La battaglia inutile dell’Egitto

Memo. Di Bashir Nafi. In una democrazia, l’opposizione a qualcosa come la controversa dichiarazione costituzionale del presidente Mohammed Morsi è un diritto naturale. In un paese libero, l’autorità ha bisogno, fino a un certo punto, di una forte opposizione. L’opposizione non deve cercare di rovesciare un presidente democraticamente eletto, utilizzando il potere giudiziario e spostando la discussione dai forum appropriati alla strada. Fare questo è stato un errore, che ha tradito la mancanza di esperienza politica dell’opposizione e la consapevolezza del potere della gente. È stata una battaglia non necessaria, in particolare per un paese che sta muovendo i primi passi verso la fine della transizione e che sta fondando le basi di un nuovo Stato democratico.

Non ci sono dubbi sulla provocazione di un paio di articoli su sei della dichiarazione costituzionale. Magari il presidente non aveva un bisogno particolare del secondo articolo (quello sui poteri), ma dopo più di diciotto mesi dalla caduta del precedente regime Morsi si è reso conto che alcune forze, interne ed esterne, non vogliono che il periodo di transizione finisca, che il potenziamento costituzionale sia completato e che il nuovo regime politico si stabilizzi.

Le motivazioni che hanno indotto Morsi alla pubblicazione della dichiarazione costituzionale sono chiare, non c’è bisogno di interpretazioni o di esagerazioni. Il Paese era devastato da una tirannia trentennale e dal saccheggio sistematico delle risorse nazionali, e il presidente non era in grado di prendere decisioni importanti riguardo l’economia, la sanità e l’istruzione senza fornire le condizioni per la stabilità politica.

Poiché una parte importante e dominante della magistratura era del tutto contraria alla rivoluzione e al cambiamento politico, e si rivoltò contro il presidente, l’istituto giuridico in sé divenne un ostacolo al cambiamento e alla stabilità. Ciò diede al potere giudiziario un ruolo primario nel controllo della fase di transizione, quando il popolo egiziano – così come i tunisini – rovesciò il regime ma mantenne la macchina statale.

La necessità di riforme, in Egitto, era evidente: ma le Forze armate, che hanno assunto il potere dopo la cacciata di Mubarak, erano contrarie a delle riforme radicali, e anzi non ne ravvisavano la necessità.

Ciò ha consentito a molti, all’interno delle istituzioni, di mantenere la propria posizione e di influire nelle decisioni su tempi e modalità di cambiamento. Così, ad esempio, i giudici della Corte costituzionale, pilastri del precedente regime, sono rimasti al loro posto: ma una cosa del genere, è ragionevole? Oppure, è ragionevole che il procuratore generale, nominato dal presidente deposto, rimanga al proprio posto, dopo aver fatto cose, nel corso della sua carriera, contrarie a quanto ci si aspetterebbe da un uomo della legge? Ed è ragionevole trovare ancora al loro posto i capi delle istituzioni statali speciali nominati dal presidente screditato? Quando cade un regime, coloro che lo hanno difeso e che hanno avuto con esso stretti legami, non dovrebbero avere il dovere politico e morale di dimettersi? La rivoluzione è stata l’equivalente di un massiccio voto di sfiducia nei confronti del regime precedente, non solo nel suo capo: ma pochi, se non nessuno, degli alti gradi nominati da Mubarak hanno lasciato l’incarico, e si trovano in una posizione dalla quale possono sfidare e ostacolare gli obiettivi della rivoluzione. È questo ciò che ha costretto Morsi a fare il passo eccezionale della sua dichiarazione costituzionale.

La dichiarazione comprende due articoli indubbiamente controversi: il secondo, che protegge il presidente da tutte le decisioni prese dal momento dell’insediamento, e il sesto, che conferisce al presidente l’autorità di dichiarare lo stato d’emergenza, o di formare tribunali speciali. Tutti gli altri articoli rispecchiano la domanda pubblica, annunciata subito dopo la caduta del regime precedente e diverse volte da allora ribadita; oppure sono necessari a dare una spinta alla fase di transizione, al fine di costruire le istituzioni dello Stato. Il diritto del presidente a rilasciare una dichiarazione costituzionale non ha nulla di controverso. La controversia può riguardare solo la correttezza, o meno, in cui tale diritto è stato annunciato.

Gruppi e individui contrari alla dichiarazione costituzionale avrebbero potuto esprimere la loro opposizione e le loro motivazioni, per poi negoziare con il presidente le modifiche alla dichiarazione, o trovare un altro modo per raggiungere gli obiettivi della rivoluzione e le richieste della gente. Ma l’opposizione ha scelto un percorso diverso, annunciando la formazione di un “fronte di salvezza nazionale”, ciò che non era stato fatto all’epoca delle proteste anti-Mubarak, alle quali avevano partecipato milioni di egiziani. Hanno rifiutato una negoziazione col presidente Morsi, e hanno incitato alla lotta i leader dei sindacati, chiamando le folle nelle strade. In tale contesto, la legittimità del presidente è stata messa in discussione per una settimana intera, ed egli è stato personalmente deriso. Oltre a questo, i Fratelli musulmani sono stati insultati, come se non avessero avuto alcun ruolo nella battaglia contro il passato regime.

