere portate avanti con coraggio, proclamando apertamente e sinceramente che il loro obiettivo non è la vendetta, ma piuttosto mettere fine al male esistente, liberando sia gli autori che le vittime dell’ingiustizia. Lo scopo è liberare entrambi i popoli dalle posizioni estremiste dei diversi governi Israeliani, portando sia giustizia che riconciliazione. In questo spirito e con questa dedizione raggiungeremo finalmente la sospirata risoluzione ai nostri problemi, come é successo in Sud Africa e con molti altri movimenti di liberazione nel mondo.

 

4.3 Attraverso il nostro amore, supereremo le ingiustizie e metteremo le fondamenta per una nuova società sia per noi che per i nostri avversari. Il nostro futuro è il loro. O il ciclo della violenza che distrugge entrambi, o la pace che darà beneficio a entrambi. Chiamiamo Israele ad abbandonare la sua ingiustizia verso di noi, a non distorcere la verità o la realtà dell’occupazione pretendendo che sia una battaglia contro il terrorismo. Le radici del “terrorismo” sono nell’ingiustizia umana commessa e nel male dell’occupazione. Questi devono essere rimossi se c’è un’intenzione sincera di rimuovere il “terrorismo”. Chiamiamo la gente di Israele ad essere nostri partner nella pace e non nel ciclo della interminabile violenza. Contrastiamo insieme il male dell’occupazione ed il ciclo infernale della violenza.

 

5. La nostra parola ai nostri fratelli e sorelle

5.1 Noi tutti ci troviamo di fronte, oggi, una strada che è bloccata e un futuro che promette solo guai. La nostra parola a tutti i fratelli e sorelle Cristiani è una parola di speranza, pazienza, fermezza e nuova azione per un futuro migliore. La nostra parola è che noi, come Cristiani, portiamo un messaggio, e continueremo a portarlo nonostante le spine, nonostante il sangue e le difficoltà quotidiane. Noi poniamo la nostra speranza in Dio, che ci garantirà sollievo nel Suo tempo. Allo stesso tempo, continuiamo ad agire in armonia con Dio e con la volontà di Dio, contrastando il male e avvicinando il giorno della giustizia e della pace.

 

5.2 Diciamo ai nostri fratelli e sorelle Cristiani: questo è il tempo del pentimento. Il pentimento ci riporta nella comunione di amore con chi soffre, i prigionieri, i feriti, quelli afflitti da handicap temporanei o permanenti, i bambini che non possono vivere la loro infanzia e tutti coloro che piangono i loro cari. La comunione di amore dice ad ogni credente nello spirito e nella verità: se mio fratello è prigioniero, io sono prigioniero, se la sua casa è distrutta, la mia casa è distrutta; se mio fratello è ucciso anche io sono ucciso. Siamo di fronte alle stesse sfide e condividiamo tutto quello che succede e succederà. Forse, come individui o come capi delle Chiese, noi siamo stati zitti quando invece avremmo dovuto alzare la voce per condannare l’ingiustizia e condividere la sofferenza. Questo è il momento del pentimento per il nostro silenzio, indifferenza, mancanza di comunicazione, o perché non perseveriamo nella nostra missione in questa terra e l’abbandoniamo o perché non pensiamo e facciamo abbastanza per raggiungere una nuova visione integrata e rimaniamo divisi, in contraddizione con la nostra testimonianza e indebolendo la nostra parola. Pentimento per il nostro rapporto con le istituzioni, a volte a spese della nostra missione, mettendo così a tacere la voce profetica data dallo Spirito alle Chiese.

 

5.3 Chiamiamo tutti i Cristiani a rimanere costanti in questo tempo di prova, così come abbiamo fatto attraverso i secoli, attraverso i cambiamenti in successione di stati e governi. Siate pazienti, costanti e pieni di speranza in modo che possiate riempiere il cuore di ognuno dei vostri fratelli o sorelle che condividono la stessa prova con speranza.

 

” pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”

(1 Pietro. 3:15). Siate attivi e, a condizione che questo sia conforme all’amore, siate partecipi a tutti i sacrifici che la resistenza vi richiede per superare il nostro presente travaglio.

