‘La Palestina non è uno Stato quindi, nessuna giustizia sui crimini israeliani’. Parola della Corte penale Int.le

‘La Palestina non è uno Stato quindi, nessuna giustizia sui crimini israeliani’. Parola della Corte penale Int.le

Palestina occupata – InfoPal. “La Corte Penale Internazionale (CPI) non indagherà sui crimini di guerra commessi dallo Stato di Israele nell’offensiva contro Gaza (Operazione ‘Piombo Fuso’, 2008-2009) poiché ‘la Palestina non è uno Stato pienamente sovrano’”.

Questo è quanto ha concluso – con un ritardo di 3 anni rispetto alla data di presentazione dell’accusa da parte palestinese (22 gennaio 2009) – il procuratore della CPI, Luis Moreno-Ocampo, ignorando il fatto che oltre 130 nazioni hanno riconosciuto lo Stato palestinese insieme ad alcune Agenzie delle Nazioni Unite.

Durante Piombo Fuso: 1.400 palestinesi furono assassinati a Gaza da Israele, in tre settimane (22 giorni). 300 erano bambini, 115 donne e 85 anziani, e in gran parte erano civili. 5000 palestinesi furono feriti. Oltre 3.500 abitazioni furono distrutte, 20mila palestinesi rimasero senza casa, molti dei quali vivono ancora in situazioni temporanee. I danni materiali sono stimati in cifre miliardarie.

Su quei crimini di guerra, un comitato d’inchiesta Onu aveva individuato gravi infrazioni commesse da Israele alla IV Convenzione di Ginevra nella quale si vietano gli assassinii premeditati come il gratuito arrecare sofferenze alle persone protette.

“Lo status della Palestina presso l’Onu è quello di membro osservatore, dunque, a questo stadio, la CPI non può indagare su accuse di crimini di guerra commesse nei Territori palestinesi”, è stata la spiegazione di Ocampo.

Nel 2011 il presidente dell’Autorità palestinese (Anp), Mahmoud ‘Abbas, aveva intrapreso un percorso tutto in salita nel foro internazionale proprio allo scopo di ottenere quel riconoscimento della Palestina in qualità di Stato presso il Consiglio di Sicurezza Onu.
Poi, era stato contrapposto il veto Usa e, soprattutto, non era seguita alcuna raccomandazione da parte del Consiglio riguardo all’ammissione della Palestina nell’organo Onu.

Le reazioni in campo dei Diritti Umani. Amnesty International (AI), organizzazione con poteri consultivi presso l’Onu, ha riconosciuto come la decisione della CPI neghi alle vittime di Gaza il diritto ad avere giustizia e contenga faziosità politica.

“I giudici della CPI dovrebbero pronunciarsi in merito alla giurisdizione dell’organo giudiziario, e invece – continua AI -, il procuratore si sottrae alla domanda”.

Il direttore della campagna International Justice di AI, Marek Marczynski, ha osservato: “Per tre anni, il procuratore ha preso in esame la questione ‘crimini di guerra di Israele a Gaza’ sottopostagli dall’Anp in termini di statalità o non statalità della Palestina, valutando se il caso quindi rientrasse di diritto nella competenza giurisdizionale della CPI. (…) Quando, però, abbiamo chiesto al procuratore di fornire chiarificazioni sulla natura del mandato della CPI, Ocampo si è rifiutato di rispondere e ha trasferito l’intera questione alle parti politiche”.

Da Ginevra, i membri dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo per i Diritti Umani si dicono “scioccati” dalla futilità dei pretesti adottati dal procuratore della CPI.

“Già questa decisione arriva a distanza di tre anni, inoltre, essa è palesemente un tentativo di sottrarsi al rispetto del mandato derivante dallo Statuto di Roma (2002), lo stesso che poneva le basi fondative della CPI”.

“All’art.5, comma 4, dello Statuto si dispone: ‘Se la Camera Preliminare, dopo aver esaminato la richiesta e gli elementi giustificativi che l’accompagnano, ritiene che vi sia un ragionevole fondamento per avviare indagini e che il caso appaia ricadere nella competenza della Corte, essa dà la sua autorizzazione senza pregiudizio per le successive decisioni della Corte in materia di competenza e di procedibilità’”.

Il direttore regionale dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo, Amani as-Sinwar, parla di “fuga dalla responsabilità umana e professionale del procuratore della CPI che dà luogo a ulteriore margine di manovra, ci compiere altri crimini di guerra, ai responsabili che continueranno ad uccidere indisturbati”.

