La 'questione' dell’acqua in Palestina.

Riceviamo e pubblichiamo.
La “questione” dell’acqua in Palestina

 

Palestina occupata – Come in tutte le regioni aride, la questione dell’acqua è vitale per la sopravvivenza delle popolazioni. In Medio Oriente essa assume anche  una connotazione di ordine politico ed è diventata un problema centrale nella Palestina occupata e nel Golan a causa della politica accaparratrice e  discriminatoria di Israele.
Appropriarsi delle acque della regione fa parte della strategia militare e colonizzatrice dei sionisti. Emblematico, ciò che è accaduto la scorsa estate, agli occupanti il campo profughi di Al Faraa che hanno patito la sete a causa del pompaggio eccessivo a monte, delle acque del vicino fiume da parte dei coloni “israeliani”. Il Vicino-Oriente è una terra arida. Se ci si limita alle tre regioni dove il problema dell’acqua si pone con più acutezza, cioè la Giordania, la Palestina occupata ed i territori palestinesi, si constata che lo sfruttamento reale delle risorse, per soddisfare la domanda attuale, è molto vicino, o superiore a ciò che è effettivamente disponibile.

 

Palestina occupata –  Nel 1994, il consumo d’acqua Israele ha superato i 2.000 milioni di metri cubi annui mentre le risorse rinnovabili non superano 1.500 milioni di metri cubi. Ad esempio, nella Striscia di Gaza le risorse rinnovabili vengono sfruttate  al 217 %, e questo pone importanti problemi, tanto per la qualità dell’acqua pompata negli strati, che per il futuro con il rischio di svuotare questi strati, di cui molti non si rinnovano più.

 

Palestina occupata – Nel 1919, un esperto scrisse al primo ministro inglese Lloyd George che "tutto il futuro economico della Palestina è dipendente dal suo approvvigionamento di acqua per l’irrigazione e l’energia elettrica. Se la Palestina fosse tagliata dal Litani, dall’Alto Giordano e dallo Yarmuk, senza parlare del bordo occidentale (Lago di Tiberiade), non potrebbe essere economicamente indipendente. Ed una Palestina debole ed impoverita non sarebbe di alcuna utilità per nessuna potenza".

 

Palestina occupata – A dimostrazione della politica di rapina delle acque della Palestina, D. Ben Gurion affermò: "Dobbiamo ricordarci che, per riuscire a radicare lo stato ebraico, occorrerà che le acque del Giordano e del Litani siano comprese all’interno delle nostre frontiere". Ben Gurion e Moshe Dayan erano fin dall’inizio favorevoli a invadere il sud-Libano fino al Litani. Dayan proclamava nel 1954: "La sola cosa che è necessaria è trovare un ufficiale (libanese), anche soltanto un maggiore… Noi potremmo sia convincerlo sia comperarlo perché si dichiari lui stesso il difensore della popolazione maronita (cristiana). In seguito l’esercito israeliano entrerebbe nel Libano, occuperebbe i territori necessari ed istituirebbe un regime cristiano che si combinerebbe ad Israele. Il territorio a sud del Litani sarebbe completamente occupato e tutto sarebbe perfetto". Da tali affermazioni si comprende che le invasioni del Libano siano  state  programmate da lunga data!

 

Palestina occupata – Fin dal 1953, Israele inizia a deviare le acque dal lago di Tiberiade per irrigare la costa ed il Negev e preleva una parte delle acque del Giordano. La Siria e la Giordania intraprendono allora la costruzione di dighe sullo Yarmuk e la deviazione del Baniyas per trattenere l’acqua a monte del lago Tiberiade e così impedire a Israele di intrappolarlo. La guerra del 1967 permette agli ebrei di accaparrarsi le risorse di Gaza, della Cisgiordania e del Golan. Ancora non pago, nel 1978, Israele invade il sud-Libano e devia, tramite pompaggio, una parte del fiume  Litani, ciò fino al 2000, data nella quale si ritira in seguito alla resistenza dello Hezbollah installato in questa regione.

 

Siria – L’annessione da parte sionista del Golan, chiamato il "serbatoio d’acqua", permette il controllo del bacino d’alimentazione a monte del Giordano, e si traduce con l’espulsione della maggioranza della popolazione araba (100.000 persone), cosa che, allo stesso tempo, permette a Israele di appropriarsi dell’acqua. Quanto agli accordi di Oslo del 1993, se riconoscono (formalmente) "i diritti dell’acqua per i palestinesi", rinviano il loro negoziato alle discussioni finali sullo statuto dei territori palestinesi. Anche responsabili israeliani detti moderati hanno rifiutato di impegnarsi sull’acqua nel protocollo di Ginevra.

 

 Palestina occupata – Fin dai primi giorni dell’invasione della Cisgiordania e di Gaza nel 1967, i sionisti hanno adottate due misure: 1- divieto di costruire qualsiasi nuova infrastruttura idraulica, perforazioni e pozzi senza autorizzazione, 2 – confisca delle risorse di acqua che sono dichiarate proprietà del cosiddetto “stato sionista”. Per applicare la sua legge sull’acqua, Israele utilizza decreti militari. Il settore principale di discriminazione è quello degli ostacoli imposti ai palestinesi alle perforazioni dei pozzi. La quantità d’acqua disponibile per gli agricoltori di Cisgiordania è congelata dal 1967: il limite massimo è fissato a 90-100
milioni di metri cubi all’anno per 400 villaggi. Per contro, la quantità d’acqua assegnata alle colonie ebree è aumentata del 100% nel corso degli anni. I sionisti hanno creato la Mékorot (società di gestione delle acque) e Tahal (società di pianificazione delle risorse d’acqua nella Palestina occupata) il cui obiettivo comune è il sostegno esclusivo degli interessi israeliani. Mékorot ha sviluppato fin dal 1967 delle reti idriche al profitto quasi esclusivo delle colonie ebraiche.

 

Palestina occupata – La rete idrica che attraversa le zone abitate dai palestinesi è stata lasciata nel più completo abbandono senza alcun programma di sviluppo e di miglioramento. Nei settori palestinesi serviti dalla Mékorot, a causa della cattiva condizione degli impianti, si perde  fino al 40% dell’acqua trasportata. A Gaza, la situazione è ancora più drammatica, poiché lo strato acquifero costiero sfruttato eccessivamente  è attualmente infiltrato  d’acqua di mare. Nei territori palestinesi occupati del 1967, essendo le reti spesso sotto il controllo diretto dei coloni, questi chiudono le valvole di distribuzione delle antenne in direzione dei villaggi palestinesi quando ne hanno voglia.

 

Palestina occupata – Gli israeliani beneficiano dell’acqua corrente tutto l’anno, i palestinesi sono vittime di tagli arbitrari, in particolare durante l’estate. Il consumo d’acqua medio annuale di un israeliano (357 metri cubi) è quattro volte più elevato di quella di un palestinese di Cisgiordania (84,6 metri cubi). Il consumo per uso domestico di un cittadino israeliano è tre volte superiore a quello di un palestinese, per l’irrigazione dei terreni agricoli il divario di consumo è ancora più marcato.

 

Palestina occupata –  Israele, per soddisfare i suoi fabbisogni di acqua, è ricorsa a deviazioni che sono delle vere spoliazioni. Dal 1967, la conquista del Golan gli ha permesso di disporre di una zona abbondante di strati e corsi d’acqua. Il Golan gli porta più di 250 milioni di metri cubi d’acqua all’anno. Il Golan e lo Yarmouk forniscono così circa il terzo del consumo totale israeliano. Di conseguenza, il 75% delle acque del Giordano è deviato dallo Stato sionista prima che raggiunga i territori palestinesi. 
In Cisgiordania tre falde acquifere forniscono un altro terzo delle riserve idrauliche a Israele, che consuma quasi il 86% dell’acqua della regione. I palestinesi ne utilizzano 8 a 12 %, ed i coloni israeliani 2 a 5 %.

