La rabbia popolare contro la situazione dei prigionieri politici palestinesi porterà alla III Intifada?

Nablus – Pal.info. Sabato 23 febbraio 2013, il detenuto Arafat Jaradat è morto nelle prigioni dell’occupazione sionista. Questa morte ha gettato olio sul fuoco. La rabbia popolare contro la politica dell’occupazione nei confronti dei detenuti palestinesi e contro i ripetuti interrogatori dei prigioni rilasciati a seguito dell’accordo di scambio “Shalit” può portare alla terza Intifada?

Quattro detenuti, ad oggi, continuano lo sciopero della fame: Samer Al-Issawi, Aymen Al-Chrawna, Tareq Qaadan e Jaafar Izzidine. La morte di un solo prigioniero avrà conseguenze disastrose.

Un’occasione da non mancare

La morte di Jaradat è molto dolorosa per tutti i detenuti, come pure le misure oppressive dell’amministrazione penitenziaria sionista. Paradossalmente, i prigionieri palestinesi considerano questi nuovi sviluppi come un’occasione da non mancare, cioè una scintilla che potrà infiammare la polveriera e innescare una nuova Intifada. I prigionieri, allora, hanno diramato un messaggio a ogni strato sociale del popolo palestinese, perché si aprano le ostilità e si aiuti a lottare apertamente contro gli occupanti sionisti.

I detenuti palestinesi invitano tutti, ogni istituzione, ogni paese, Egitto in testa, a intervenire e a fare ogni pressione possibile sull’occupazione, perché cessino i crimini nei confronti dei prigionieri palestinesi e si salvino i detenuti malati, in isolamento e quelli che fanno lo sciopero della fame.

I prigionieri palestinesi conducono la battaglia del cibo, dello stomaco vuoto, dello sciopero della fame per opporsi alle pressioni dell’amministrazione penitenziaria e alle misure repressive di quest’ultima. Ma presto, potrebbero uscire dei cadaveri dalle prigioni dell’occupazione israeliana e esplodere contro l’occupante. Nel carcere di Ramle, vi sono parecchi detenuti che sono tra la vita e la morte. Ci riferiamo in maniera particolare ai detenuti come Motassim Radad, Mansour Moqida e Maysara Abou Hamida.

Stare sul chi va là

Il governo dell’occupazione israeliana si aspetta una nuova Intifada, specie dopo la morte di Jaradat come martire, mentre quattro prigionieri continuano sempre lo sciopero della fame.

Il governo israeliano ha preso parecchie misure per affrontare l’eventuale Intifada. Il primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu per esempio, ha diramato un messaggio chiaro ed urgente all’autorità di Ramallah esigendo la risoluzione di qualsiasi rivolta proveniente dalla Cisgiordania.

E per ringraziare l’autorità di Ramallah, lo stato sionista darebbe subito la somma delle tasse del mese di gennaio: 425 milioni di shekel.

Sul campo, poi, il capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano ha ordinato ai suoi soldati di essere pronti ad affrontare nuove manifestazioni e proteste, vale a dire una nuova Intifada.

Gli Alti Ufficiali dell’esercito israeliano hanno richiesto una riunione speciale per studiare ogni possibile scenario.

Gli occupanti israeliani, prima dell’imminente visita del Presidente americano, contano molto sull’Autorità di Ramallah per fermare ogni crescendo popolare contro l’occupazione.

Manifestazioni popolari

Molti prevedono una nuova Intifada. Molti altri non credono che le manifestazioni possano trasformarsi in una terza Intifada. La spaccatura interna della scena politica palestinese ne è il principale ostacolo.

«La strada palestinese non è affatto pronta a nuove Intifade», dice Fouad Al-Khafash, direttore del Centro Ahrar per gli studi dei prigionieri.

Secondo Fouad Al-Khafash, ci sarebbero manifestazioni e proteste per fatti ben precisi, ma non un’Intifada.

«La situazione nelle carceri è difficilissima, ma la strada non è pronta a reagire», conferma Al-Khafash.

Traduzione per InfoPal a cura di Domenico Afiero