Pubblichiamo qui di seguito l'articolo sul giudice ebreo sudafricano Richard Goldstone, autore dell'omonimo Rapporto Onu sui crimini di guerra israeliani a Gaza.
L'articolo è stato ripreso da un sito pro-Israele www.israele.net. Avvertiamo dunque i nostri lettori che potrebbe trattarsi di “propaganda” messa in atto dalla potente Israel-Lobby americana per screditare il giudice sudafricano.
“La doppiezza di un gradasso internazionale“
di Alan M. Dershowitz
Da http://www.israele.net/articolo,2643.htm
Mentre gran parte del mondo civile (anche se non tutto) giustamente critica, o ignora, il rapporto Goldstone per le sue distorsioni dei fatti e la sua condanna unilaterale di Israele, lo stesso Richard Goldstone sembra adesso prendere le distanze dalle conclusioni del suo rapporto, perlomeno quando si rivolge a un pubblico ebraico.
In un'intervista al Jewish Forward (*), Goldstone ha negato che il suo gruppo di lavoro abbia condotto “una inchiesta” (`investigation'). Si sarebbe trattato invece di quella che lui chiama una “missione di ricerca sui fatti” (`fact-finding mission') basata largamente sul limitato “materiale a nostra disposizione” (`material we had'). Dal momento che questo “materiale” era accuratamente preselezionato dalle guide e dai portavoce di Hamas, Goldstone ammette che “se si fosse trattato di una corte di tribunale, non vi sarebbe stato nulla di dimostrato” (`if this was a court of law, there would have been nothing proven'). E sottolinea, nell'intervista a Forward, che il suo rapporto non è niente più che una “traccia” (`road map') per veri investigatori, e che non contiene nessuna autentica “prova” (`evidence') di misfatti da parte di Israele.
Niente di dimostrato? Nessuna prova? Una semplice traccia? Certamente non sono questi i termini e i concetti che si incontrano leggendo il rapporto e soprattutto i lanci d'agenzia e i servizi giornalistici che l'hanno accompagnato.
È come se vi fossero due distinti “rapporti Goldstone”. Il primo inoltrato alle Nazioni Unite e il secondo all'uditorio ebraico. Rivolgendosi in modo così diverso a diversi “pubblici”, Goldstone ricorda da vicino Yasser Arafat, il leader palestinese che perfezionò l'arte della doppiezza, usando un linguaggio bellicoso quando si rivolgeva al pubblico arabo e un linguaggio più accomodante quando si rivolgeva al pubblico occidentale.
Goldstone a quanto pare non ha avuto il coraggio di contraddire gli altri membri e lo staff della sua commissione e di insistere che questo suo linguaggio chiarificatore entrasse nel rapporto stesso e nei relativi comunicati. Né ha avuto abbastanza coraggio per far mettere a verbale una sua dichiarazione dissenziente o consenziente. Quello che ha fatto, invece, è stato parlare in modo ingannevole, inviando un messaggio a quelli che leggono il rapporto vero e proprio e un messaggio tutt'affatto diverso a quelli che leggono le sue parole su Jewish Forward (e sul New York Times, per il quale scrisse un articolo migliorativo il giorno dopo la pubblicazione del rapporto). Così facendo, cerca di avere una cosa e il suo contrario.
Goldstone si è spinto sino al punto di dichiarare a Forward che lui stesso “non considererebbe in alcun modo imbarazzante se molte delle accuse risultassero infondate” (`I wouldn't consider it in any way embarrassing if many of the allegations turn out to be disproved'). Il che è un assurdo totale. Goldstone ha messo il suo imprimatur e la sua reputazione a sostegno delle conclusioni del rapporto. L'unica ragione perché tanti prestano attenzione a quest'ennesimo esercizio di condanna routinaria di Israele da parte dello screditato Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite è solo perché si presume che l'illustre giudice Richard Goldstone – un eminente ebreo – lo abbia scritto e ne abbia firmato le conclusioni.
