Oggi è Yaser Murtaja ad apparire, con un sorriso splendente sul volto, come simbolo dei media palestinesi e dei sacrifici di fotografi e corrispondenti sul campo, sotto il fuoco israeliano. Un cecchino israeliano ha colpito Murtaja mentre stava documentando la seconda settimana della «Grande marcia del ritorno», nei sobborghi orientali della Striscia di Gaza, venerdì 6 aprile. Era impegnato a scattare fotografie, anche quando un soldato israeliano lo inseguiva con il dito sul grilletto. Il giornalista è caduto con la sua fotocamera.
Il suo ambizioso desiderio di poter vedere la sua patria dall’alto non si limitava a se stesso: è stato uno dei primi a utilizzare un drone fotografico nella Striscia di Gaza.
L’unico aeroporto dell’enclave è stato bombardato da Israele meno di due anni dopo la sua apertura. Yaser Murtaja ha provato a passare il valico di Rafah, pochi mesi prima di essere colpito e ucciso dall’esercito israeliano, ma i suoi ripetuti tentativi sono falliti per i rigidi blocchi imposti dalle autorità di frontiera egiziane. Non aveva nessuna possibilità di attraversare la frontiera di Beit Hanoun/Erez, controllata dagli israeliani.
Il sogno di viaggiare del giornalista non è svanito con il suo ultimo respiro. Con il suo viso sorridente Yaser Murtaja è stato innalzato sopra l’orizzonte agli occhi della sua gente. Oggi egli è visto come un modello di coraggio che ha fotografato la realtà dell’occupazione, da cui la leadership israeliana cerca di distogliere l’attenzione, colpendo reporter e foto giornalisti.
Quando due venerdì fa è uscito a fotografare le proteste di massa, Murtaja voleva cogliere l’immagine straordinaria delle nonne palestinesi vestite con abiti ricamati su carri spinti dal bestiame, ognuna con la sua bandiera palestinese. Profughi anziani camminavano aiutandosi con bastoni di legno, diretti verso le loro città occupate dalla nakba del 1948. Persone ferite, colpite dai cecchini israeliani solo una settimana prima, insistevano per partecipare ancora alle dimostrazioni, anche se trasportati sulle spalle di parenti e amici. Insieme alle altre migliaia di uomini, donne e bambini, a chiedere il legittimo ritorno alle loro città e villaggi oltre il confine, che non hanno mai visto, ma che conoscono dettagliatamente di generazione in generazione.
Il popolo palestinese ha catturato l’attenzione dei media, quel giorno, con uno stile straordinario. Una enorme cortina di fumo elevatasi da pneumatici in fiamme lo ha protetto dalle torri di avvistamento dei soldati israeliani, in un uso non ortodosso di emissioni di fumo. Il messaggio è stato che Gaza non soffocherà da sola, anche se l’isolamento internazionale e il blocco resteranno e i diritti dei profughi palestinesi continueranno ad essere ignorati.
Yaser Murtaja, ferito a morte, è stato accompagnato alla tomba dalla comunità che egli ha servito. Le sue fotografie, però, restano a disposizione del mondo come prova delle atrocità israeliane e delle continue violazioni dei diritti umani, del diritto internazionale e delle convenzioni. L’uomo è caduto, la sua eredità fotografica no.
Traduzione di Stefano Di Felice