La “israelizzazione” di Gerusalemme è fallita

-843600328PIC. Di Meron RapoportHaim Bar Lev Avenue, la strada multi-corsie meglio conosciuta come la “Road N. 1”, collega la Città Vecchia di Gerusalemme ai suoi quartieri settentrionali. Percorre quasi in modo parallelo il confine pre-1967, prima che Israele occupasse ed annettesse le zone palestinesi della città messe in seguito sotto controllo giordano. 

Costruita 20 anni orsono, fa parte dei tentativi di incorporare la parte centrale di Gerusalemme con i nuovi quartieri ebraici edificati sopra la vecchia Green Lane con il proposito di accerchiare i quartieri palestinesi che si trovano nella parte nord di Gerusalemme e per concretizzare l’idea della Grande Gerusalemme sotto l’eterno dominio ebraico-israeliano. 

La ferrovia leggera, costruita una decina di anni fa, è stata concepita come un ulteriore tentativo di “unificare” Gerusalemme, collegando al cuore della città questi enormi quartieri annessi nei quali vivono circa 100.000 israeliani, passando attraverso i quartieri palestinesi densamente popolati. Il percorso della ferrovia leggera affianca la Road N. 1, combinando i vecchi tentativi “di unificazione” con quelli nuovi.

Progetto fallito

E’ interessante notare che domenica 9 ottobre, Misbah Abu Sbeih, un attivista musulmano del quartiere Silwan situato nella parte orientale di Gerusalemme, iniziò il suo attacco armato proprio da una stazione della ferrovia leggera situata sulla Road N. 1, uccidendo una donna ebrea di 60 anni e, in seguito, un ufficiale di polizia israeliano. Non è la prima volta che sia la ferrovia leggera che la Road N. 1 sono obiettivi di attacchi palestinesi. Dopo la brutale uccisione del giovane Mohammed Abu Khdeir da parte di estremisti ebrei avvenuta due anni fa, i quartieri palestinesi del nord di Gerusalemme sono esplosi di rabbia. 

Molti degli attacchi violenti dell’attuale haba palestinese (esplosione in arabo) o dell’Intifada dei Coltelli, che è iniziata esattamente un anno fa a Gerusalemme, sono avvenuti in vari punti lungo la Road N. 1. Gli stessi simboli degli sforzi per unificare e “israelizzare” Gerusalemme sono divenuti teatri di violenza e di morte.

Nonostante l’ambizione israeliana di rappresentare Gerusalemme, con le parti annesse, come una città unificata, per molti anni Israele ha trascurato Gerusalemme Est, forse nella speranza che i suoi abitanti avrebbero preferito emigrare, rafforzando in tal modo la presa in queste zone. E ciò  si è particolarmente evidenziato nelle restrizioni sulle costruzioni palestinesi nella città. Almeno un terzo delle unità abitative di Gerusalemme Est sono state costruite senza permesso. 

Nonostante rappresentino circa il 40% degli 830.000 abitanti della città, i quartieri palestinesi hanno ricevuto soltanto il 10% del budget di bilancio comunale, in alcuni casi anche meno, provocando il più alto livello di povertà di Israele, uno sconcertante 75,3% sotto il livello di povertà di Gerusalemme Est. 

L’attuale sindaco, Nir Barkat, eletto otto anni fa, ha provato in qualche modo a cambiare questa triste realtà. Barkat, un convinto oppositore di qualsiasi concessione politica ai Palestinesi di Gerusalemme, ha sostenuto che soltanto attraverso il miglioramento delle condizioni di vita nei quartieri palestinesi Israele potrebbe affermare la propria indiscutibile sovranità sull’intera città. 

Gli investimenti a Gerusalemme Est sono aumentati durante la presidenza di Barkat, e la stampa israeliana è stata ricca di articoli che celebravano il processo di “israelizzazione” per mezzo del quale molti palestinesi gerosolimitani sono stati educati e poi utilizzati. 

Un sondaggio condotto dal Washington Institute nel 2011 – che ha rivelato che il 40% dei Palestinesi gerosolimitani preferirebbe avere la cittadinanza israeliana piuttosto che quella palestinese – è stato considerato come la prova che questo processo di “israelizzazione” era in via di attuazione. Un recente sondaggio ha fornito cifre anche maggiori: secondo questo il 52% dei Palestinesi vorrebbe essere israeliano se Gerusalemme fosse divisa tra Israele ed un futuro stato palestinese. 

Instabilità di Gerusalemme

In ogni caso, siano i sondaggi giusti o sbagliati, è abbastanza evidente che questo presunto processo di “israelizzazione” è avvenuto in modo veramente limitato. Come ha dimostrato Aviv Tartasky, un ricercatore della organizzazione per i diritti umani Ir Amim di Gerusalemme, le autorità israeliane non erano veramente pronte per “sostenere il prezzo” di un reale e significativo coinvolgimento dei Palestinesi nella vita urbana di Gerusalemme. 

