La ricercatrice rifiuta di collaborare con l’università di Tel Aviv per protesta contro Israele

LX1ZS0J85140-kH3E-U00452598129hy2Eka-1024x576@LaStampa.itLa Stampa, Torino. «Nel progetto è coinvolto dall’ateneo di Tel Aviv? Io rinuncio al contratto». È la scelta – che sicuramente farà discutere – di una ricercatrice torinese, scelta che rientra nella protesta che ormai da più di un anno invita a boicottare le collaborazioni con le università israeliane. In particolare, la campagna portata avanti da studenti e anche da decine e decine di docenti degli atenei è per spingere Università e Politecnico a rinunciare all’accordo con un altro istituto, il centro di ricerca Technion, accusato di fare ricerca al servizio del governo e dei militari. Ne è nato un ampio dibattito, dentro e fuori l’ateneo, su quanto la ricerca sia libera e venga prima della politica o meno. I rettori si sono sempre schierati per «la libertà di ricerca», sostenendo che le applicazioni e le scelte politiche siano altra cosa. L’ex sindaco Fassino definì «vergognoso» l’invito al boicottaggio.

In questo caso, in ballo ci sarebbe – secondo il comitato filopalestinese – un assegno di ricerca sulle energie rinnovabili. Dire di no fa rumore tanto più in un contesto in cui un contratto è spesso per i ricercatori un miraggio. «Ho rifiutato l’offerta perdendo di conseguenza il lavoro e – con ogni probabilità – qualsiasi velleità di carriera accademica – scrive la ricercatrice, che ha da poco concluso un dottorato – ma le istituzioni accademiche israeliane sono un punto chiave del regime di oppressione». E ancora: «Mantenere legami di questo tipo con Israele equivale una normalizzazione dello stato e dei suoi istituti di ricerca sullo scenario internazionale; significa dare riconoscimento a, e quindi non problematizzare, le strutture che sottendono alla produzione scientifica israeliana e le basi di esistenza dello stato di Israele». La ricercatrice, a proposito del progetto sulle rinnovabili, accusa: «Come non pensare ad una perfetta installazione di sistemi fotovoltaici nelle colonie illegali, isole autosufficienti ed ipertecnologizzate, mentre al di là dei muri la popolazione palestinese viene costretta a morire di sete?».