Due sono stati i titoli principali della battaglia combattuta da Mohammed El-Baradei, ‘Amr Mousa e Hamaden Sabahi: “La dittatura di Morsi” e “Cambiare il regime”.

In un paese libero e democratico, le persone al potere non dovrebbero essere sempre credute: né ci si dovrebbe fidare delle loro intenzioni o delle politiche ambigue. Ma definire un presidente che si è insediato da tre mesi in seguito a libere elezioni, e dopo una grande rivolta, un dittatore, è una grave esagerazione e una possibile diffamazione. Nessun tiranno inizia un governo con la dittatura: anche Mubarak è stato democratico nel primo anno di governo, quando si dimostrava attento alla libertà e alle richieste del popolo. Inoltre, Morsi non ha cercato l’autorità legislativa, ed ha cercato di far insediare il Parlamento con una mossa che è stata bloccata dall’attuale Corte costituzionale, che pretende di tutelare la legge e la costituzione. Inoltre, l’essenza della dichiarazione costituzionale di Morsi, nonostante le argomentazioni sugli articoli che la compongono, era finalizzata a un rafforzamento dell’Assemblea costituente, che aveva quasi terminato la stesura di una Costituzione limitando i poteri del presidente e conferendo un maggior potere al Consiglio consultivo. Egli avrebbe voluto accelerare la fase di transizione verso nuove elezioni parlamentari, per porre fine alla confusione del potere legislativo. Un presidente che accoglie un progetto di costituzione che limita i propri poteri difficilmente può essere definito con un certo grado di certezza un dittatore.

La cosa più pericolosa delle recenti mosse dell’”opposizione” è stata l’implicita intenzione di rovesciare il presidente, incoraggiando la folla a manifestare per questo obiettivo e tacendo sulle violenze di cui gli alleati del presidente, il Partito della Libertà e della Giustizia e i Fratelli musulmani sono stati oggetto. Ciò di cui i tre principali leader dell’opposizione non si sono resi conto è che la mobilitazione della folla è stata una strategia perdente fin dall’inizio, e che la maggior parte degli egiziani è consapevole che il rovesciamento di Morsi implicherebbe che nessun presidente egiziano per i decenni a venire porterà a termine il proprio mandato.

Morsi è stato oggetto di molte accuse, appena entrato in carica. Ma invece di cooperare con lui per affrontare i problemi sociali ed economici del paese, la maggior parte dell’opposizione ha evitato di discutere una politica di unificazione nazionale. Solo quando l’Assemblea costituente stava per completare la bozza costituzionale, nonostante l’accordo sulle principali problematiche, alcuni membri e alcune fazioni dell’opposizione hanno iniziato a ritirarsi e a incitare gli altri a fare altrettanto. E, una volta che l’Assemblea ha finito il suo lavoro e ha redatto la costituzione, gli attacchi contro costituzione, assemblea e presidente si sono intensificati, senza intenzione alcuna di avviare un serio dialogo pubblico sui contenuti del documento. Tutto ciò è avvenuto nonostante i più alti legislatori egiziani lo abbiano definito “la più grande costituzione egiziana dall’ultimo quarto del XIX secolo”.

Il ricorso alla strada è stato un rischio preso dalla troika dell’opposizione, ed è stato il suo più grande errore. Mobilitare folla compatta per cambiare un regime tirannico è una cosa, ma mobilitare una folla divisa per rovesciare un presidente democraticamente eletto è qualcosa di diverso. La dichiarazione costituzionale conteneva senza dubbio, nei suoi articoli, elementi di crisi politica. Ma le radici della crisi risalgono a prima della dichiarazione. Pertanto l’opposizione avrebbe fatto meglio ad affrontare la dichiarazione con gli strumenti della politica e della negoziazione, anziché utilizzarla come uno strumento per rovesciare il presidente. In una simile battaglia, il confronto si trasforma in un equilibrio di potere di cui l’opposizione è il lato più debole.

Con la fine dei lavori dell’Assemblea costituente – bozza costituzionale e richiesta di pubblico referendum – è emersa una situazione nuova, di cui entrambe le parti dovrebbero tener conto. L’opposizione deve capire, dopo una settimana di scarso discernimento e lungimiranza politica, che la battaglia per rovesciare il presidente non è stata né giustificata né si sarebbe potuta vincere, e deve poi considerare la partecipazione al referendum opponendosi alla bozza, parte del suo compito in quanto opposizione. Da parte sua, la presidenza deve adottare un approccio consensuale, calmare l’atmosfera e lavorare al contenimento della polarizzazione politica. Non è negli interessi del Paese e della sua stabilità chiamare al referendum costituzionale in un tale clima di tensione.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice