La cultura della speranza: il 2022 e i margini di vittoria per la Palestina

Il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina celebra il suo 55° anniversario con una grande parata a Gaza. (Foto: Mahmoud Ajjour, The Palestine Chronicle).

Palestine Chronicle. Di Ramzy Baroud. E si è quindi chiuso un altro anno critico per la Palestina. Se da un lato il 2022 ha visto sempre la presenza della stessa occupazione militare israeliana e gli incrementi delle violenze, dall’altro ha portato all’introduzione di nuove variabili nella lotta palestinese – a livello nazionale, regionale e internazionale.

La Palestina, la guerra e gli arabi.

La guerra tra Russia e Ucraina, iniziata a febbraio, ha spinto molti soggetti politici, tra cui i Palestinesi, a schierarsi o, almeno, a dichiarare apertamente la propria posizione. Sebbene l’Autorità Palestinese (AP) e vari partiti politici palestinesi abbiano insistito sulla loro neutralità, lo scostamento della Russia dal paradigma politico guidato dagli Stati Uniti in Medio Oriente ha aperto ai Palestinesi nuove possibilità da esplorare.

Il 4 maggio una delegazione composta da alcuni leader di Hamas ha incontrato funzionari russi a Mosca e, pochi mesi dopo, il leader dell’AP Mahmoud Abbas ha sfidato Washington partecipando ad un incontro con il presidente russo Vladmir Putin ad Astana, in Kazakistan. Nonostante la rabbia degli Stati Uniti nei confronti di Abbas, Washington ha potuto fare ben poco per vendicarsi della leadership palestinese, considerando i delicati equilibri geopolitici presenti in Medio Oriente e nel mondo.

I nuovi spazi politici creati dal conflitto globale hanno anche portato maggiore coesione nella posizione araba sulla Palestina, come chiaramente espresso in una dichiarazione della Lega Araba, al Cairo, il 29 novembre. Ahmed Aboul Gheit ha insistito sulla ricerca di una pace giusta da parte dei paesi arabi, elogiando la “Dichiarazione di Algeri” del mese precedente. Il 12 ottobre, 14 gruppi politici palestinesi si sono incontrati in Algeria dove hanno firmato un accordo di riconciliazione improntato sulla fine delle divisioni attraverso elezioni presidenziali e parlamentari.

Ciò è avvenuto in un anno in cui i governi arabi, inoltre, hanno rivitalizzato la loro posizione a sostegno dei Palestinesi, sia economicamente che politicamente, finanziando l’agenzia per i rifugiati palestinesi, l’UNRWA, o sostenendo la Palestina alle Nazioni Unite.

Il 3 ottobre, i rappresentanti arabi alle Nazioni Unite hanno presentato la Risoluzione A/C 1/77 L.2 che esortava Israele a sbarazzarsi delle sue armi nucleari e a porre “tutti i suoi impianti nucleari sotto la completa custodia dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica”. La risoluzione è stata approvata a larga maggioranza dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 28 ottobre.

ONU: “L’anno più sanguinoso”.

Sebbene le Nazioni Unite non abbiano intrapreso alcuna azione concreta per punire Israele per l’occupazione militare tuttora in corso e per le violazioni dei diritti dei Palestinesi, diverse iniziative e risoluzioni ONU hanno dimostrato la centralità della questione palestinese nell’agenda internazionale.

Lo scorso agosto, gli Esperti delle Nazioni Unite hanno condannato “l’escalation di attacchi di Israele contro la società civile palestinese nella Cisgiordania occupata”, affermando che queste azioni “provocano una grave repressione dei difensori e sostenitori dei diritti umani e sono illegali e inaccettabili”.

A ottobre, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, ha presentato un rapporto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite concludendo che la realizzazione del diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione richiede lo smantellamento del regime israeliano di colonizzazione e apartheid.

Il 30 novembre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha anche adottato una risoluzione per celebrare la Giornata della Nakba che ricorda l’espulsione forzata di centinaia di migliaia di Palestinesi dalle loro terre nel 1948.

Purtroppo, nessuna di queste dichiarazioni ha modificato la natura violenta dell’atteggiamento di Israele nei confronti dei Palestinesi. Il 29 ottobre, l’inviato delle Nazioni Unite per il Medio Oriente, Tor Wennesland, ha dichiarato che il 2022 si avvia ad essere “l’anno più sanguinoso” per i Palestinesi nella Cisgiordania occupata da quando le Nazioni Unite hanno iniziato il monitoraggio delle vittime, nel 2005.

La violenza israeliana e la Tana dei Leoni.

Dall’inizio del 2022, Israele ha ucciso oltre 200 Palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gaza, tra cui 47 bambini. Solo alcuni di questi episodi sono finiti sulle prime pagine dei media più importanti. Tuttavia, il mondo ha mostrato indignazione dopo l’omicidio a sangue freddo della famosa giornalista palestinese americana Shireen Abu Akleh, avvenuto l’11 maggio, mentre copriva i tragici eventi di Jenin. Le numerose richieste di un’indagine imparziale hanno infine convinto l’FBI ad aprire un’inchiesta penale sull’uccisione di Abu Akleh.

La follia omicida israeliana è stata motivata da due ragioni: in primo luogo, l’ascesa della resistenza armata nel nord della Cisgiordania e, in secondo luogo, la caotica scena politica di Israele.

I continui attacchi israeliani a Jenin, Nablus e ad altre città della Cisgiordania, oltre che nei campi profughi, hanno portato alla formazione di un nuovo gruppo armato palestinese noto come Tana dei Leoni. A differenza di altri gruppi, il movimento con sede a Nablus non è fazioso e ha creato nuovi spazi per l’unità nazionale tra tutti i Palestinesi, indipendentemente dal loro background politico o ideologico.

