La Corte Suprema israeliana dà il via libera alla “Cyber Unit” per censurare i contenuti degli utenti palestinesi

Wafa. Lunedì, la Corte Suprema israeliana ha respinto una petizione presentata da Adalah – Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele e l’Associazione per i diritti civili in Israele (ACRI) dando il via libera alle prosecuzioni delle operazioni alla Cyber ​​Unit (Unità cibernetica) dell’ufficio del procuratore di stato israeliano e al suo modello di “applicazione alternativa” per censurare i contenuti dei social media.

La Cyber ​​Unit israeliana utilizza un meccanismo di “applicazione alternativa” per censurare essenzialmente le piattaforme di social media e imbavagliare gli utenti: segnala e invia i post sui social media – senza procedimenti legali e spesso senza nemmeno la conoscenza del singolo utente – ai giganti dei social media per richiederne la rimozione.

Questa pratica statale israeliana mira a reprimere il dissenso sui social media e spesso si traduce anche nella sospensione o nella rimozione degli utenti. Questa censura è condotta in collaborazione e coordinamento con i social media, inclusi i giganti statunitensi Facebook e Twitter.

Unità simili che operano in paesi di tutto il mondo sono note come Internet Referral Units (IRU).

Gli avvocati di Adalah Fady Khoury e Rabea Eghbariah avevano presentato la petizione contro la Cyber ​​Unit alla Corte Suprema israeliana il 26 novembre 2019. Hanno sottolineato che il meccanismo di “applicazione alternativa” della Cyber ​​Unit viola i diritti costituzionali della libertà di espressione e del giusto processo e che l’unità funziona senza alcuna autorità legale.

Il giudice della Corte suprema israeliana, Hanan Melcer, ha annunciato la decisione lunedì mattina, a Gerusalemme, nella sua sentenza definitiva.

Nella sua decisione, il tribunale ha concesso allo stato israeliano un potere incontrollato e non autorizzato, consentendogli di governare la comunicazione online utilizzando canali informali con le società di social media. Il tribunale ha sostanzialmente privatizzato il processo giudiziario, consentendo alle società private di decidere sulla censura dei contenuti dei social media sulla base di richieste apparentemente non vincolanti delle autorità statali israeliane.