La commissione ONU sollecita la fine della politica israeliana della detenzione amministrativa

Imemc120 prigionieri entrano nella sesta settimana di sciopero della fame, bevono solo acqua, e il governo israeliano annuncia l’intenzione di iniziare l’alimentazione forzata.

La pratica è conosciuta in Israele come “detenzione amministrativa”, e viene usata per imprigionare i Palestinesi per un periodo indeterminato, senza accusa né processo. Il governo israeliano afferma che tale pratica è necessaria per «motivi di sicurezza», come parte dello stato di emergenza che è stato dichiarato nel 1967 e non è mai stato revocato.

Ma i Palestinesi sostengono che essa viene utilizzata per mettere a tacere i dissidenti politici e gli organizzatori di proteste non violente. Inoltre, le Nazioni Unite, in diverse occasioni, hanno invitato Israele a porre fine alla pratica della detenzione senza processo e senza accuse, in quanto è una diretta violazione della Quarta Convenzione di Ginevra.

Giovedì 5 giugno, la Commissione speciale delle Nazioni Unite che indaga sulle violazioni israeliane dei diritti umani del popolo palestinese e di altri arabi dei territori occupati ha rilasciato una dichiarazione invitando Israele a rispondere all’”appello disperato” dei 120 prigionieri in sciopero della fame, accusandoli di un crimine o rilasciandoli.

Detenere dei prigionieri senza accusa è una pratica condannata dal diritto internazionale e ampiamente criticata come antidemocratica e dispotica.

Nel comunicato, la commissione delle Nazioni Unite ha affermato che lo sciopero della fame: “E ‘un appello disperato di questi detenuti perché sia garantito un livello base di un giusto processo: sapere di che cosa sono accusati e potersi difendere”.

La commissione speciale per indagare sulle pratiche israeliane che interessano i diritti umani del popolo palestinese e altri arabi dei territori occupati è anche conosciuta come “Commissione speciale sulle pratiche israeliane”. Venne stabilita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1968 con l’obiettivo di garantire “il rispetto e l’applicazione dei diritti umani nei territori [palestinesi] occupati”.

Traduzione di Edy Meroli