Di Miguel Martinez
La controproducente esistenza dei palestinesi
- “ Si può dire che tutto questo sia meno di ciò che Gaza sta subendo in questi giorni. Come su una piantagione, lavorare da schiavi per dodici ore al giorno a pane e acqua, subendo occasionali frustate, è meno di quello che ti succede quando ti ribelli. E su questo non ci piove.”
La chiave per capire ciò che succede in Palestina è semplicissima.
Qualunque cosa facciano i palestinesi è sempre sbagliata.
Prendiamo la Cisgiordania.
Per oltre vent’anni, i nativi palestinesi hanno reagito pochissimo. Insomma, non hanno “provocato”.
Eppure in quegli anni, circa la metà della popolazione adulta maschile è passata per le carceri israeliane.
E i palestinesi hanno subito ogni forma di esproprio. E giustamente, perché Israele non aveva nessun motivo per fermarsi di fronte a chi non reagiva.
Quindi, abbozzare è decisamente controproducente.
Poi c’è stata la prima Intifada, quella dei sassi, e dopo moltissimi morti, i palestinesi hanno ottenuto che si “negoziasse”.
I “negoziati” sono stati una cosa straordinaria. I palestinesi hanno preso carta e penna e hanno scritto, in sostanza, che prima ancora di negoziare, cedevano l’80% della propria terra e si disarmavano.
Il resto si sarebbe “visto dopo”. Sono passati vent’anni, e ogni tanto c’è qualche vago accenno alla possibilità di cinque stati per due popoli entro il 2092.
Quindi, negoziare è decisamente controproducente.
Quando i palestinesi hanno capito questo, c’è stata la seconda e più sanguinosa rivolta.
Che, come ben sappiamo, è stata usata per dimostrare che i palestinesi erano “terroristi”, con tutto ciò che ne consegue.
E quindi è stata controproducente.
A questo punto, c’è chi ha creduto alla collaborazione.
Cioè i palestinesi, che prima erano stati disarmati, adesso venivano riarmati, con un solo scopo: arrestare e torturare i palestinesi che resistevano.
Un processo culminato nel golpe di Abu Mazen.
Ma anche questo è stato controproducente (non per la casta dirigente palestinese, certo), perché gli israeliani hanno continuato con gli espropri, con il muro, con le incursioni armate, con i posti di blocco e non hanno concesso nulla che andasse oltre gli stipendi ai poliziotti dell’ANP.
Riassumiamo.
Se i palestinesi tacciono,
se si ribellano,
se negoziano,
se combattono,
se collaborano,
peggiorano sempre e comunque la propria condizione.
Il motivo è semplice: negoziare, come abbiamo già detto, è una questione di rapporti di forza.
E qui i rapporti di forza sono quelli che sono. Tipo 99 a 1 a favore di Israele, tranne che sul piano demografico.
Perché i palestinesi possano migliorare la propria condizione, devono avere una forza tale da obbligare gli israeliani a negoziare realmente; o viceversa, gli israeliani devono avere una debolezza tale da obbligarli a negoziare realmente.
Quindi la soluzione non sta in mano ai palestinesi, ma sta in mano al resto del mondo.
Che dovrebbe togliere armi, complicità mediatica e denaro a Israele.
Cosa che ovviamente il mondo che conta – sia l’Occidente che le orrende oligarchie che comandano sul Medio Oriente – non farà mai.
Capisco che questo ci lascia con un problema non da poco, e a questo punto arriva sempre quello che chiede a questo traduttore di manuali tecnici di proporre lui una soluzione alla “questione mediorientale”.
Io questa soluzione non ce l’ho. Però almeno possiamo vedere qual è realmente il problema. Che se non si inquadra bene, non si capisce assolutamente nulla.
E diventa chiarissima l’assurdità delle accuse di fare cose “controproducenti” che i buoni farisei lanciano da sempre contro i palestinesi.