Lultimo ucciso?
Gideon Lévy – Haaretz, 7 dicembre 2006
www.haaretz.co.il/hasite/pages/ShArtPE.jhtml?itemNo=797730
Un proiettile di mitragliatrice nella testa di un bambino rientrato da scuola seduto con i suoi amici sulla panca davanti a casa, nel campo di Jebalya. Ayman Abu-Mahdi, 10 anni. 15 ore prima del cessate-il-fuoco a Gaza.
La tabella dei numeri non mente, non mente mai: durante il mese scorso, Israle ha ucciso 45 volte più Palestinesi del numero di Israeliani uccisi da Palestinesi. Non si ricorda una differenza così sproporzionata. 3 Israeliani uccisi, 134 Palestinesi uccisi, di cui 31 bambini e adolescenti, in un mese mortifero. E Ayman Abu-Mahdi che chiude la tabella. Un bambino di 10 anni rientrato da scuola e uscito a prendere un po daria con i fratelli e i compagni sulla panca davanti a casa. Il momento: 15 ore prima del cessate-il-fuoco a Gaza.
Ayman Abu-Mahdi. E stato sepolto nel cimitero situato a fianco della sua casa, a qualche decina di metri dal luogo dove è stato colpito dal proiettile, una settimana prima. Foto : Miki Kratsman |
Lultimo ucciso? Certamente no. Durante la prima settimana di cessate-il-fuoco, Israele ha già ucciso altre 5 persone, in Cisgioordania. Lultimo bambino uciso? Niente affatto. Domenica scorsa, i soldati hanno ucciso anche Mahmud Al Jabji, nel campo profughi di Askar, a Nablus: aveva 15 anni. Lultimo ucciso a Gaza allora? Anche questo è difficile a credersi. Lultimo solo fin quando questo cessate-il-fuoco non prenderà fuoco come tutti quelli che lhanno preceduto.
Per una settimana Ayman ha agonizzato nellunità pediatrica di cure intensive dellospedale Sheba, a Tel Hashomer [Israele]. Suo zio, Adb El Hay Abu-Mahdi, è stato lunico autorizzato a partire con lui, quela notte terribile, dopo che è stato trasferito, in condizioni critiche, dallospedale di Gaza verso Israele. Ci sono voluti ancora 6 giorni di passi in tutte le direzioni prima che il padre fosse autorizzato a visitare suo figlio, poche ore prima che morisse. Sabato scorso, di primo mattino, è arrivata la fine per Ayman Abu-Mahdi, questo bambino arrivato tardi ai suoi genitori rifugiati, Najah e Abd El-Kader. E morto alle 5 del mattino, è stato avvolto in un lenzuolo blu intenso e riportato a Gaza. Nel pomeriggio è stato sepolto nel cimitero che si trova di fronte alla sua casa, solo a pochi metri dal luogo in cui era stato colpito una settimana prima. Una fila di alberi separa la casa dal cimitero. La famiglia li ha piantati 25 anni fa per porre una separazione tra loro e il cimitero. «Almeno avere un po di verde sotto gli occhi», racconta lo zio. 10 alberi, magro ornamento nel paesaggio deprimente del campo profughi: non volevano vedere tombe dalla finestra. La loro casa è allestremità ovest del campo di Jebalya, sul limite del cimitero. Sono venuti a stabilirsi qui dopo aver risparmiato un po di soldi guadagnati in Israele con il lavoro che si è bloccato circa 6 anni fa. I fratelli Abu-Mahdi hanno lavorato tutta la vita in Israele, costruendo il paese, ed ora sono anni di totale disoccupazione per tutti, tranne un fratello che lavora come maestro ma che non vede un salario da 8 mesi. La casalhanno costruita con le loro mani col passare degli anni, muro dopo muro, piano dopo piano; allinizio con porte di ferro ed ora con porte di legno, fino a diventare uno stabile di 4 piani, che ospita i 5 fratelli con le famiglie, compresa la famiglia del fratello ucciso in un incidente automobilistico, mentre tornava dal lavoro, tra Yavneh e Ashdod.
