La lobby sionista divisa tra Kenneth Bob e Mort Klein su Black Lives Matter, ma unita nel razzismo coloniale

Di L.P. Dopo la morte di George Floyd e di altri manifestanti neri per mano della polizia, sono scoppiate tantissime manifestazioni, anche represse con violenza, e presidi in tutto il mondo al grido “Black lives matter”.

Questo slogan è diventato un vero problema per la lobby sionista negli USA perché ha visto molti suoi esponenti esporsi in modo diverso, molti per posizioni di comodo, creando diverse querelle tra di loro.

Primo tra tutti è stato Mort Klein, capo dell’Organizzazione Sionista d’America (ZOA), organizzazione conservatrice sionista negli USA, che ha twittato descrivendo il movimento una manifestazione di odio nero contro gli ebrei, contro i bianchi, contro Israele e finanziato da Soros. Ed è un altro sionista a rispondergli, Kenneth Bob, presidente di Ameinu, gruppo liberale progressista filo-israeliano, facendo appello tra le organizzazioni ebraiche americane a prendere posizione ed esprimendo indignazione per le parole di Klein.

Come mai la lobby sionista fa guerre interne in modo così agguerrito in questo periodo sul tema dei diritti degli afroamericani?

Sostanzialmente sono le elezioni americani a dividerla, mentre le sue correnti interne iniziano a preparare il terreno per le future campagne elettorali: Mort Klein e la sua organizzazione sionista conservatrice dalla parte del Partito Repubblicano; Kenneth Bob e molti altri dalla parte del Partito Democratico.

Ovviamente i Democratici stanno cavalcando l’onda del movimento Black Lives Matter per poter cercare un bacino di voti da indirizzare verso Joe Biden, opponendosi alla retorica razzista dei Repubblicani, ma il movimento Black Lives Matter non sembra coinvolto. Infatti il movimento nasce qualche anno fa, non recentemente come i media hanno fatto credere, e già si era espresso sia contro i democratici sia contro i repubblicani perché entrambi sono facce della stessa medaglia: i Repubblicani sono dichiaratamente xenofobi, mentre i Democratici continuano ad assimilare il discorso antirazzista al discorso neo-liberale. Unica banale e superficiale differenza, che dimostra la natura intrinsecamente razzista di entrambi i partiti di stampo liberale. Il movimento Black Lives Matter ha capito che non hanno mai avuto la minima intenzione di cambiare le carte in tavola e che i loro discorsi sono funzionali al potere. Con apparenza retorica si vogliono mostrare la soluzione nonostante siano il problema che ha causato le crescenti disuguaglianze sociali negli USA. Nel 2016 BLM aveva aderito alla piattaforma di supporto per il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele a causa della violazione dei diritti del popolo palestinese. Ciò costò molto caro al movimento, acquisendosi così attacchi dai principali partiti dell’establishment statunitense.

Klein ha dichiarato in un’intervista che lo scopo principale della Conferenza è difendere Israele, ed è per questo che ha pubblicato i tweet contro Black Lives Matter. Su questo, l’ala sionista di Kenneth Bob non si è espressa. Ciò che risulta strano infatti è che sono apparentemente divisi sull’indignazione nazionale per il razzismo e la brutalità della polizia, ma sono concretamente sostenitori di razzismo e repressione della polizia in Palestina. Si scannano sulle rivolte contro il razzismo negli USA, ma al contempo sono fieramente uniti nell’oppressione sionista e nell’occupazione illegali dei territori palestinesi: il più grande esempio di apartheid e razzismo coloniale. Sostanzialmente sono razzisti che diventano “antirazzisti” occasionalmente, solo in determinate situazioni o per convenienza, soprattutto quando si tratta di prendere voti.

