“La presenza israeliana nel Sudan del Sud aumenterà le tensioni”

Un uomo regge la bandiera del Sudan del Sud (Foto da blogs.reuters.com).

Press TvIntervista con Larry Freeman, direttore della redazione sull’Africa della Executive Intelligence Review.

Il Sudan ha giurato che si riprenderà la contesa regione petrolifera di Heglig, strappandola alle forze del Sudan del Sud, dopo una settimana di tensioni di confine tra i due stati.

La promessa è stata fatta ieri dal presidente ‘Omar Hasan al-Bashir, rivolgendosi a migliaia di sostenitori radunati nello stato sudanese del Kordofan del Nord.

Una settimana fa, il Sudan del Sud ha infatti annesso Heglig, innescando scontri di confine che hanno portato i paesi vicini sull’orlo di una guerra totale.

Per approfondire la questione, Press TV ha intervistato Larry Freeman, direttore della redazione sull’Africa della Executive Intelligence Review, pubblicazione con sede a Washington.

Il video [disponibile tramite il link all’articolo originale, ndr] offre le opinioni di altri due ospiti: Abayomi Azikiwi di Detroit, direttore del sito d’informazione Pan-African News Wire, e David Hoile, autore del libro “Darfur in perspective” [“Il Darfur in prospettiva”, ndr].

Segue una trascrizione approssimativa dell’intervista.

Press TV: sig. Freeman, partiamo dal quadro generale e poi ci concentreremo sui particolari. Allora, per prima cosa lasci che le chieda della creazione del Sudan del Sud e della secessione dal Sudan. Che cosa ha motivato questo evento?

Alcuni sostengono ora che si tratta di una replica di quanto è accaduto in Palestina; c’è persino chi definisce il Sudan del Sud il “secondo Israele” della regione. Quale pensa che sia stata la causa dell’emergere del Sudan del Sud? È stata il petrolio o c’è altro?

Freeman: Dovrei dirle innanzitutto che io, personalmente, sono contrario alla separazione del Sudan in due paesi. Ritengo che sarebbe dovuta essere una sola nazione sovrana, e credo che alcune forze politiche di chiara natura abbiano spinto da Londra e dagli Stati Uniti in direzione di questa separazione, perseguendo i propri obiettivi.

Questo significa che vogliono utilizzare una nazione separata del Sudan del Sud come mezzo di sfondamento contro il Sudan e al-Khartum. Nella loro agenda hanno in programma di rovesciare il presidente [‘Omar Hasan] al-Bashir e di dividere il Sudan, anche in più parti.

Questa politica proviene da Londra; viene però incoraggiata anche dall’ambasciatore Usa Susan Rice e da altri gruppi presenti qui a Washington.

Dunque la separazione non era necessaria, e in più, per colpa dell’ossessione di provocarla senza sistemare nessuno dei problemi sottostanti, e cioè i confini e il petrolio, sono stati impiantati esattamente i semi di questo tipo di conflitto che io, purtroppo, avevo previsto che si sarebbe innescato.

Ci troviamo insomma in una situazione molto pericolosa, e l’intero paese – entrambi i Sudan – si trova in pericolo in questo momento, a causa di questa politica.

Press TV: Sig. Freeman, ironicamente, l’Onu ha chiesto a Israele d’inviare nel Sudan del Sud, questa settimana, una squadra della polizia al fine di aiutare a mantenere l’ordine nel nascente stato. Perché Israele dovrebbe vigilare sul Sudan del Sud? Qual è il collegamento? Qual è lo scopo?

Freeman: Innanzitutto, credo che si tratterebbe di un gesto assolutamente idiota, che infiammerebbe ulteriormente le tensioni dell’area. Nel Sudan del Sud abbiamo già non solo delle forze Usa, ma anche delle forze israeliane che provvedono alla sicurezza e all’addestramento militare.

Israele non sarebbe quindi un attore neutrale, e si inimicherà il popolo di al-Khartum. Giovedì sono stato nel Kordofan del Sud, a Kedugli sui monti Nuba, e ho compreso il pericolo che si corre adesso: il Sudan del Nord non riesce a sviluppare adeguatamente la propria economia. Stanno soffrendo economicamente e non saranno in grado di crescere se scoppierà questa guerra.

