La mappa palestinese dopo la proclamazione dello Stato

Londra- InfoPal. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato la Palestina “uno Stato osservatore non membro”, che si estende all’interno dei confini del giugno 1967, con Gerusalemme Est capitale. Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas ha affermato che questo riconoscimento è “un primo passo verso la realizzazione di uno Stato palestinese”. 

All’alba di venerdì 30 novembre, Il ministero degli esteri palestinese ha commentato il voto dell’Assemblea generale, affermando che “ tale voto assicura l’immortalità della Palestina, sorta all’interno dei confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale”. 

Tuttavia, nelle menti dei palestinesi, ovunque presenti, la Palestina viene associata alla mappa storica, cioè quella che comprende i territori occupati nel 1948, con tutti i significati simbolici che rappresenta. Mentre le fazioni della resistenza palestinese non rinunciano alla Palestina storica, e ritengono che la proclamazione dello Stato sui confini del 1967 rappresenti “una delle fasi del processo di liberazione di tutta la Palestina” , e ribadiscono il proprio rifiuto di riconoscere Israele. 

Dunque, dopo aver ottenuto il nuovo status alle Nazioni Unite, questa mappa cambia, ora essa comprende la Cisgiordania, Gerusalemme compresa , e la Striscia di Gaza. 

Tuttavia, i confini del giugno 1967 non rappresenteranno quelli definitivi, specialmente in Cisgiordania, in quanto nell’ambito dei futuri negoziati, come confermato dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, verranno effettuati degli scambi di terra, tenendo conto della “nuova realtà demografica degli israeliani” (alla luce delle costruzioni coloniali in Cisgiordania). Mentre voci politiche israeliane assicurano che il nuovo confine sarà basato sul Muro di Annessione e non sulla linea del’67. 

Uno Stato che comprende solo il 22% della Palestina. Con il voto dell’Assemblea generale, la Palestina può essere definita: “Uno Stato osservatore non membro” e non indipendente delle Nazioni Unite, istituito su una parte del territorio della Palestina storica. L’Autorità palestinese aveva iniziato ufficialmente i negoziati nel 1994, basandosi sui confini dei territori occupati nel 1967, Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Cioè il 22 per cento della Palestina storica, abitato da circa il 40 per cento del popolo palestinese in tutto il mondo. 

Nel 1988, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), ha adottato ufficialmente la soluzione dei due Stati, accettando di vivere al fianco di Israele in condizioni che garantiscono la pace duratura, assicurano il ritorno dei rifugiati palestinesi e l’indipendenza nei territori occupati nel 1967, con Gerusalemme Est come capitale.

Il 9 settembre 1993, in una lettera ufficiale al primo ministro israeliano dell’epoca, Yitzhak Rabin, l’allora presidente del Comitato esecutivo dell’Olp, Yasser Arafat, riconobbe ufficialmente Israele, ricevendo in cambio il riconoscimento israeliano all’Olp come unico legittimo rappresentante del popolo palestinese. Come conseguenza, nacque l’Autorità palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, che è considerata un risultato degli accordi di Oslo, raggiunti tra l’Olp e Israele.

Cenni storici. Nel 1948, le bande sioniste hanno occupato il 78% dei territori palestinesi, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza rimasero nelle mani degli arabi. Mentre nel 1949, Israele, fondata sui territori del’48 è diventato membro delle Nazioni Unite. 

Nel 1967 Israele ha occupato la Cisgiordania (Gerusalemme Est e la moschea al-Aqsa comprese), la Striscia di Gaza, le alture del Golan e il Sinai, tali territori vennero definiti “occupati”. Da allora Israele ha costruito gli insediamenti (per i cittadini ebrei) in Cisgiordania, la Striscia di Gaza e le alture del Golan. Nonostante il rifiuto della comunità internazionale dell’occupazione israeliana e dell costruzioni coloniali, essa è andata avanti seguendo la politica dei fatti compiuti. 

Nel 1974, l’Olp ottenne lo status di “osservatore” presso le Nazioni Unite e Yasser Arafat tenne un discorso storico nella sede dell’Onu.

Nel 1993 fu avviato il processo di pace che avrebbe fruttato ai palestinesi un autogoverno (non uno Stato) in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, con la speranza che il processo di pace sarebbe avanzato fino al punto in cui le due parti avrebbero concordato la nascita dello Stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Nel settembre 2011, l’Autorità Palestinese, nel contesto di stallo in cui versava il processo di pace, ha richiesto il riconoscimento dello Stato palestinese all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. In quel caso, per ottenere quel status, due terzi dei membri dell’Assemblea Generale dell’Onu, oltre al Consiglio di Sicurezza, avrebbero dovuto votare a favore, tuttavia gli Usa hanno impiegato il diritto di veto, ostacolando gli sforzi palestinesi. 

Dopo quasi un anno, il 29 novembre 2012, i palestinesi hanno richiesto, ed ottenuto lo status di “Stato osservatore non membro” presso le Nazioni Unite. Con la maggioranza dei voti a favore, 9 contrari e 41 astenuti. 