5.4 I nostri numeri sono bassi, ma il nostro messaggio è grande e importante. La nostra terra ha grande bisogno di amore. Il nostro amore è un messaggio ai Musulmani e agli Ebrei, così come al mondo. Il nostro messaggio ai Musulmani è un messaggio di amore e di vita in comune e una chiamata a respingere il fanatismo e l’estremismo. E’ anche un messaggio al mondo che i

 

Musulmani non devono essere né stereotipati come il nemico né caricaturati come terroristi, ma piuttosto dobbiamo vivere con loro in pace ed instaurare un dialogo.

 

5.4.2 Il nostro messaggio agli Ebrei dice loro: Anche se abbiamo combattuto l’uno contro l’altro nel passato recente e combattiamo ancora, siamo capaci di amare e vivere insieme. Possiamo organizzare la nostra vita politica, con tutta la sua complessità, secondo la logica di questo amore ed il suo potere, dopo aver posto termine all’occupazione e stabilito la giustizia.

5.4.3 La parola della fede dice a chi è impegnato nell’attività politica: gli esseri umani non sono stati fatti per l’odio. Non è permesso odiare, né è permesso uccidere o essere uccisi. La cultura dell’amore è la cultura di accettare l’altro. Attraverso essa noi perfezioniamo noi stessi e sono gettate le fondamenta della società.

 

6. La nostra parola alle Chiese del mondo.

6.1 La nostra parola alle Chiese del mondo è prima di tutto una parola di gratitudine per la solidarietà che ci avete dimostrato con parole, gesti e presenza tra noi. E’ un elogio per le molte Chiese e Cristiani che appoggiano il diritto della gente Palestinese all’autodeterminazione. E’ un messaggio di solidarietà con quei Cristiani e Chiese che hanno sofferto per il loro appoggio alla legge e alla giustizia.

Comunque è anche una chiamata al pentimento, a rivedere le posizioni teologiche fondamentaliste che appoggiano certe scelte politiche ingiuste per quanto riguarda il popolo Palestinese. E’ una chiamata a stare accanto agli oppressi e preservare la parola di Dio come buona novella per tutti, piuttosto che trasformarla in un’arma con la quale trucidare gli oppressi. La parola di Dio è una parola di amore per tutto il Suo creato. Dio non è l’alleato di uno contro l’altro, né l’antagonista di uno di fronte all’altro. Dio è il Signore di tutti e ama tutti, esige giustizia da tutti e ha lasciato a tutti noi i suoi comandamenti. Chiediamo alle nostre Chiese sorelle di non offrire una copertura teologica per l’ingiustizia che subiamo, per il peccato dell’occupazione imposta su di noi. La nostra domanda ai nostri fratelli e sorelle nelle Chiese di oggi è: siete capaci di aiutarci a riavere la nostra libertà, perché questo è l’unico modo in cui potete aiutare i due popoli a ottenere giustizia, pace, sicurezza e amore?

 

6.2 Per capire la nostra realtà, diciamo alle Chiese: Venite e vedete. Noi svolgeremo il nostro ruolo per farvi conoscere la verità della nostra realtà, ricevendovi come pellegrini che vengono da noi a pregare, portando un messaggio di pace, amore e riconciliazione. Conoscerete i fatti della gente di questo paese, sia Palestinese che Israeliana.

 

6.3 Condanniamo ogni forma di razzismo, sia religioso che etnico, inclusi antisemitismo e islamofobia, e vi chiamiamo a condannarlo e contrastarlo in tutte le sue manifestazioni. Allo stesso tempo vi chiamiamo a dire la verità e prendere una posizione di verità nei riguardi dell’occupazione Israeliana delle terre Palestinesi. Come abbiamo già detto, vediamo boicottaggio e disinvestimento come uno strumento di non violenza per giustizia, pace e sicurezza per tutti.

 

7. La nostra parola alla comunità internazionale

7. La nostra parola alla comunità internazionale è di cancellare il principio di “doppio standard” e di insistere sulle risoluzioni internazionali circa il problema Palestinese, con riguardo a tutte le parti. L’applicazione selettiva della legge internazionale minaccia di lasciarci vulnerabili alla legge della giungla. Essa legittima le pretese di certi gruppi armati e afferma che la comunità internazionale capisce solo la logica della forza. Pertanto, noi invitiamo a presentare una risposta a quello che hanno proposto le istituzioni civili e religiose, come menzionato precedentemente: l’inizio di un sistema di sanzioni economiche e boicottaggio da applicare contro Israele. Ripetiamo ancora una volta che questa non è una vendetta ma piuttosto una seria azione per raggiungere una pace giusta e definitiva che porrà fine all’occupazione Israeliana dei territori Palestinesi e Arabi e garantirà sicurezza e pace per tutti.