 

Palestina occupata – Dopo oltre trent’anni d’occupazione, circa 180 villaggi di Cisgiordania non sono ancora collegati ad un sistema di distribuzione. Il controllo delle fonti d’acqua è nelle mani della società israeliana Mekorot che ne distribuisce ogni anno 110 milioni di metri cubi al milione e mezzo di palestinesi (73 metri cubi pro capite), 30 milioni di metri cubi ai 140.000 coloni (sia 214 metri cubi per colono), mentre altri 460 milioni di metri cubi partono verso la Palestina occupata.
Palestina occupata – Israele pagare l’acqua 0,7 $ il metro cubo per impiego domestico e 0,16 $ per l’agricoltura agli israeliani, mentre non esistono  prezzi differenziati per i palestinesi che devono pagare1,20 $ il metro cubo.

 

Striscia di Gaza – A Gaza, la superficie territoriale è piccola e le precipitazioni sono deboli. Si ritiene che soltanto 35 milioni di metri cubi di  acqua penetrino nel suolo per guadagnare la falda freatica. Visto l’aumento della popolazione (da 50.000 persone prima del 1948, passata a 1,2 milione oggi, cosa che corrisponde a 29 metri cubi d’acqua pro capite all’anno!), questo strato d’acqua è sfruttato eccessivamente, ed il 70% delle sue risorse è danneggiato. Gli israeliani pompano in modo eccessivo e svuotano i pozzi palestinesi dove l’acqua disponibile è salmastra ed ormai inquinata. La striscia di Gaza ha fin ad ora ricevuto un certo sostegno internazionale per risolvere in parte la crisi dell’acqua (desalificazione, importazione d’acqua e lotta contro l’inquinamento), ma ciò resta insufficiente rispetto alla domanda locale.

 

Palestina occupata – Il consumo medio d’acqua dei palestinesi in Cisgiordania ed a Gaza ammonta a circa 150 metri cubi per persona all’anno, mentre i coloni ebrei di Cisgiordania ne consumano tra i 700 e 800 metri cubi. Di conseguenza, le acque sotterranee sono state sfruttate dai sionisti eccessivamente. Dal 70 all’80% delle città e villaggi palestinesi ricevono soltanto alcune ore d’acqua alla settimana, che obbligano la popolazione a farne riserve in bidoni, in condizioni d’igiene pericolosa. Al contrario, i posti militari e i cosiddetti “insediamenti” di coloni ebrei sono alimentati 24 ore su 24 e gli abitanti vivono come se fossero in un paese europeo, mentre la popolazione palestinese subisce notevoli disagi.

 

Palestina occupata – Lo sviluppo agricolo israeliano si fa in contraddizione con le risorse di acqua disponibili. I palestinesi non hanno il permesso di perforare pozzi senza autorizzazione del comando militare sionista, mentre i coloni lo possono e su grandi profondità (300 a 500 metri). Così, non soltanto è vietato per i palestinesi perforare nuovi pozzi senza autorizzazione militare israeliana, ma soprattutto i loro pozzi non devono superare 140 metri di profondità, mentre quelli dei coloni possono raggiungere 800 metri. Dopo la secondo Intifada, la situazione è ulteriormente peggiorata, poiché l’esercito israeliano ed i coloni attaccano in modo quasi sistematico i pozzi, impediscono ai palestinesi di accedere all’acqua con il chiaro proposito di spingerli a lasciare la loro terra.