Tuttavia, la situazione sul campo è diversa, Israele ha il controllo totale sui confini della Cisgiordania, sia terrestri che aerei, mentre assedia la Striscia di Gaza e controlla il suo spazio aereo e marittimo.

Stato non membro. Dopo il fallimento dell’Autorità palestinese nell’ottenere un seggio permanente alle Nazioni Unite, nel settembre del 2011, essa ha deciso di puntare su un nuovo status chiamato “Stato osservatore non membro”. Secondo alcuni riferimenti giuridici, tale termine non ha alcun fondamento giuridico in seno alle Nazioni Unite, esisterebbe invece lo status di “Stato osservatore permanente”, posseduto da un unico Stato, il Vaticano. Mentre l’Olp divenne osservatore presso l’Onu nel 1974, ma come entità e non come Stato. Con quel riconoscimento, l’Olp poté diffondere i suoi messaggi senza intermediari, e ottenne il diritto di partecipare ai dibattiti dell’Assemblea generale dell’Onu. 

Secondo gli studi legali presentati ai negoziatori palestinesi, ciò che accadrebbe in seguito alla proclamazione dell’Assemblea generale dell’Onu, sarebbe trasferire lo status di osservatore dall’Olp all’Anp, e ciò non le aggiungerebbe alcuna legittimità, poteri di Stato e nemmeno quelli di “uno Stato non pienamente membro”, in quanto l’Anp avrebbe richiesto di ottenere i diritti di uno Stato sotto occupazione, e non quelli di uno Stato indipendente e con piena sovranità sui propri territori. 

La soluzione dei due Stati. Per risolvere il conflitto arabo – israeliano, venne proposta la soluzioni dei due Stati che convivono sui territori della Palestina storica. Tale soluzione, conosciuta come “risoluzione 242” , fu approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu dopo la guerra del 1967, nel corso della quale Israele ha occupato il resto del territorio della Palestina storica. Nel 1974, il Consiglio nazionale palestinese l’ha proposta come soluzione provvisoria, incontrando il rifiuto secco delle fazioni palestinesi, che formarono “il fronte del rifiuto”. Sempre la stessa soluzione è stata rilanciata dall’amministrazione americana dell’era di George W. Bush. 

Secondo alcuni, la soluzione dei due Stati sarebbe un termine ambiguo che può essere interpretato in diverse maniere, tutte  in contrasto tra loro. 

La realtà attuale, vede la storica Palestina divisa tra due entità politiche, Israele che si estende sul 78% del territorio della Palestina storica, e l’Autorità palestinese, che ottenendo lo status di “Stato non membro” presso l’Onu, si estende all’interno dei confini del 1967, comprendendo la Cisgiordania, Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza, il tutto costituisce il 22 per cento della Palestina storica. 

Secondo i ricercatori, la soluzione dei due Stati sarebbe di difficile applicazione sul terreno, in quanto lo Stato palestinese comprenderebbe meno della metà della Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Di fatto Israele cerca di rafforzare il suo controllo sulla Cisgiordania, attraverso lo sviluppo degli insediamenti, che hanno raggiunto le 180 unità con una popolazione di 720 mila israeliani distribuiti in Cisgiordania e Gerusalemme.

Questi fatti, in aggiunta al Muro di Annessione,  renderebbero lo Stato palestinese una specie di arcipelago di isole frammentate che Israele può controllare facilmente. 

Dal canto suo, Israele considera lo Stato palestinese alla stregua di un’autonomia locale, che si limita a gestire le pratiche amministrative e religiose dei cittadini, non ha la possibilità di dotarsi di un esercito e deve riconoscere Israele come “Stato ebraico”. Inoltre la sovranità, la sicurezza, il controllo delle risorse e le frontiere rimarrebbero in mano israeliana. Per quanto riguarda Gerusalemme, Israele rifiuta la divisione della città e permette ai palestinesi di avere un controllo limitato in alcuni quartieri, lontani dal centro e circondati dai posti di blocco. 

La Soluzione permanente. Sarebbe il passo finale di un lungo percorso avviato a Madrid nel 1991, che negli ultimi anni ha sofferto molte battute d’arresto, nonostante ciò, gli incontri e i contatti tra le due parti (israeliani e palestinesi) non sono stati mai interrotti. 

Secondo i documenti ufficiali, le questioni rimaste sul tavolo sarebbero: I profughi, Gerusalemme, gli insediamenti e lo Stato. Ciascuna delle due parti ha un proprio punto di vista, relativo a ciascuna delle questioni:

I profughi :

Posizione palestinese 

Una giusta e concordata soluzione del problema dovrà essere raggiunta attraverso i negoziati e sulla base della risoluzione Onu n ° 194 per l’anno 1948, dell’iniziativa araba adottata in occasione del vertice di Beirut nel 2002 e la Road Map, annunciata dal presidente George W. Bush nel 2002. 

