La causa palestinese e il nemico interno.

La causa palestinese e il nemico interno 

Lidón Soriano ,  Rebelión, 28 Giugno 2007

Che i paesi occidentali intervengano nelle questioni di politica interna di paesi e popoli per mezzo delle poprie politiche estere è un fatto assodato. Che i grandi media rispondano alle rispettive linee editoriali è un’altra ovvietà. Ma la capacità di entrambe, in maniera coordinata e sincrona, di capovolgere la realtà e presentare al pubblico uno scenario tanto falso quanto tendenzioso, non smette mai di sorprendere.

In palestina il sionismo, dai tempi della sua famosa e falsa frase "una terra senza popolo per un popolo senza terra", si è basato su una lunga lista di menzogne che, a forza di ripetizione e di applicazioni politiche criminali con gli ingenti e poderosi mezzi di cui dispone, si sono convertite in "realtà".

La situazione attuale in Palestina è il risultato degli avvenimenti degli ultimi mesi, ma questi a loro volta rispondono a una programmata e strutturata politica di pulizia etnica del popolo palestinese, pianificata dal sionismo e appoggiata dall’imperialismo nord americano per realizzare i suoi piani di ristrutturazione del "Medio oriente e Nord Africa". Per questo ricorderò gli ultimi avvenimenti accaduti nei territori palestinesi occupati nel 1967, cercando di non perdere l’analisi della situazione nel quadro globale di strategie dell’attuale imperialismo neoliberista.

Esauritasi la seconda Intifada con una Autorità Palestinese senza alcuna autorità (il tono generale fin dalla sua creazione)  e con chiari sintomi di degenerazione politica e morale, la popolazione palestinese, estenuata da duri anni di feroce repressione israeliana si preparò ad eleggere il parlamento palestinese dopo un lungo periodo di processi municipali, nei quali già si scorgeva un cambiamento dell’opinione della popolazione.

Il 25 di Gennaio del 2006, Hamas risulta la lista più votata, sebbene solo con un piccolo margine sul suo rivale immediato al-Fatah, (45,35% contro il 42,07%). Tuttavia in base alla Legge Elettorale palestinese di recente riformata, Hamas ottiene la maggioranza assoluta nel parlamento palestinese.

Il 10 Aprile del 2006, l’Unione Europea si univa a Stati Uniti, Canada e Giappone nell’embargo finanziario al popolo palestinese come forma di castigo collettivo per i risultati delle sue elezioni democratiche. L’embargo che dura da quattordici mesi, insieme al rifiuto di Israele di versare le imposte doganali dovute ai Palestinesi, che costituiscono un terzo del bilancio dell’AP, ha portato la fragile economia palestinese ad una situazione catastrofica, ed ha sommerso l’esausta popolazione palestinese in una crisi umanitaria senza paragoni, portandola a vivere il peggior momento della sua storia.

Fatah, il partito al potere dalla costituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese, ormai identificantesi con un ceto creato nella cornice degli Accordi di Oslo — sotto la supervisione dell’occidente — per avere qualcuno da accusare di terrorismo quando si producano atti di resistenza (denominati terrorismo, in occidente) e da utilizzare in caso di accettazione delle regole del gioco, non digerì mai la sconfitta.

In questo contesto si forgiavano gli strumenti necessari per portare a capo l’implementazione di un piano israelo-americano, appoggiato da alcuni paesi arabi e dalla UE, per indebolire e sostituire il governo palestinese di unità nazionale, rafforzando Mahmoud Abbas e sciogliendo il parlamento palestinese. 

Si contava sul piano, sui media, e sugli esecutori dall’interno: Mohamed Dahlan, Mahmoud Abbas e il resto della cupola di Fatah. 

I media hanno svolto una gran parte del lavoro, ricorrendo e ripetendo fino alla sazietà luoghi comuni e concetti da istallare nell’immaginario occidentale come parte della realtà palestinese, in base alla massima di Goebbels: "Una menzogna ripetuta molte volte finisce per diventare una verità". 

La divisione della Palestina 

Dai tempi della Prima Intifada Israele ha operato per rendere difficili i contatti all’interno tra i Palestinesi di Gaza e di Cisgiordania. Queste difficoltà col tempo andarono convertendosi in impossibiltà, portando alla separazione totale di entrambe i territori e le comunità.