La fila dalberi nascondeva le tombe; non è riuscita, 15 giorni fa, a nascondere la vista del carro armato posizionato sulla collina chiamata Jebel Al-Kashf, da cui si vede la loro casa, a ovest. Anche 2 settimane fa, sabato, un carro armato si trovava lì. Lo si vedeva anche dal primo piano, dallappartamento della famiglia di Ayman i genitori e i loro 10 figli. Lesercito israeliano «operava», come si dice, a Beit Hanoun e il carro mirava su Jebalyah.
Quel sabato, Ayman si era alzato al mattino ed era andato come al solito alla scuola dellUNRWA dove frequentava la 5e. A mezzogiorno e mezzo era rientrato, aveva pranzato ed era uscito. A fianco della fila dalberi, la famiglia ha messo un ripiano in cemento che fa da panca, come accade spesso negli angoli graziosi. Ayman era seduto sulla panca con molti dei suoi fratelli ed amici, tra cui suo fratello Adham e suo cugino Amjad. Lo zio Abd El Hay era nel suo appartamento, al secondo.piano. Poco dopo le 3 del pomeriggio, lo zio è stato svegliato dal rumore di una raffica che ha fatto tremare i muri della casa e saltare molti vetri delle finestre. Subito dopo ha sentito grandi grida salire dalla strada. Abd El Hay, spaventato, è sceso in strada dove ha saputo che suo nipote Ayman era stato ferito. «Da cosa?», ha chiesto. «Dal carro armato che sta sulla collina», gli hanno risposto i bambini sconvolti. Ayman non era più lì, solo il suo sangue sulla sabbia. «Ayman! Ayman!», gridavano i bambini. Immediatamente tutti sono corsi allospedale Kamal Adwan, piccolo ospedale, dove nessun Israeliano vorrebbe essere ricoverato. E là che Ayman era stato rapidamente condotto da un taxi che passava per la strada. I medici di Kamal Adwan erano impotenti. Il proiettile della mitragliatrice era penetrato nel cranio del bambino dal lato sinistro ed era uscito dallalto. Ayman è stato portato allospedale Shifa di Gaza, altro centro di neurochirurgia di fama mondiale. Là ci si è limitati a bloccare lemorragia che si estendeva nel cervello. Si spegneva. I membri della famiglia, sconvolti, sono stati invitati dai medici a tornare a casa, lasciando uno dei fratelli vicino al letto del bambino morente. Un quarto dora dopo il loro arrivo a casa, hanno telefonato dallospedale: «Il bambino si aggrava, venite subito». I medici hanno deciso che bisognava trasferire durgenza Ayman in Israele. Erano le 10 passate di sera.
Per i familiari sono cominciate le corse in ogni direzione, come tocca a tutti quelli che desiderano trasferire un ferito grave da Gaza in Israele. Uno zio è corso al Ministero palestinese della Sanità, un altro all«Amministrazione di Coordinamento e Relazioni», il terzo ha ottenuto la relazione medica. Nel giro di 2 ore tutte le autorizzazioni erano pronte, ma a mezzanotte, al valico di Erez, è stato vietato al padre di accompagnare il figlio morente. « Fate venire qualcunaltro. Voi siete il padre e un padre non è autorizzato a passare », gli è stato detto. Lo zio Abd El Hay è stato scelto per questa missione, perché parla bene lebraico. «Me la caverò con i medici » si diceva tra sé. Unambulanza palestinese ha portato Ayman al valico, unambulanza israeliana attendeva già dallaltra parte; è proibito a unambulanza palestinese attraversare il valico, anche quando trasporta un bambino morente. Lo zio è stato obbligato a pagare 2.000 shekels [~ 360 ] per il trasporto con lambulanza israeliana. Sono arrivati allospedale Sheba alle due meno un quarto del mattino.
Discuto al telefono con lo zio Abd Et Hay, a Gaza, il giorno della morte di Ayman. Gaza è chiusa da 2 settimane ai giornalisti israeliani. Prima, eravamo riusciti a fotografare il bambino morto nellambulanza che lo riportava a Gaza, avvolto in un lenzuolo blu e con, sul volto, una gran pace. Lo zio Abd El Hay ha tirato fuori una foto di Ayman presa prima che fosse ferito, per mostrarci comera il bambino.
Lo zio a fianco del corpo di Ayman Aou-Mahdi, tiene una foto di lui, vivo. Lesercito israeliano non conosce lincidente.
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Al mattino presto il bambino è stato operato alla testa. Nei giorni seguenti, le sue condizioni hanno continuato a peggiorare. Una dopo laltra, le funzioni vitali si fermavano. Lo zio non lasciava il suo capezzale. 7 giorni di lenta agonia. A Gaza il padre ha intrapreso un po dappertutto dei passi disperanti, quasi disperati, per ottenere unautorizzazione ad entrare in Israele per essere vicino a suo figlio durante i suoi ultimi giorni. Era il figlio preferito, avuto tardi, a cui aveva detto, solo qualche giorno prima: «Di tutti i tuoi fratelli e sorelle, tu sei lunico che resterà a vivere con noi, anche quando ti sposerai ». Ayman amava il football. Lo zio racconta che lo supplicava sempre di smettere di fare baccano con il pallone nelle ore della siesta. Venerdì scorso, dopo che lo zio si fu rivolto, con lappoggio del personale dellospedale, a delle organizzazioni di diritti delluomo in Israele, perché lo aiutassero ad ottenere per suo fratello, il padre del bambino, un permesso ad entrare in Israele, lautorizzazione attesa è arrivata, 6 giorni dopo che il bambino era stato ferito dal carro israeliano. Adb El Kader Abu-Mahdi è stato autorizzato a venire a vedere suo figlio allospedale Sheba. Qualche ora prima che morisse. La scena era, a sentire lo zio, straziante. «Il padre si è messo a piangere e a gridare: Ayman, Ayman, rispondimi. Parlami. Dimmi solo una parola. Era il figlio più caro, il più piccolo e il più caro». Persino i membri delléquipe medica non potevano trattenere le lacrime. Il padre voleva restare allospedale ma suo fratello gli ha detto di rientrare. «Non glielho permesso. Io sono lo zio e per me è veramente molto dura, ma cosa deve essere per suo padre? Temevo che avesse una crisi cardiaca. Lho pregato di tornare a casa ». Venerdì pomeriggio il padre ha preso un taxi che lha riportato al valico di Erez. Durante la notte, lo zio ha provato a dormire un po nella camera destinata ai parenti, a fianco dellunità pediatrica di cure intensive. Non cè riuscito. Ha detto ai suoi vicini che sapeva che al bambino non restava molto tempo. Alle 5 del mattino si è sentito invitare dallaltoparlante a recarsi nellunità di cure intensive. Il medico lo ha invitato a sedersi ed egli ha capito subito. Abd El Hay è stato sul punto di svenire Il medico lha sorretto. Poi, riprendendosi, ha detto la sua preghiera del mattino: «Dio abbia misericordia del bambino». Ha raccolto le sue povere cose e ha atteso che unambulanza venisse a prendere tutte due, per tornare a Jebalya. Ha telefonato a uno dei suoi fratelli ma non al padre di Ayman per chiedergli di avvertire il padre. Non voleva dargli la notizia per telefono. Ora ci dice, afflitto e stremato da questa settimana di orrrore: «I miei fratelli ed io viviamo in amicizia con gli Israeliani. Anche ora, dopo quel che è successo, noi siamo come degli amici per gli Israeliani. Abbiamo passato tutta la nostra vita in Israele. Desideriamo vivere come tutte le nazioni. Basta sangue, da una parte come dallaltra».
Il portavoce dellesercito israeliano: «Sabato 25 novembre 2006 forze dellesercito israeliano hanno operato contro le infrastrutture terroriste e le basi di lancio di missili Qassam nel nord della Striscia di Gaza. Durante questa operazione ci sono stati diversi scambi di tiri pesanti tra Palestinesi armati e forze armate israeliane, durante questi scambi parecchi soldati israeliani sono stati feriti. Nella stessa giornata, delle granate e dei missili anticarro sono stati lanciati e delle cariche esplosive impiegate contro lesercito. Tutto ciò, in molti casi, a partire da territori densamenet popolati e utilizzando la popolazione palestinese come scudi umani. Non si è a conoscenza, nellesercito israeliano, dellincidente in cui, a quanto si dice, il bambino in questione è stato colpito. Si sa però del coordinamento di un trasferimento, un caso di assistenza umanitaria, attraverso il passaggio di Erez, per dare cure mediche allospedale di Tel Hashomer, ma le circostanze in cui è stato ferito non sono note allesercito israeliano».