I negoziatori palestinesi non hanno spiegato il senso della frase” giusta e concordata soluzione”, tuttavia essi hanno confermato che tale soluzione dovrà essere concordata con Israele.

Inoltre, i negoziatori palestinesi non hanno utilizzato la parola “diritto di ritorno”, e non hanno definito il luogo nel quale rientrerebbero i profughi palestinesi, se si tratta dei territori del’48 e del’67, o solo quelli sui quali sorgerebbe lo Stato palestinese. 

Posizione israeliana 

Rifiuto assoluto del diritto al ritorno, considerandolo un discorso mitologico appartenente agli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, lontano dalla realtà e non più valido nelle attuali condizioni. 

Gli Insediamenti:

Posizione palestinese 

Secondo i negoziatori palestinesi, gli insediamenti sono dei focolai illegali, cui costruzione dovrà essere sospesa, in linea con quanto decretato dalla Road Map del 2002. 

Tuttavia, i negoziatori palestinesi non hanno ribadito ciò che affermavano in precedenza, cioè che gli insediamenti costruiti dopo il 1967 vanno demoliti. Compresi quelli di grande dimensione, come Ma’ale Adumim, che Tel Aviv ha dichiarato di volerlo annettere allo Stato ebraico, come rappresaglia per l’ultimo successo palestinese all’Onu. 

Dunque i negoziatori palestinesi si attengono alla Road Map, che prevede di sospendere l’espansione degli insediamenti esistenti, e non fanno nessun riferimento alla lettera inviata dal presidente Usa, George W. Bush, al primo ministro israeliano Ariel Sharon, nel 2004, nella quale Bush ha affermato che non si può ignorare la realtà demografica negli insediamenti. Ciò è stato interpretato da Israele come licenza per la crescita naturale degli insediamenti. 

Posizione israeliana 

Distingue tra tra due tipi di insediamenti, legali e abusivi (costruiti illegalmente dai coloni). Per quanto riguarda le colonie abusive, 250 in totale e con pochi abitanti, Israele accetterebbe dei compromessi. Invece quelle di grandi dimensioni, come Ma’ale Adumim, sono considerate una parte di Israele.

Gerusalemme:

Posizione palestinese 

Gerusalemme Est, ccupata nel 1967, dovrà essere la capitale di un futuro Stato palestinese, che offrirà delle garanzie per l’accesso ai luoghi di culto, tra cui il Muro del Pianto, dovo gli ebrei potranno eseguire le loro preghiere. Inoltre, la spianata della moschea di al-Aqsa dovrà essere sotto il totale controllo palestinese. 

I negoziatori palestinesi hanno anche chiesto la rimozione dell’insediamento di “Har Homa”, a Jabal Abu Ghneim, considerato l’ultimo passo intrapreso da Israele, per isolare Gerusalemme Est dalla Cisgiordania in modo permanente. 

Posizione israeliana 

Le autorità di occupazione israeliane rifiutano di riconoscere Gerusalemme Est come capitale di un futuro Stato palestinese. Tale posizione fu resa ufficiale dal Knesset, che nel 1980 decretò Gerusalemme “capitale eterna e indivisa dello Stato di Israele”. 

Israele ha inoltre affermato di aver ritirato quanto proposto durante i negoziati di Camp David nel 2000, circa la sua disponibilità a dividere Gerusalemme. Lo Stato ebraico si rifiuta di rimuovere la colonia Ma’ale Adumim, considerandola una parte integrante di Gerusalemme.

Lo Stato

Posizione palestinese 

Lo Stato palestinese sorgerebbe sul 22 per cento dei territori della Palestina storica, posizionati all’interno dei confini del 1967, e avrà Gerusalemme Est come propria capitale. Inoltre, i territori sui quale sorgerà, dovrebbero essere contigui e non divisi da autostrade tangenziali che collegano gli insediamenti tra loro, o dal Muro di Annessione.

Per i negoziatori palestinesi, lo Stato dovrà essere collegato con il resto del mondo attraverso i porti, gli aeroporti e i valichi terrestri. 

Posizione israeliana 

Israele si impegna (nell’ambito della soluzione permanente) a riconoscere uno Stato palestinese, dove i palestinesi si possono riunire in modo che Israele rimanga uno stato puramente ebraico. Tuttavia, e alla luce del nuovo status ottenuto dall’Autorità palestinese presso l’Onu, che Tel Aviv considera una mossa unilaterale, e pertanto considera gli accordi di Oslo nulli. 

Inoltre, Israele vorrebbe anche determinare i dettagli dello Stato palestinese, e la sovranità che l’Anp può esercitare al suo interno, così come decidere criteri e condizioni per l’acceso, via mare, terra o aria, in modo che possa difendersi da qualsiasi potenziale minaccia terroristica. Infine, Israele non ha ancora indicato, con precisione, la dimensione della superficie di terra sulla quale i palestinesi potranno stabilire il loro Stato.