Il Sudan del Sud è messo molto peggio, non avendo un briciolo di economia, e questo suo attacco all’Heglig è una violazione diretta della sovranità del Sudan; la città è segnata come appartenente al territorio del Sudan; questo è stato concordato nel Cpa [Comprehensive peace agreement, ovvero l’accordo stipulato nel 2005 al termine della guerra civile in Sudan, ndr] e si tratta dunque di una vera e propria provocazione, che accrescerà la crisi con il sangue di entrambi gli stati. La comunità internazionale dovrebbe condannare il gesto del Sudan del Sud e ordinargli di ritirarsi nel suo territorio prima che le tensioni aumentino ancora.

Press TV: Sappiamo che gli Usa in persona pagano i salari dell’Esercito di liberazione del popolo del Sudan (SPLA) e, secondo un rapporto, oltre 100 milioni di dollari sono stati destinati a questo scopo. Questo porta alla domanda: un paese è realmente indipendente quando è una potenza straniera a provvedere alle paghe dei militari, e l’esercito seguirà gli ordini di chi? Che cosa pensa di questo problema di guerre per procura?

Freeman: io la vedo in modo diverso perché, tornando indietro agli inizi dell’attuale governo di al-Khartum, ovvero alla salita al potere del presidente al-Bashir nel 1989, si può ritrovare una fazione estremista, quella che io chiamerei la fazione anglo-americana: ad esempio, se consideriamo l’ambasciatore Usa Susan Rice, costei ha effettuato i suoi studi accademici di secondo livello a Londra, ed è una seguace dell’ideologia londinese, e il potere della città di Londra a Wall Street consiste nell’assicurarsi che in Africa non esistano nazioni sovrane; e il Sudan è una delle nazioni più importanti, forse tra le tre più importanti del continente.

In definitiva, le politiche hanno puntato fin dall’inizio allo spezzettamento del paese, al rovesciamento del governo di al-Bashir e all’indebolimento dell’Ncp [il partito di al-Bashir, ndr]. Quello a cui assistiamo adesso è quindi un gruppo di persone che sono divenute i principali sostenitori del Sudan del Sud.

Lei dice che pagano i loro salari, ma sono andati oltre: hanno trasformato il Sudan del Sud quasi in uno stato-cliente, per cui, quando quest’ultimo agisce, è certo di avere il sostegno degli Stati Uniti.

Ora, quando sospendono la produzione di petrolio, non fanno che distruggere se stessi, mettendosi nelle condizioni di potersi destabilizzare internamente per non riuscire a fornire neanche i servizi più essenziali alla popolazione.

Gli Stati Uniti non li abbandoneranno perché loro stessi, insieme a tutti i paesi dell’Atlantico, si trovano in pieno collasso finanziario totale. Non li abbandoneranno, ma li stanno usando in modo cinico.

Li stanno usando per la propria agenda, che prevede la distruzione della nazione del Sudan, e questo è il pericolo. La Cina non è un problema. Il problema è che la sola politica stabilita dall’Occidente per il Sudan negli ultimi vent’anni è quella di distruggerlo e dividerlo in diverse entità statali in competizione tra loro.

Press TV: L’Unione Africana farebbe bene a intervenire? Sarà l’intervento dell’Onu a gestire la situazione? Che cosa pensa? Il dialogo sarebbe almeno possibile?

Freeman: Penso che l’unica azione che fermerebbe ora il Sudan del Sud – che è il paese aggressore – debba provenire dagli Usa, e che consista in un rigetto totale nei confronti di Susan Rice, del presidente Obama e del Dipartimento di Stato.

Se gli Usa chiarissero in maniera inequivocabile che sono contrari [all’annessione dell’Heglig, ndr] e che il Sudan del Sud deve ritirarsi, potrebbe essere l’unica voce ascoltata dallo stato aggressore, che dipende molto da Washington. Se questo non accadrà, allora credo che nessun altra potenza politica mondiale avrà altrettanta influenza.

Ora i sudanesi del sud potrebbero usare [l’opzione del ritiro, ndr] come merce di scambio e tirare la corda al massimo, cosa che hanno già fatto; verrebbe però da sperare che non si superasse il limite. Tuttavia, ormai ci troviamo in una situazione politica molto incerta, ed io rivolgerei un appello al mio governo e a quello britannico perché chiarissero all’SPLM che si tratta di un gesto inaccettabile, e che devono ritirarsi immediatamente.