'La differenza tra traditori e transfughi: lettera a un levantino'.

Di Gad Lerner 

La differenza fra traditori e transfughi: lettera a un levantino (come me)
 
Magdi Allam, arabo, esprime nel suo libro un’identificazione totale con Israele. Che a me, ebreo, dà disagio.
 
Caro Magdi Allam, ho ricevuto tuo nuovo libro Viva Israele (Mondadori) con una dedica affettuosa che naturalmente ricambio. Mi rendo conto che ci hai messo l’anima, e che da uno come me ti attenderesti gratitudine per una dichiarazione d’amicizia, o meglio d’identificazione assoluta con la sorte del popolo ebraico e dello Stato d’Israele, che – nonostante le ottime intenzioni – mi lascia addosso invece un senso di disagio. Dapprima ho pensato che fosse solo una questione di tono. Per motivare la riconversione di un arabo egiziano alle buone ragioni universali d’Israele, la civiltà contro la barbarie, la vita contro la morte, autoproclami te stesso titolare di una nuova fede assoluta e incrollabile. Nobile e coraggioso è il tuo nuovo pensiero guida – la sacralità della vita – per il quale hai prescelto due portabandiera affiancati del calibro d’Israele e della Chiesa di Benedetto XVI. Più naturalmente un punto cardinale di riferimento: l’Occidente. Qui il confronto con l’infedele che ti scrive è impari. Posso solo inchinarmi al cospetto della tua rinascita spirituale. Fede assoluta e incrollabile? Tanto fragile, scettica, incoerente è la mia povera fede di povero mortale, da farmi avvertire estraneo il tuo faraonico Sturm und Drang . Lo so che ho torto, ma in tutto quel po’ po’ di enfasi fideistica che esibisci, a me viene da cogliere il suono posticcio della moneta falsa. Perché? Non ho alcun diritto di farti il processo alle intenzioni. Posso solo esprimerti solidarietà per le minacce recate alla tua sicurezza personale dagli islamisti che denunci ogni giorno sul Corriere e in Tv, mettendoci la firma e la faccia. E allora? E allora non è questione di tono, tu devoto io infedele, tu coraggioso io fifone.
 
Noi abbiamo più o meno la stessa età. Come tanti altri siamo arrivati entrambi in Italia per caso, dalla nativa sponda Sud del Mediterraneo. Quella guerra fulminea che Israele vinse in sei giorni quarant’anni fa, nel 1967, spezzando la tenaglia degli eserciti arabi che tentavano di distruggerlo, e conquistando vasti territori ancor oggi in larga misura purtroppo occupati, rappresenta un culmine emotivo della nostra adolescenza. Forse un giorno scriverò anch’io la mia Israele del ’67, la partecipazione minuto per minuto al conflitto, la famiglia tutta salva, la visita stupefatta – con mio padre – ai luoghi della vittoria miracolosa dallo stretto di Tiran fino al Golan, imbattendomi per la prima volta nelle case di fango dei profughi palestinesi in Cisgiordania, e dappertutto una voce flautata che cantava Jerushalaim shel zaav, cioè «Gerusalemme d’oro». Hai fatto bene a raccontare il Cairo nei giorni della sconfitta, con gli occhi di un ragazzino nazionalista. Perché l’umiliazione e l’infelicità araba che ne scaturirono sono fattori potenti di una guerra in cui siamo tuttora immersi. Né mi turba il tuo tradimento nei confronti di un’ideologia panaraba zeppa di menzogne. Il mio amico Alexander Langer mi ha insegnato la necessità del tradimento quando si tratta di rompere la gabbia della compattezza etnica. Ma non per saltare armi e bagagli dall’altra parte del muro, bensì per costruire ponti, favorire l’interscambio e la comprensione reciproca, incoraggiare l’autocritica fra la propria gente. Diceva Alex: abbiamo bisogno di traditori ma non di transfughi. È il senso di complicità che avvertivo quando mi accompagnasti nel ’98 ad Algeri. Portavo nella prima serata televisiva italiana una denuncia dell’integralismo islamico che all’epoca non ti vedeva ancora sensibile come oggi. Ma eravamo, io e te, qualcosa di antico da cui non si sfugge con i proclami e con le finte metamorfosi: due levantini. Sì, proprio gente di Levante, dai fenici alle repubbliche marinare, dai mercanti ai caravanserragli su e giù per le città cosmopolite di qui e di là del mare. Sanguemisti. Cabibbi. Gente d’outre-mer. Bastardi, per fortuna. Accomunati da una levantinità che solo gli ignoranti di storia mediterranea possono additare come una tara. In effetti quel che mi ha dato più fastidio, nel tuo Viva Israele, Magdi, è che pure tu, come tanti nostri nemici, esalti una presunta, mai avvenuta, metamorfosi degli ebrei. Finalmente combattenti. Avamposto della guerra occidentale in difesa della sacralità della vita. Per carità, lasciaci continuare a essere quel che siamo! Certe mascherate sono troppo pericolose in tempo di guerra!
                                                                                                                                                                                                                                        Gad Lerner

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