In Cisgiordania e a dispetto dell’embargo, della restrizione dei movimenti e della costruzione del muro dell’apartheid, esiste tuttora un certo grado di libertà, di contatto con il mondo esterno, c’è più pluralismo. 

A Gaza, con un assai maggiore grado di asfissia, con la popolazione incarcerata, bombardata e senza alcun contatto con l’esterno, la società si è involuta, chiudendosi e tornando a formule di vita più tradizionali e con maggior presenza di elementi religiosi e tribali.

Cioè, prima dei deplorevoli fatti dello scontro fratricida che ha avuto luogo a Gaza, esistevano già "due Palestine" (o meglio, tre, se contiamo anche i territori palestinesi prima del 1948). Queste due Palestine non sono state frazionate o divise da alcun partito palestinese, furono separate da Israele, con il chiaro obiettivo di "dividere per comandare" tramite determinate politiche di fatti compiuti, dirette da decenni alla frammentazione del territorio palestinese e allo strangolamento sociale e economico della sua popolazione. Questo triste episodio di violenza intestina palestinese non è stato altro che la "formalizzazione" o l’"ufficializzazione" di questa separazione imposta da Israele con il beneplacito degli USA e dell’Unione Europea.

Il problema attuale non è la divisione, ma la definizione di "zona terrorista"  che ha preso ad essere applicata alla Striscia di Gaza, e la trasformazione di tutta la sua popolazione in "obiettivi militari", come nel caso di Fallujah in Iraq o del Sud del Libano.

Colpo di stato

Seguendo il copione stabilito, i media hanno intenzionalmente cercato di colpevolizzare Hamas di un presun
to colpo di stato per mantenere questa dualità bene/male che è tanto facile da capire. Naturalmente in questa epoca di guerra globale contro il terrorismo, non più nella sua accezione di comunismo ma di Islam, gli islamisti soono destinati al ruolo di "cattivo".

Per cominciare, il termine colpo di stato è assurdo nel caso palestinese non esistendo stato. Inoltre Hamas, conservando il potere legislativo e il sostegno della maggioranza della popolazione non aveva bisogno di alcun golpe per mantenersi al potere, dato che già vi era.

Chiunque conosca la realtà di Gaza sa che cercare di conquistare la Striscia con la forza delle armi è totalmente assurdo. Hamas ha un’amplissima base sociale a Gaza ed un braccio militare ben addestrato, disciplinato, fedele e che agisce in base a forti convinzioni, ciò che non accade affatto con le Brigate dei Martiri di al-Aqsa, braccio armato di Fatah.

E’ pertanto facile dedurre che Fatah non cercava di prendere il potere nella Striscia di Gaza ma semplicemente di acutizzare uno scontro interno e, come ho detto al principio, ufficializzare e mostrare all’occidente che Gaza è un territorio pericoloso per rimanere sotto il controllo degli islamisti, e che questi vanno combattuti. 

L’obiettivo di Abbas resta chiaro: recuperare il potere a tutti i costi. L’obiettivo dell’asse Israele-USA-UE anche: aizzare lo scontro interno, creando una Palestina "civilizzata" (cioè sottomessa) ed un’altra demonizzata (cioè, resistente), ed ottenere che i Palestinesi non godano più dell’appoggio sociale che la loro causa legittima risveglia in molti paesi, gettando discredito totale sul diritto di legittima resistenza.

al-Qaeda 

Con sempre maggiore insistenza appare nei media l’etichetta "al-Qaeda" in relazione ai differenti movimenti di resistenza nei paesi sotto occupazione. Hanno iniziato in Afghanistan, hanno continuato in Iraq, sono riusciti a farlo con il Libano, ed ora tocca alla Palestina.

Sono ormai già alcuni mesi che su Ha’aretz apparve una piccola notizia in relazione ad una possibile trama collaborazionista israelo-palestinese per creare una cellula di al-Qaeda a Gaza. 

I poteri di fatto sanno che l’unione Palestina-al-Qaeda, o più concretamente Gaza-al-Qaeda, nell’inconscio occidente faciliterà la delegittimazione della resistenza palestinese, e permetterà inoltre di mantenere un controllo maggiore della zona, portando a termine ogni tipo di operazione militare sotto l’egida della filosofia della guerra al terrorismo, che trova il suo simbolo nella guerra contro al-Qaeda.

Governo di emergenza

L’elezione di un governo di emergenza guidato da Salam Fayyad, alto funzionario del FMI e della Banca Mondiale, è la conferma della scelta di campo compiuta dalla dirigenza di Fatah.

Le delegittimazione della Forza Esecutiva e del braccio armato di Hamas segue lo schema spagnolo della sciocca Legge dei partiti, e non fa che rinforzare questa idea.

E le dichiarazioni e le azioni dei rappresentanti internazionali, e persino dello stesso Olmert, nel revocare l’embargo alle zone controllate da Fatah, nel riconoscere Abbas come un "socio", e nel promettere la liberazione dei prigionieri di Fatah, eccetera, non lasciano adito a dubbi: l’Autorità Nazionale Palestinese, personificata nella figura di Mahmoud Abbas, ha venduto la sua anima al diavolo, alleandosi col nemico, e tradendo il suo popolo e le sue legittime aspirazioni e diritti.

Con la sottile e deliberata manipolazione di questi concetti si cerca di mettere fine alla causa palestinese, non solo fisicamente (come fanno ormai da decenni), ma anche teoricamente, spiritualmente e simbolicamente.

La Palestina si sgretola, ma non per problemi ideologici interni o differenze religiose all’interno della sua popolazione. Non ci sono due popoli che si scontrano, c’è un solo popolo estenuato da 60 anni di occupazione, e da governanti incapaci di dare risposta alle sfide che essa pone: alcuni, quelli di Fatah, abituati a stare al potere, hanno optato per il lato equivoco; gli altri, quelli di Hamas, non hanno saputo o potuto essere all’altezza politica che richiederebbe un momento tanto delicato, provocando questo scontro che era ed è inammissibile per la maggioranza dei Palestinesi: "l’incrociarsi della linea rossa che implica sangue palestinese".

Il futuro si presenta incerto e scoraggiante, appare probabile che il governo di Abbas esca rafforzato dall’appoggio internazionale e dalla revoca dell’embargo, trasformandosi in un perfetto "Karzai Palestinese". Da questa posizione formerà un governo fantoccio che seguirà fedelmente le linee segnate da Washington e Tel Aviv.

Hamas sarà indebolita fino ad essere relegata al ruolo di "cattivo ufficiale e necessario".

La Striscia di Gaza sarà trasformata in rifugio di "terroristi".

Il popolo palestinese, nella sua maggioranza, come nel caso di altri paesi arabi, si allontanerà dalla propria dirigenza e continuerà la lotta dalla base, come accadde fino alla Prima Intifada, ma con l’handicap di avere un gendarme proprio al soldo del sinismo.

Il ruolo della società civile organizzata in occidente, a dispetto dei terribili parametri nei quali il problema palestinese viene posto, credo che debba essere quello di continuare a chiedere ai nostri governi di rispettare ed esigere il rispetto della legalità internazionale, creando il contesto propizio alla creazione di uno stato palestinese realizzabile e sovrano, con Gerusalemme come capitale, ed il riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi.

Il rispetto di queste risoluzioni delle Nazioni Unite, specialmente la 194, che fa riferimento al diritto al ritorno dei rifugiati, supporrebbe un cambiamento nell’equilibrio demografico che faciliterebbe la scomparsa del concetto di domini etnico che il sionismo propugna e pratica in tutte le sue forme. Lo stato di Israele rappresenta questo concetto di purezza etnica tramite la sua autodefinizione etnomessianica e antidemoratica di "stato ebraico".

La scomparsa del sionismo è l’unica soluzione, non solo per la Palestina, ma per tutta la regione, e l’esigenza del rispetto della legalità internazionale, forse, è l’unica via.

La dirigenza palestinese ha abbandonato il suo popolo e la lotta per i suoi legittimi diritti, ma la causa palestinese
sta al di sopra dei suoi dirigenti, sta al di sopra dell’ambito locale, la causa palestinese è la causa di tutte le persone che lottano per il diritto inalienabile dei popoli alla propria autodeterminazione, è per questo che il popolo palestinese continuerà con la sua lotta, ed è per questo che come internazionalisti resteremo al suo fianco, continueremo a condividere lotte, sconfitte e vittorie.

"Continueremo ad essere i soldati sconfitti di una causa invincibile".

 

Tradotto dallo spagnolo  da Gianluca Bifolchi, un membro di  Tlaxcala  (www.tlaxcala.es), la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale : è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l’integrità e di menzionarne l’autore e la fonte.

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