La falsità delle accuse israeliane sugli scudi umani a Gaza

Al-Jazeera (Da Zeitun.info). Di Neve Gordon e Nicola Perugini. 

È diventato un macabro rituale. Ogni settimana migliaia di palestinesi marciano verso la barriera che circonda la piccola striscia di terra in cui sono imprigionati da anni, mentre i cecchini israeliani scelgono le loro vittime e sparano.

Dal 30 marzo, 132 palestinesi sono stati uccisi e oltre 13.000 feriti perché hanno coraggiosamente protestato contro le conseguenze del permanente assedio militare israeliano a Gaza.

Ad alcuni la marcia palestinese potrebbe sembrare suicida, ma per i palestinesi è l’estremo atto di resistenza pacifica. La malnutrizione, la mancanza di acqua potabile, le quotidiane interruzioni di corrente elettrica, la disoccupazione di massa e l’estrema povertà non sono slogan astratti per i civili che hanno preso parte a queste manifestazioni.

Quindi, settimana dopo settimana, marciano verso la barriera nella speranza che il mondo ascolti la loro disperazione e che qualche Paese, qualche leader, o anche qualche movimento appoggi la loro causa e li aiuti a rompere l’assedio.

Ma ogni settimana Israele fa di tutto per proporre una narrazione diversa. L’esercito israeliano ha diffuso sui social media immagini e video di bambini presenti nelle proteste. Un breve videoclip trasmette una ninnananna interrotta dal suono di spari e chiede retoricamente: “Dove sono oggi i bambini di Gaza?” Dopo aver mostrato i bambini in mezzo alle manifestazioni, visualizza sullo schermo la parola “qui” scritta tutta in maiuscolo.

Simili video vengono utilizzati come “prova definitiva” che i palestinesi usano i bambini come scudi umani.

La propaganda israeliana sugli “scudi umani” ha riguardato anche civili adulti. In seguito all’indignazione internazionale per l’assassinio della ventunenne Razan Al-Najjar, uccisa mentre curava un manifestante ferito, l’esercito israeliano ha fatto circolare un video montaggio intitolato “Hamas usa i paramedici come scudi umani”.

Il video si basa su un’intervista alla rete televisiva Al Mayadeen in cui Razan descrive il proprio lavoro come medico: “Mi chiamo Razan Al-Najjar. Sono qui in prima linea come scudo umano per proteggere e salvare i feriti in prima linea.”

L’unità multimediale dell’esercito israeliano ha opportunamente modificato l’intervista, omettendo l’affermazione di Razan secondo cui per lei fare scudo ai feriti fa parte delle sue responsabilità come operatore medico. Hanno anche volutamente ignorato un’altra clip postata sul sito web del New York Times, in cui lei descrive le manifestazioni di protesta come un tentativo “di mandare un messaggio al mondo: senza armi, possiamo fare molto.”

Israele giustifica i suoi attacchi violenti continuando ad accusare Hamas di usare scudi umani, nella strenua speranza di sollevare indignazione morale, cercando al contempo anche di predisporre una difesa legale  per ciò che è ingiustificabile.

Sul piano morale, l’accusa lascia intendere che i palestinesi sono dei barbari. Non diversamente dall’immaginario sui barbari pagani che offrivano i figli agli dei, suggerisce che i palestinesi di Gaza non hanno problemi a mandare i propri figli e figlie in prima linea. Il messaggio implicito è che i popoli civilizzati proteggono i propri figli, mentre i palestinesi li sacrificano.

In termini giuridici, uno scudo umano è un civile che viene usato per fare in modo che un legittimo obbiettivo militare non possa essere attaccato. Accusando Hamas di utilizzare scudi umani, Israele spera di spostare la colpa dal cacciatore alla preda poiché, in base al diritto internazionale, la responsabilità per la morte degli scudi umani non grava su chi uccide, ma su chi li utilizza.

Il messaggio che Danny Danon, ambasciatore di Israele alle Nazioni Unite, ha consegnato in una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza è esattamente questo: “i terroristi continuano a nascondersi dietro a bambini innocenti per garantire la propria sopravvivenza”.

Con questa affermazione, Danon non solo sposta le responsabilità [sui palestinesi] ma, di fatto, qualifica chiunque partecipi alla ‘Marcia del Ritorno’ come obiettivo militare.

Proprio in quanto gli scudi umani, per definizione, sono posti a difesa di legittimi obiettivi militari, l’accusa apparentemente senza fine che i palestinesi usano scudi umani per proteggere i manifestanti rivela che per Israele tutti i manifestanti palestinesi sono potenziali bersagli.

Ma nonostante il massimo impegno da parte di Israele, l’argomento “scudi umani” è sempre meno convincente. In un recente rapporto Human Rights Watch ha accusato Israele di perpetrare crimini di guerra  nei suoi tentativi di reprimere le richieste palestinesi di liberazione.

Intanto l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato a schiacciante maggioranza una risoluzione di condanna dell’uso da parte di Israele di “violenza indiscriminata”, mentre il responsabile ONU per i diritti umani  Zeid Ra’ad al-Hussein ha chiesto un’indagine.

Ciò che è ancora più spaventoso, tuttavia, è che Gaza non è un’eccezione.

Dal Venezuela, dove i preti hanno difeso  militanti antigovernativi dalla violenza mortale della polizia antisommossa, al Sudafrica, dove studenti bianchi hanno fatto scudo a studenti neri quando essi hanno manifestato contro le tasse scolastiche insostenibili, agli Stati Uniti, dove  veterani [di guerra] hanno cercato di proteggere nativi americani pacifici brutalmente assaliti dai cani delle forze di sicurezza, colpiti dagli idranti con temperature sotto zero e da proiettili ricoperti di gomma nella Riserva di Standing Rock, sempre più persone sono definite scudi umani o agiscono realmente come scudi umani.

Nonostante le differenze tra queste situazioni, l’immagine dello scudo umano – che venga usata per giustificare la violenza coloniale o per proteggere i dimostranti – è divenuta onnipresente nel nostro attuale panorama politico.

Questo a sua volta suggerisce che i manifestanti sono considerati sempre più come bersagli legittimi e che il repertorio delle violenze e delle giustificazioni legali utilizzato in guerra è entrato nell’ambito della vita civile e sta diventando la normalità.

Le opinioni espresse in questo articolo sono degli autori e non rispecchiano necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon è un ricercatore dell’istituto Marie Curie e docente di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra.

Nicola Perugini è docente alla Scuola di scienze politiche e sociali dell’università di Edinburgo.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)