“La natura della spiegazione fornita da Ocampo svela discriminazioni politiche”.

Israele “ha lavorato in modo strisciante”. Avigdor Lieberman, ministro degli Esteri di Israele, ha ammesso di aver lavorato sodo per ostacolare che la mozione presentata dai palestinesi alla CPI non venissa accolta dall’organo gudiziario penale internazionale.
A Ynet Lieberman dice: “Abbiamo lavorato in maniera altamente professionale, con molta discrezione e cautela, soprattutto, lontano dai media”.

Tra le modalità con cui Israele ha lavorato per sabotare il caso alla CPI emergono contenuti  da alcuni documenti diplomatici segreti del Dipartimento di Stato Usa, resi pubblici da WikiLeaks.

Dal documento si comprende come una delle ragioni principali per le quali Israele è talmente risoluto a impedire la realizzazione dello Stato palestinese, è riuscire a tenere i Territori palestinesi al di fuori della giurisdizione della CPI, la quale, appunto, dovrebbe perseguire penalmente i crimini di guerra.

Alcune indiscrezioni trapelate dal documento. Il procuratore generale militare israeliano, Avichai Mandelblit, incontrò l’ambasciatore Usa James B. Cunningham – era febbraio 2010 – quando i due discussero delle indagini per cattiva condotta negli attacchi israeliani su Gaza durante Piombo Fuso.

In quell’occsione, Mandelblit richiamò all’attenzione di Cunningham l’azione penale presentata dal ministro della Giustizia dell’Anp, ‘Ali Kashan, al procuratore della CPI, Ocampo, chiedendo di indagare sui crimini di guerra commessi da Israele a partire dal 2002 fino a Piombo Fuso.

Si legge nel documento: “Mandelblit affermava che ad Ocampo fossero state sottoposte diverse questioni legali, ma chiariva che la CPI non ne avesse la giurisdizione legale proprio in ragione dello status di ‘non Stato’ dell’Anp”.

Il dialogo poi, si affievolisce nei toni dal momento che la dichiarata obiezione israeliana al riconoscimento dello Stato palestinese in sede Onu, è ritenuta noiosa e strettamente legata a questioni di ordine politico.

Dopo aver chiesto più volte agli Usa di “rilasciare in pubblico dichiarazioni a sostegno della tesi secondo cui la CPI non ne avesse giurisdizione” Mandelblit “avverte l’Anp che un’azione di questo genere equivarebbe a una dichiarazione di guerra al governo di Israele”.

In più punti del documento, sembra che Mandelblit tenti di raggirare la questione dei crimini di guerra, tuttavia non nega il fatto che effettivamente quei crimini a Gaza siano stati commessi, semplicemente, li congeda con manovre tecniche.

Insieme a Mandelblit era presente anche il capo del Dipartimento di legge internazionale dell’esercito israeliano, il col. Liron Libman, il quale commenta: “La CPI rappresenta l’affare maggiormente lesivo per Israele”.

Mandelblit è lo stesso che aveva accantonato anche la missione d’inchiesta Onu sulle responsabilità di Piombo fuso – il noto rapporto Goldstone, il cui omonimo giudice – prima di sconfessare tutto il lavoro dietro pressioni israeliane – aveva individuato una responsabilità per crimini di guerra sia di Israele, che di Hamas.

“Il governo di Israele spera che il rapporto “svanisca”, si legge nei documenti.

Mandelblit rammenta poi le indagini sul conflitto condotte internamente all’esercito israeliano, mentre liquida del tutto la possibilità di una commissione d’inchiesta indipendente per il riesame delle indagini condotte dai militari. E dice: “Non sta scritto da nessuna parte che dovremmo fare una cosa del genere”.

Per la prima volta, in tale documento si legge l’ammissione ufficiale del ricorso israeliani dei droni (aerei senza pilota) durante Piombo Fuso quando, in un attacco, furono assassinati 16 civili palestinesi.

“Un UAV* ha centrato dei combattenti di Hamas di fronte alla moschea – si legge – all’interno della quale ci sono stati 16 incidenti. La causa: la porta della moschea era aperta e dei frammenti di bomba sono penetrati all’interno proprio nell’ora di preghiera”.

In un altro documento, datato febbraio 2009, l’ambasciatore israeliano, Benny Dagan, ammetteva al funzionario Usa, Robert J. Silverman: “La strategia attuale richiede di fare uso di forza sproporzionata e ripetuta per rispondere agli attacchi di Hezbollah e di Hamas”.

* UAV: Unmanned Aerial Vehicle.

Altre fonti:

Ma’an

AntiWar