La disumana condizione dei palestinesi nelle prigioni israeliane: le malattie usate come tortura.

Gaza – Mohammad Habib -Infopal. Tra le mura e il buio delle prigioni israeliane e l’ingiustizia dei carcerieri, il detenuto Amjad Abu Khaled si è ritrovato malato e senza cure mediche. Dalle autorità carcerarie gli viene somministrata una medicina che chiamano “magica", ma la sua salute continua a peggiorare pericolosamente. Il medico gli dice che se smette di prenderla morirà. Tuttavia, essa consuma le ossa e il cervello, indebolisce il detenuto, che vive come un condannato a morte che attende “la pallottola della grazia”.

La sofferenza di Amjad è stata trascritta su un pezzo di carta che ha potuto varcare le mura della prigione israeliana e arrivare anche al corrispondente di Infopal.it attraverso un’associazione per la difesa dei detenuti.

Abdullah Qandil, ex detenuto e portavoce dell’associazione “Waed” per i Progionieri e gli Scarcerati, in una conferenza stampa svoltasi ieri durante il sit-in settimanale davanti alla sede della Croce Rossa nella città di Gaza, ha affermato: "La malasanità nelle prigioni dell’occupazione israeliana è diventata una politica programmata applicata dalle autorità carcerarie contro i detenuti palestinesi, approfittando del sostegno americano".

E ha aggiunto: "Questa situazione ha abbandonato i prigionieri al proprio destino, permettendo allo stesso tempo all’occupazione di trasformare l’ospedale Nitzan, nella città di Ramleh, in una prigione militare in cui si sfrutta la malattia del detenuto per torturarlo e per esercitare pressioni su di lui per in modo che ‘confessi’. Attualmente, il numero dei prigionieri malati rinchiusi nelle prigioni israeliani sono circa 1200".

Durante la conferenza stampa, Qandil ha letto la lettera filtrata dalle prigioni israeliane e arrivata all’associazione Waed, in cui i detenuti hanno spiegato la loro situazione disumana, la sofferenza in cui vivono, causata anche da patologie che non vengono curate. Come quella che affligge Sitan al-Maqat, siriano del Golan occupato, detenuto da più di venti anni, e che gli provoca intensi dolori addominali. I medici del carcere gli dicono che sta bene. Dopo che i familiari si sono rivolti in tribunale perché potesse essere sottoposto a esami clinici, è stato scoperto che da più di un anno soffriva di un ingrossamento ai reni.

I casi sono tanti: Hani Abu Reda, 24 anni, condannato a 3 anni di detenzione nella prigione del deserto del Negev, ha perso l’occhio sinistro e rischia di diventare cieco; Jummah Adam, ha  problemi al sangue, ha perso 30 kg e attualmente ne pesa 50; Mohammad Mawqada di Nablus, semiparalizzato, ha l’intestino collegato a sacche esterne per espellere le feci. Necessita di un’operazione molto complessa. Ora sta per iniziare uno sciopero aperto della fame.Abu Ammar at-Tamimi ha bisogno di un trapianto di rene, e nonostante il consenso e la disponibilità di un donatore tra i detenuti, la direzione della prigione ritarda l’operazione. Akram ar-Rikhawi soffre di una forte asma che mette a rischio la sua vita. Prima dell’arresto veniva curato in Egitto: gli facevano un’iniezione ogni sei mesi, ma la direzione della prigione rifiuta di fornirgli la medicina e di liberarlo.

Nella loro lettera, i detenuti hanno definito i malati “Martiri viventi”.

Qandil ha chiesto alla Commissione internazionale della Croce Rossa di assumersi la responsabilità nei confronti dei detenuti ed esercitare pressioni sul governo di Tel Aviv affinché medici esterni possano visitare i malati e prestare loro le cure necessarie, come prevede il diritto internazionale.

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