Qualsiasi tentativo da parte dei Palestinesi di chiedere uguaglianza di diritti, anche attraverso la tacita legittimizzazione della sovranità israeliana in questa città contesa, è stato spazzato via o addirittura schiacciato. 

Nonostante questo presunto processo di “israelizzazione”, o forse proprio a causa di questo, Gerusalemme è divenuta il luogo più instabile di tutti i territori palestinesi. Nel luglio 2014 Shu’afat ed altri quartieri di Gerusalemme nord hanno iniziato la loro mini-Intifada dopo l’uccisione del giovane Abu Khdeir.

Nell’ottobre 2015, un accoltellamento avvenuto nella Città Vecchia è stato il segnale d’avvio per la “Intifada dei Coltelli” che continua tuttora, con alti e bassi. Lo stesso luogo che Israele voleva “israelizzare” si è trasformato nel luogo che ha visto nascere l’attuale ondata di violenza. 

Anche questa è stata una sorpresa per le autorità israeliane. Soltanto un mese fa, Barkat si era vantato con gli attivisti del Likud che Israele fosse riuscito a mantenere la calma a Gerusalemme Est grazie alla politica “del bastone e della carota”, riferendosi alla chiusura e ad altre punizioni collettive messe in piedi nei quartieri palestinesi dopo la prima ondata di accoltellamenti. 

“I cattivi residenti adesso hanno capito… che non è buono stare dalla parte del male”, è stato riportato da un suo discorso su Haaretz. 

Il suo vice, Meir Turgeman, che è anche il responsabile della commissione locale per le costruzioni, è stato ancora più esplicito. “Noi abbiamo sempre vissuto con la falsa speranza che se avessimo aiutato questa gente (i Palestinesi), avrebbero cambiato il loro comportamento animalesco”, ha detto Turgeman dopo le uccisioni di domenica, “invece il risultato è che ciò non ha aiutato per niente”. 

In risposta alle aggressioni, Turgeman ha anche annunciato che bloccherà tutti i progetti abitativi dei Palestinesi. 

Sogni differiti

Ohad Hemo, corrispondente del Channel Two di Israele, ha sostenuto che la crescita di Hamas e di altre organizzazioni islamiche a Gerusalemme e’ dovuta, in gran parte, alle azioni di Israele. 

Secondo Hemo, il fatto che Israele abbia mandato via l’Autorità Palestinese da Gerusalemme Est, processo che è iniziato con la chiusura dell’Orient House nel 2001, ha creato un vuoto che è stato riempito da Hamas. 

Abu Sbieh, l’aggressore di domenica scorsa, era attivo in varie organizzazioni islamiche. Era conosciuto a Gerusalemme Est come il Leone di al-Aqsa a causa della sua partecipazione a numerosi incidenti che avevano coinvolto poliziotti israeliani ed attivisti ebrei di estrema destra all’interno ed attorno a quello che i musulmani chiamano Haram a-Sharif e quello che gli ebrei chiamano Monte del Tempio. 

Essere identificato come uno dei difensori di al-Aqsa contro i tentativi israeliani di cambiare lo status del luogo sacro per entrambi – certamente l’argomento più delicato tra i Palestinesi sia a Gerusalemme che altrove – spiega l’ampio supporto che l’azione di Abu Sbieh ha ottenuto a Gerusalemme Est. Se vi era imbarazzo tra la gente palestinese a proposito del coinvolgimento negli accoltellamenti di giovanissimi Palestinesi, a volte anche bambini di 12 anni, non è stato il caso di Abu Sbieh. 

A 39 anni, Abu Sbieh è molto lontano dal profilo medio dei Palestinesi che hanno preso parte alle aggressioni, reali o presunte, contro forze di sicurezza israeliane o civili. Il fatto che abbia utilizzato un normale fucile automatico F16 può essere indicativo di quanto non si sia trattato soltanto di un altro attacco non pianificato, spontaneo. E’ un attacco che rassomiglia alla Seconda Intifada piuttosto che a quelli che abbiamo visto nell’ultimo anno. 

E’ troppo presto per dire se l’incidente di domenica sarà effettivamente il punto di svolta verso un confronto più violento tra Israeliani e Palestinesi. Permangono ancora dubbi a proposito delle sue reali motivazioni. 

Ma ancora una volta Gerusalemme ha provato che con l’attuale politica israeliana, ha più di una possibilità di diventare teatro di violenze, minacciando di propagarsi agli altri territori palestinesi, piuttosto che essere il laboratorio di una “israelizzazione” forzata.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi

Meron Rapoport è un giornalista e scrittore israeliano, vincitore del Premio Internazionale di Napoli per il Giornalismo grazie ad una inchiesta sul furto di alberi di olivo compiuto ai danni dei legittimi proprietari palestinesi. E’ stato capo del dipartimento delle news di Haaretz, ed ora è un giornalista indipendente.