Il gruppo di Klein, ZOA, è sostenuto da Sheldon Adelson, il magnate dei casinò finanziatore della campagna elettorale di Trump nel 2016 per 45 milioni di dollari ed ardente sionista che fornisce ingenti somme ai repubblicani, a cause d’estrema destra e finanzia i Vegan Birthright Trip, il “turismo ebraico vegan” in Israele, quintessenza delle operazioni di veganwashing israeliano contro il popolo palestinese, la sua terra e i suoi costumi con il fine di sancirne l’eliminazione storica e culturale. Secondo Forbes, Adelson sarebbe la ventitreesima persona più ricca del mondo con un patrimonio stimato di 26,52 miliardi di dollari.

Dall’altra parte invece Kenneth Bob, presidente di Ameinu, un’organizzazione sionista liberale molto vicina al Partito Democratico negli USA. “È membro del Board of Governors dell’Agenzia Ebraica per Israele, dell’Esecutivo dell’Organizzazione Sionista Mondiale e del Board del J Street Education Fund. È ex presidente della Habonim Dror Foundation, l’associazione nazionale ex-alunni del movimento giovanile sionista del lavoro, fornendo supporto finanziario per la loro programmazione educativa in tutto il Nord America. Nella sua vita professionale, Ken è un imprenditore esperto e attualmente ricopre il ruolo di Presidente di RenewTricity, una società di sviluppo di energia solare.” – così si legge sul sito dell’ American Zionist Movement.

Due fazioni interne amiche che su questo argomento hanno condotto una battaglia verbale ed un ostracismo interno che raramente si vedono nel mondo sionista, il cui motto è l’unità. The Forward ha inviato, un mese fa, un’email a 92 leader delle oltre 50 organizzazioni membri della Conferenza, chiedendo se i tweet di Klein fossero compatibili con la missione della Conferenza Sionista. I primi a rispondere sono stati: lo stesso Kenneth Bob; Hadar Susskind, Amministratore Delegato di Americans for Peace Now; Mark Hetfield, Amministratore Delegato di HIAS; Robert Aronson, Presidente del consiglio HIAS e Bennett Miller, presidente dell’Associazione dei Sionisti Riformatori. Tutti hanno condannato i tweet di Klein.

Susskind ha scritto su Twitter che si dovrebbe cacciare direttamente Klein dalla Conferenza. I membri di HIAS non sono stati per nulla leggeri con le affermazioni contro di lui, reduci degli ostacoli che lo stesso Klein aveva posto ad un vertice dell’associazione in passato. Hetfield ha affermato che la conferenza ha unità su “alcune questioni fondamentali”, come la promozione di “una forte relazione tra Israele e gli Stati Uniti, la lotta contro i pregiudizi nei confronti di Israele, il sostegno alle comunità ebraiche vulnerabili e la lotta all’antisemitismo”. Ma tollerando Klein, Hetfield ha dichiarato che la conferenza rende impossibile, per i leader ebrei, opporsi in modo credibile all’odio e connettersi con altre comunità, che è anche parte della sua missione.

A calmare gli animi è stato Bob, il quale ha affermato che il bisogno più immediato è che Klein moderi le sue dichiarazioni, concentrandosi più sulla moderazione rispetto che ad una condanna.

Due correnti diverse dunque che se le danno a morte durante qualsiasi campagna elettorale presidenziale americana, ma che si aiutano molto soprattutto quando si tratta di difendere Israele. Non a caso infatti, nel 2015, Sheldon Adelson aveva sostenuto una campagna di raccolta fondi per lo Stato Ebraico insieme a Haim Saban, sionista della prima ora sostenitore del Partito Democratico. Haim Saban non ha rilasciato quest’anno dichiarazioni sulle manifestazioni BLM, né sull’omicidio di George Floyd e nemmeno sulle violenze della polizia, anche se in passato ha dovuto subire forti contestazioni.

Secondo il Jewish Insider, è stato uno dei principali sostenitori miliardari israeliani-americani che ha contribuito con quasi 10 milioni di dollari ai super PAC a sostegno della candidatura di Hillary Clinton. Haim Saban è stato un nemico dichiarato di Black Lives Matters, movimento che nel 2016 era presente tra i 100 manifestanti filo-palestinesi, insieme ad Al-Awda: The Palestinian Right to Return e Friends of Sabeel, alla protesta fuori dalla sua proprietà in cui si teneva una raccolta fondi per la candidata democratica Hillary Clinton. Protestavano contro la sua opposizione ai diritti dei palestinesi ed è per questo che, nel 2016, Haim Saban ha dichiarato che Donald Trump non fosse né razzista né antisemita, ma che Black Lives Matter fosse antisemita perché impegnato a sostenere i diritti dei palestinesi. Inoltre, a luglio 2019, ha rilasciato dichiarazione per Hollywoodreporter insieme a sua moglie Cheryl, sulle elezioni presidenziali 2020. Ha detto di adorare “tutti e 23 i candidati”, aggiungendo “No, meno uno. Non mi piace molto Bernie Sanders, (…) È un comunista sotto la copertura di essere un socialista. Pensa che ogni miliardario sia un imbroglione. Ci chiama la classe miliardaria. E ci attacca indiscriminatamente. (…) Ecco come pensano i comunisti. Quindi 22 sono fantastici. Uno è una zona disastrata”.

Questa coppia di miliardari, secondo Forbes con un patrimonio di 3,6 miliardi di dollari, sono considerati l’exemplum di filantropia, beneficenza e di “persone per bene” negli USA. Filantropia fatta di finanziamenti ingenti ad un Partito, opere di beneficenza ad Hollywood e nel mondo dell’arte. Possono fare tutta le beneficenze che vogliono, ma le diseguaglianze sociali non si colmano facendo donazioni, pulendosi la coscienza ed apparendo delle “brave persone” solo perché ce lo si può permettere. Questa è l’origine dell’ipocrisia della società neoliberale e delle diseguaglianze sociali, che si possono colmare solo con un cambiamento sociale.

La lobby sionista può rilasciare dichiarazioni a livello mediatico con un certo impatto su buona parte della popolazione americana, può dirottare migliaia di voti, ma quando si accorgerà veramente dell’essenza del Movimento Black Lives Matter, sia la corrente progressista sia la corrente conservatrice inizieranno ad attaccarlo come hanno sempre fatto. Un movimento che interseca le categorie di “classe”, “razza” e “genere” non può per definizione piacere a chi sostiene un’oppressione coloniale di un popolo che si materializza in un’oppressione di classe e in un’oppressione di genere. Un movimento che sembra riprendere il titolo di uno dei più grandi saggi del femminismo intersezionale “Donne, classe e razza” di Angela Davis, la rivoluzionaria delle Black Panthers e sostenitrice dei diritti del popolo palestinese che pochi giorni fa è scesa in piazza con BLM per ribadire ancora una volta cosa significhi “giustizia razziale”. Non come la intende Joe Biden, non come la intendono i guerrafondai e non come la intendono correnti della lobby sionista. Non è nemmeno come la intendono i sionisti liberali che sono scesi in piazza a Tel Aviv qualche settimana fa al grido di “Palestinian Lives Matter” strumentalizzando lo slogan con il fine di proporre lo Stato Unico come soluzione temendo lo scoppio di rivolte palestinesi contro l’Accordo del Secolo, il Piano Trump, il sionismo come “supremazia ebraica”, le nuove annessione illegali di Netanyahu e la ridefinizione di una nuova geografia coloniale.

“Giustizia razziale” significa porre fine alle discriminazioni di razza e a tutte le forme di apartheid: dagli indigeni americani espropriati per la costruzione di oleodotti alla condizione sociale degli afroamericani nel Bronx, dal Muro del Messico al Muro cisgiordano, dai bambini rinchiusi in gabbie a confine con il Messico ai checkpoint in Israele; dalla liberazione dei curdi alla liberazione dei palestinesi. Il movimento Black Lives Matter non chiede giustizia per tutte queste categorie integrandole nella società liberale, ma vuole che siano un punto di partenza per una società diversa che non si fondi sul dogma della sicurezza e sullo Stato di Polizia, ma sullo Stato di Diritto.

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