Il governo israeliano si è subito scagliato contro la Tana dei Leoni. Il ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha sminuito l’appello del gruppo diramato il 13 ottobre, annunciando che “Alla fine metteremo le mani sui terroristi”, stimando il loro numero in 30 combattenti. “Troveremo il modo di raggiungerli e li elimineremo”, ha detto Gantz. La valutazione israeliana si è rivelata essere completamente errata poiché la brigata ha continuato a crescere, dando vita ad altre brigate a Jenin, Al-Khalil (Hebron) e in altre regioni della Cisgiordania.

L’uccisione del combattente palestinese Oday Tamimi in uno scontro vicino all’insediamento ebraico illegale di Maale Adumim, il 19 ottobre, ha evidenziato l’enorme coraggio della nuova generazione di resistenti palestinesi. Inoltre, l’esecuzione di Ammar Mufleh nella città di Huwara, teletrasmessa il 2 dicembre, ha dimostrato la volontà di Israele di ignorare il diritto internazionale per porre fine alla ribellione armata in corso nella Palestina occupata.

La violenza israeliana è anche direttamente collegata alla crisi politica di Tel Aviv. Sebbene Benjamin Netanyahu sia stato spodestato da un’improbabile alleanza tra varie forze politiche israeliane, guidata dall’ex primo ministro Naftali Bennett nel giugno 2021, il primo ministro israeliano di più lunga data è pronto a tornare sulla scena.

Bennett si è dimesso dal suo incarico il 20 giugno, lasciando la leadership al suo partner di coalizione Yair Lapid. Le nuove elezioni, le quinte in tre anni, si sono tenute il 1° novembre. Questa volta, la coalizione di destra di Netanyahu ha vinto con un largo margine, introducendo nel già estremista governo israeliano personalità come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, noti per le loro azioni violente e la retorica contro i Palestinesi.

Sebbene Washington avesse indicato il 2 novembre di non aver intenzione di lavorare direttamente con Ben-Gvir, l’ambasciatore statunitense in Israele, Thomas Nides, sembra aver ribaltato la posizione dichiarando che “nessuno può danneggiare i legami indissolubili che esistono tra Israele e gli Stati Uniti”.

Tenendo presente che l’aumento della violenza in Cisgiordania è il diretto risultato della natura militante del governo Bennet-Lapid, che ha cercato di dimostrare la sua durezza contro la resistenza palestinese, si prevede che il nuovo governo sarà ancora più violento, ponendo le basi per un confronto più vasto, sia in Cisgiordania che a Gaza.

La breve ma sanguinosa guerra israeliana contro la Striscia di Gaza assediata, iniziata il 5 agosto, ha provocato l’uccisione di almeno 46 Palestinesi e il ferimento di circa 360, secondo le stime delle Nazioni Unite. Nonostante le devastazioni, la guerra avrebbe potuto essere molto peggiore, poiché non tutti i gruppi palestinesi hanno preso parte ai combattimenti e Israele sembrava intenzionato a porre fine alle ostilità prima che un conflitto prolungato potesse comportare un pesante prezzo politico. È probabile che anche Netanyahu faccia ricorso alla guerra contro Gaza, qualora avesse bisogno di distrarre i propri cittadini dalle future difficoltà politiche o di tenere a bada i suoi partner di destra.

La cultura della speranza.

Nonostante la violenza dell’occupazione israeliana e le difficoltà dell’isolamento e dell’assedio, la cultura palestinese ha continuato a fiorire con artisti, registi, atleti, intellettuali e insegnanti che continuano a lasciare il segno sulla scena culturale in Palestina, in Medio Oriente e nel mondo.

A maggio, Mohammed Hamada, un sollevatore di pesi ventenne della Striscia di Gaza, è diventato il primo atleta palestinese a vincere medaglie d’oro e di bronzo ai campionati mondiali di sollevamento pesi tenutisi a Heraklion, in Grecia.

A settembre, l’ingegnere di sistemi  palestinese-americano Nujoud Fahoum Merancy è stato nominato uno dei leader delle missioni Artemis, un programma della NASA che mira a portare astronauti sulla luna.

La resistenza e i risultati culturali palestinesi sono costantemente rafforzati dalla crescente solidarietà internazionale a favore della Palestina. Grazie all’American Friends Service Committee (AFSC), a giugno la multinazionale General Mills ha annunciato il disinvestimento totale da Israele. Questo è stato uno dei tanti risultati ottenuti dal movimento di boicottaggio guidato dalla Palestina, che ha coinvolto altre aziende, università e chiese.

Tuttavia, nulla è paragonabile alle infinite manifestazioni di solidarietà esibite dai tifosi di calcio arabi e internazionali in occasione della Coppa del Mondo del Qatar 2022, iniziata il 30 novembre. Sebbene la nazionale di calcio palestinese non si sia nemmeno qualificata per l’evento sportivo più importante del mondo, la bandiera della Palestina è stata la più visibile tra tutte le altre bandiere internazionali. Anche l’iconica Kufiyeh palestinese è stata indossata da migliaia di tifosi, tra cui leader mondiali, personalità e celebrità.

Il 2022 è stato un altro anno di tragedia e di speranza per i Palestinesi. È questa speranza, sostenuta da numerose piccole vittorie, che rende possibile la lotta per la libertà dei Palestinesi. Ci auguriamo che il 2023 sia un anno ancora migliore.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi