La fortezza di Israele, il lutto della Palestina.

il manifesto del 16 Maggio 2008

La fortezza di Israele, il lutto della Palestina

«L’America è al vostro fianco, Masada non cadrà»: Bush celebra Israele
nel luogo-mito dell’ebraismo e attacca l’Islam radicale. Dai paesi
palestinesi 21.915 palloncini neri, uno per ogni giorno della Nakba
Mi.Gio.

George Bush ha scelto prima Masada e poi la Knesset, per ribadire il
legame fortissimo esistente tra gli Stati uniti e Israele, nel giorno
del sessantesimo anniversario della fondazione dello Stato ebraico. «I
sette milioni di israeliani non sono soli, ma hanno al loro fianco i
300 milioni di americani…Masada non cadrà di nuovo» ha esclamato il
presidente Usa, riferendosi ai mille zeloti ebrei della fortezza sul
Mar Morto che nel 73 d.C. preferirono un suicidio di massa alla resa
alle legioni romane. «Avete l’America al vostro fianco», ha assicurato
il presidente Usa che scegliendo di visitare Masada ha voluto dare il
senso più profondo dell’alleanza a tutti i livelli – a partire da
quello militare – tra il suo paese e Israele. E mentre pronunciava
quelle parole, nei centri abitati palestinesi si levavano verso il
cielo 21.915 palloncini neri, uno per ogni giorno trascorso dalla
dichiarazione d’indipendenza di Israele, venivano messe in mostra le
chiavi delle case distrutte o confiscate nel 1948, assieme ai nomi di
530 villaggi palestinesi di cui oggi, in territorio israeliano, non
resta traccia. Sono state le commemorazioni della Nakba, la Catastrofe
nazionale del popolo palestinese che nei giorni della fondazione dello
Stato ebraico veniva avviato in gran numero – almeno 750 mila uomini,
donne e bambini – verso l’esodo forzato. Per loro, Bush non ha avuto
neanche una parola. L’uomo della guerra globale non capisce che per
fare la pace in Medioriente occorre raccontare tutte le verità e non
soltanto una.
«Yom Azmaut Sameach», «Felice giornata dell’indipendenza», ha detto
Bush al suo ingresso nell’aula principale della Knesset ricevendo
un’ovazione da tutti i presenti che si sono alzati in piedi
entusiasti. «L’America – ha detto Bush rivolgendosi agli israeliani-
sta con voi nello sforzo di scompaginare le reti terroristiche e di
negare agli estremisti luoghi protetti. L’America – ha precisato – sta
con voi fermamente nell’opporsi alle ambizioni nucleari iraniane.
Consentire ai leader mondiali dell’istigazione al terrorismo di
possedere le armi più mortali al mondo sarebbe un tradimento
imperdonabile nei confronti delle generazioni future». Quindi ha
ribadito: «il mondo non deve permettere che l’Iran abbia armi
nucleari», indicando che gli ultimi mesi della sua presidenza
potrebbero riservare una nuova guerra in Medio Oriente, scatenata da
un attacco militare statunitense contro le centrali atomiche iraniane.
Nel suo discorso, invece, i negoziati israelo-palestinesi non sono
stati quasi menzionati. La parola Annapolis – la località degli Stati
uniti dove nel dicembre scorso proclamò la sua intenzione di lavorare
a un accordo tra Israele e Anp entro il 2008 – non è stata pronunciata
a conferma che quell’incontro in terra americana era soltanto una
rappresentazione teatrale. Bush ha preferito parlare della «grande
lotta ideologica» in corso fra le democrazie occidentali e quanti, a
suo parere, si richiamano a una versione radicale dell’Islam: Hamas,
Hezbollah, al Qaida, Iran. Per Bush, a quanto pare, non è Islam
radicale quello dell’alleata Arabia saudita, dove vige un sistema
social-religioso feudale che fa delle donne uno dei principali
bersagli. Il presidente Usa ha poi lanciato attacchi indiretti al
candidato democratico Barack Obama che, pur manifestando sostegno a
Israele, non ha escluso di poter avere contatti con le «forze del
male» indicate da Bush.
A pochi chilometri di distanza e nei campi profughi palestinesi sparsi
nel mondo arabo, un altro popolo raccontava il suo destino, e puntava
l’ indice contro l’ indifferenza del mondo, rappresentata
dall’atteggiamento di Bush. In un discorso al suo popolo, trasmesso
dalla tv palestinese, il presidente Abu Mazen ha detto che «la
continuazione dell’occupazione israeliana è una catastrofe che non
procurerà sicurezza a nessuno». E ha aggiunto: «è arrivato il momento
di porre fine alla disgrazia umana chiamata Nakba. Israele deve
cessare subito ogni attività di colonizzazione». Abu Mazen aveva
cominciato il suo discorso ricordando che 60 anni fa «centinaia di
migliaia di palestinesi sono stati sradicati dalla loro patria, le
loro case e le loro terre e spinti all’esodo» e che oggi sono quasi
cinque milioni i palestinesi della diaspora il cui ritorno continua a
essere negato. Da Gaza sono giunti toni più militanti di Hamas e le
immagini di decine di migliaia di palestinesi in marcia nel ricordo
della Nakba. A Ramallah, dove a mezzogiorno il suono delle sirene ha
dato il via a un minuto di silenzio, oltre 50 mila persone, molte
vestite di nero, hanno affollato Piazza Manara. Tanti si sono fermati
in raccoglimento davanti alla tomba di Yasser Arafat. Per un giorno,
niente divisioni, ma un popolo unito.

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