 

8. Capi religiosi Ebrei e Musulmani

8. Infine, indirizziamo un appello ai capi religiosi e spirituali, Ebrei e Musulmani, con i quali condividiamo la stessa visione che ogni essere umano è creato da Dio e gli è stata data uguale dignità. Quindi l’obbligo per ognuno di noi di difendere gli oppressi e la dignità che Dio ha dato loro. Insieme tentiamo di andare oltre le posizioni politiche che finora sono fallite e ci hanno portato sulla via del fallimento e della sofferenza.

 

9. Una chiamata al nostro popolo Palestinese e agli Israeliani

9.1 Questa è una chiamata per vedere il volto di Dio in ognuna delle creature di Dio e superare le barriere della paura o della razza per stabilire un dialogo costruttivo e non rimanere nel ciclo delle manovre senza fine che mirano a lasciare la situazione cosi com’è. Il nostro appello è di raggiungere una visione comune, costruita sull’uguaglianza e sulla condivisione, non sulla superiorità, negazione dell’altro o aggressione, usando il pretesto della paura e della sicurezza. Diciamo che l’amore è possibile e la fiducia reciproca è possibile. Così la pace è possibile e la riconciliazione definitiva anche. Così, giustizia e sicurezza saranno ottenute per tutti.

 

9.2 L’educazione è importante. I programmi educativi devono aiutarci a conoscere gli altri come essi sono, piuttosto che attraverso il prisma di conflitto, ostilità o fanatismo religioso. I programmi educativi in vigore oggi sono infetti di questa ostilità. E’ venuto il tempo di cominciare con una nuova educazione che permetta di vedere il volto di Dio negli altri e dichiari che siamo capaci di amarci gli uni gli altri e costruire un futuro insieme in pace e sicurezza.

 

9.3 Cercare di fare dello stato uno stato religioso, Ebreo o Islamico, soffoca lo stato, lo confina entro stretti limiti, e lo trasforma in uno stato che pratica discriminazione ed esclusione, preferendo un cittadino all’altro. Ci appelliamo a entrambi i religiosi Ebrei e Musulmani: lasciate che lo stato sia uno stato per tutti i suoi cittadini, con una visione costruita sul rispetto per la religione ma anche su uguaglianza, giustizia, libertà e rispetto per il pluralismo e non sul dominio di una religione o una maggioranza numerica.

 

9.4 Ai capi della Palestina diciamo che le attuali divisioni ci indeboliscono tutti e causano maggior sofferenza. Nulla può giustificare queste divisioni. Per il bene della gente, che deve essere al di sopra di quello dei partiti politici, deve essere posta fine a questa divisione. Ci appelliamo alla comunità internazionale per chiedere il suo supporto verso l’unione e il rispetto che la volontà dei Palestinesi ha espresso liberamente.

 

9.5 Gerusalemme è il fondamento della nostra visione e la nostra intera vita. E’ la città a cui Dio ha dato una particolare importanza nella storia dell’umanità. E’ la città verso la quale tutta la gente è in movimento – e dove si incontra in amicizia e amore alla presenza del Solo Unico Dio, secondo la visione del profeta Isaia: “

 

Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti.(…) Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Is. 2: 2-5). Oggi la città è abitata da due popoli di tre religioni; ed è in questa profetica visione e sulle risoluzioni internazionali che riguardano la totalità di Gerusalemme che ogni soluzione politica deve essere basata. Questo è il primo problema che deve essere negoziato perché il riconoscimento della santità di Gerusalemme e il suo messaggio saranno una fonte di ispirazione per trovare una soluzione all’intero problema, che è soprattutto un problema di fiducia reciproca e capacità di creare un nuovo paese in questa terra di Dio.

 

10. Speranza e fede in Dio 

10. In assenza di ogni speranza, gridiamo il nostro grido di speranza. Noi crediamo in Dio, buono e giusto. Crediamo che la bontà di Dio alla fine trionferà sul male dell’odio e della morte che ancora persiste nel nostro paese. Vedremo qui un “nuovo paese” e un nuovo “essere umano”, capace di sollevarsi nello spirito, di amare ognuno dei suoi fratelli e sorelle.

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