 

Palestina occupata – Lo Stato israeliano ha violato la convenzione di Ginevra (che ha stabilito regole precise per il suolo dei territori occupati), scavando pozzi per i suoi insediamenti abusivi, mentre impedisce con la forza delle armi lo sfruttamento palestinese dell’acqua. La giunta militare sionista che  occupa la Palestina dal suo insediamento, avvenuto circa 60 anni addietro, pratica una graduale politica di annessione del territorio dei popoli vicini. E’ questo il motivo per cui Israele si rifiuta di applicare le risoluzioni dell’ONU che le  intima  l’ordine di ritornare alle frontiere del 1967 – detta la "linea verde" -, ed in particolare rendere alla Siria le altezze del Golan. Effettivamente, la politica dei "fatti compiuti", guidata dalla volontà conosciuta di conquista territoriale di Israele (il sogno di "grande Israele biblico" di alcuni dirigenti israeliani), si prefigge soprattutto di mettere le mani sul 90% delle risorse di acqua della regione. Questa politica, in previsione di future annessioni e dell’espansione delle colonie, progettata per cacciare i palestinesi di Cisgiordania con l’appropriazione dei luoghi  d’accesso alle loro risorse  d’acqua, è scontata e segue una deliberata e aberrante logica: occupare il massimo di terre, con un minimo di popolazione indigena, costretta per mancanza di acqua a lasciare le proprie case,  e quindi al recupero da parte ebraica delle terre abbandonate in base alla "legge" sui "terreni non coltivati" “creata” dai sionisti per dare agli occhi del mondo, una parvenza di ,legalità ai loro soprusi.

Palestina occupata – Una relazione dell’ONU segnala che tra la firma degli accordi di Oslo nel 1993 e 1999, 780 pozzi che forniscono l’acqua ad impiego domestico e per l’irrigazione sono stati distrutti dagli israeliani. Quanto ai settori, dove tutto sommato, esistono alcune produzioni, come le serre a Qalqiliya, la chiusura delle vie di comunicazione rende impossibile ogni commercializzazione. A Rafah, nella Striscia di Gaza, in cui la demolizione sistematica di centinaia di case è stata condotta dall’esercito d’occupazione, le infrastrutture corrispondenti: cisterne, rete e serbatoi pubblici sono stati distrutti. Ciò è stato il caso, in particolare, all’inizio del 2003, della stazione di pompaggio di due pozzi che forniscono l’acqua al 50% degli abitanti della città. Questi due pozzi fornivano 6.000 metri cubico d’acqua al giorno (di buona qualità e non salmastra) sui 13.000 giornalieri consumati dai 130.000 abitanti. Uno di questi due pozzi era stato costruito nel 2001 dall’autorità palestinese con l’aiuto di fondo del governo canadese.

 

Palestina occupata – I danni prodotti dagli israeliani a impianti e cose atti all’erogazione dell’acqua alla popolazione palestinese nei territori occupati si stabiliscono come segue: 151 pozzi, 153 fonti, 447 cisterne, 52 cisterne mobili (autocisterne), 9.128 cisterne di tetto, 14 serbatoi, 150 km di canalizzazioni che forniscono più di 78.000 case.  È inaccettabile che Israele possa accaparrarsi la quasi la totalità delle risorse idriche della regione a  profitto esclusivo dei suoi abitanti – minoritari in numero. Ma, esso rifiuta finora ogni negoziato su  tale argomento, tanto con l’Autorità palestinese che con i suoi vicini, come lo prova la sua politica nel sud-Libano e nel Golan.

 

Palestina occupata – Sarebbe tempo che sotto l’egida dell’ONU si tenga una conferenza internazionale con i paesi interessati, l’equa divisione dell’acqua è indissociabile da qualunque  regolamentazione politica, anche sulla base delle risoluzioni dell’ONU. Perdurando lo status quo la regione potrebbe andare incontro ad una catastrofe annunciata. Ricordiamo che nella storia della Mesopotamia, altre civiltà sono scomparse in seguito ad insufficienza delle risorse idriche.
(Agenzia d’informazione on line – www.ilpuroislam.net – 27 maggio)

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