Se Goldstone sostiene davvero ciò che ha detto a Forward, allora dovrebbe farsi avanti pubblicamente e denunciare a gran voce tutti coloro che stanno trattando il suo rapporto come se le condanne in esso contenute fossero “provate” e “accertate”.
Ma non c'è pericolo che una tale presa di posizione venga udita contemporaneamente dai due “pubblici” di Goldstone.
In un'intervista al Jewish Forward (*), Goldstone ha negato che il suo gruppo di lavoro abbia condotto “una inchiesta” (`investigation'). Si sarebbe trattato invece di quella che lui chiama una “missione di ricerca sui fatti” (`fact-finding mission') basata largamente sul limitato “materiale a nostra disposizione” (`material we had'). Dal momento che questo “materiale” era accuratamente preselezionato dalle guide e dai portavoce di Hamas, Goldstone ammette che “se si fosse trattato di una corte di tribunale, non vi sarebbe stato nulla di dimostrato” (`if this was a court of law, there would have been nothing proven'). E sottolinea, nell'intervista a Forward, che il suo rapporto non è niente più che una “traccia” (`road map') per veri investigatori, e che non contiene nessuna autentica “prova” (`evidence') di misfatti da parte di Israele.
Niente di dimostrato? Nessuna prova? Una semplice traccia? Certamente non sono questi i termini e i concetti che si incontrano leggendo il rapporto e soprattutto i lanci d'agenzia e i servizi giornalistici che l'hanno accompagnato.
È come se vi fossero due distinti “rapporti Goldstone”. Il primo inoltrato alle Nazioni Unite e il secondo all'uditorio ebraico. Rivolgendosi in modo così diverso a diversi “pubblici”, Goldstone ricorda da vicino Yasser Arafat, il leader palestinese che perfezionò l'arte della doppiezza, usando un linguaggio bellicoso quando si rivolgeva al pubblico arabo e un linguaggio più accomodante quando si rivolgeva al pubblico occidentale.
Goldstone a quanto pare non ha avuto il coraggio di contraddire gli altri membri e lo staff della sua commissione e di insistere che questo suo linguaggio chiarificatore entrasse nel rapporto stesso e nei relativi comunicati. Né ha avuto abbastanza coraggio per far mettere a verbale una sua dichiarazione dissenziente o consenziente. Quello che ha fatto, invece, è stato parlare in modo ingannevole, inviando un messaggio a quelli che leggono il rapporto vero e proprio e un messaggio tutt'affatto diverso a quelli che leggono le sue parole su Jewish Forward (e sul New York Times, per il quale scrisse un articolo migliorativo il giorno dopo la pubblicazione del rapporto). Così facendo, cerca di avere una cosa e il suo contrario.
Goldstone si è spinto sino al punto di dichiarare a Forward che lui stesso “non considererebbe in alcun modo imbarazzante se molte delle accuse risultassero infondate” (`I wouldn't consider it in any way embarrassing if many of the allegations turn out to be disproved'). Il che è un assurdo totale. Goldstone ha messo il suo imprimatur e la sua reputazione a sostegno delle conclusioni del rapporto. L'unica ragione perché tanti prestano attenzione a quest'ennesimo esercizio di condanna routinaria di Israele da parte dello screditato Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite è solo perché si presume che l'illustre giudice Richard Goldstone – un eminente ebreo – lo abbia scritto e ne abbia firmato le conclusioni.
Se Goldstone sostiene davvero ciò che ha detto a Forward, allora dovrebbe farsi avanti pubblicamente e denunciare a gran voce tutti coloro che stanno trattando il suo rapporto come se le condanne in esso contenute fossero “provate” e “accertate”.
Ma non c'è pericolo che una tale presa di posizione venga udita contemporaneamente dai due “pubblici” di Goldstone.
(*) Goldstone: ‘If This Was a Court Of Law, There Would Have Been Nothing Proven.’
http://www.forward.com/articles/116269/
(Da: Hudson, New York, 13.10.09)