La Siria deve unirsi per combattere al-Qaida

The Guardian.La Siria deve unirsi per combattere al-Qaida

Gli attuali nemici potrebbero un giorno diventare alleati nella vera battaglia per l’anima del paese: quella contro gli jihadisti

La Risoluzione 2118 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che avallerà il processo di liberazione della Siria dalle armi chimiche, segna uno spartiacque nel conflitto. Dopo numerosi tentativi di indurre il mondo ad agire, questo fatto potrebbe ora avere un impatto decisivo sulla guerra civile, spianando la strada a Ginevra II, il forum concordato a livello internazionale, e lungamente rimandato, per una “grande soluzione” della crisi siriana.

È sorta una nuova realtà, al di là del fatto in sé: non è dato alla Siria essere padrona del proprio destino. Ora il paese è saldamente nelle mani delle potenze, che siano internazionali o regionali, che negozieranno e con tutta probabilità entreranno nelle trattative geopolitiche senza badare alla fanteria, sia che si trovi dalla parte del presidente Assad o all’opposizione. I siriani si sono implacabilmente combattuti tra di loro, e hanno maltrattato il paese che dicono di amare; il che ha portato alla resa sostanziale della sovranità e dell’indipendenza della nazione. E molto probabilmente dell’integrità territoriale raggiunta nel 1946, dopo una lunga ed eroica lotta contro il governo francese.

Se, dopo l’ultima svolta diplomatica, il governo siriano appare malmesso, lo stesso si può dire dell’opposizione. Divisa e senza credibilità nel migliore dei casi, ha riposto le sue speranze in un attacco militare americano, sperando che infliggesse un colpo fatale al regime. Quando l’attacco non si è materializzato, è rimasta umiliata: per essere stata “tradita” da un alleato che ancora una volta ha promesso e non ha mantenuto; e per essere vista dall’arabo medio come il soggetto che ha invitato ad un assalto armato imperial-occidentale diretto al proprio stesso paese.

L’episodio ha rivelato ancora la mancanza, nell’opposizione ufficiale, di una strategia coerente. Anziché mostrare abilità politica e leadership, guidando in un programma di trasformazione democratica il popolo siriano in tutte le sue sette ed estrazioni etniche, ha permesso a se stessa di essere guidata da fondamentalisti islamici in un programma a malapena definito, che ha allontanato molti siriani di opinioni laiche. Troppo tardi ha visto il proprio islamismo usurpato dalla marea dello jihadismo di al-Qaida, credendo ingenuamente che potesse essere facilmente arruolato in un’alleanza contro il nemico comune. Ora questo alleato sta mostrando altrettanta ferocia nel colpire i “moderati” del Libero Esercito Siriano quanta contro il regime.

Nel frattempo, mentre le forze in campo si accapigliano fino allo stallo, il paese e il suo popolo stanno sperimentando inediti livelli di sequestri, arresti, torture, deportazioni, morte e distruzione. Non c’è da meravigliarsi che molti siriani stiano disperatamente desiderando un qualsiasi processo che possa mettere fine alla loro ingarbugliata situazione, mentre la comunità internazionale finalmente trova la sua voce.

Ora, un nuovo complesso di intermediari, tra cui un Iran meno trincerato sotto il suo nuovo presidente, potrebbe avere la chiave. E se Ginevra II porterà ad un cessate il fuoco e ad una nuova autorità ibrida che amministri la Siria fino alla vigilia di elezioni democratiche e una nuova costituizione, i siriani tireranno un sospiro di sollievo.

Tuttavia, un simile esito non è assicurato. Le possibilità di successo cresceranno se tra i siriani partecipanti ci sarà una forte rappresentanza non solo del regime e dell’opposizione ufficiale – una ricetta per impasse e litigi infiniti – ma anche delle reti e degli attivisti della società civile siriana. Loro sono gli organizzatori originari dei movimenti di protesta in gran parte pacifici, prima che la brutale repressione del governo e la reazione armata producessero l’attuale sanguinario conflitto.

Anche così, molte trappole potrebbero far frenare bruscamente il processo; non da ultimo, la crescente forza di al-Qaida e dei suoi accoliti, in particolare nel nord della Siria. Queste forze non hanno interesse nella nascita di un paese stabile e democratico. Per questo, parte del programma di Ginevra II deve essere proprio l’istituzione di un piano di azione per affrontare il pericolo di un emirato islamico che propaghi le sue radici in tutto il paese. I lealisti al regime del dopo accordo e le forze dominanti dell’opposizione potrebbero trovarsi nella necessità di fare fronte comune – nonostante la loro attuale inimicizia – per affrontare quelli che vogliono distruggere ciò che rimane della ricca diversità e della tolleranza siriane.

Questo rimane uno scenario improbabile. Ma più gli jihadisti, in particolare lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, provocano indignazione con atti barbarici – come il recente saccheggio delle chiese cristiane ad al-Raqqa –, più siriani di tutte le sfumature di opinione realizzeranno il pericolo mortale che tutti loro hanno di fronte, e decideranno di mettere fine al suicida conflitto intestino nel quale sono attualmente rinchiusi.

In questo senso, un accordo a Ginevra sarebbe solo un punto di partenza. La vera battaglia per l’anima della Siria resta in attesa. Prima Ginevra II riuscirà a portare a termine un accordo, meglio preparati saranno i siriani a intraprendere quella battaglia.

Traduzione di Elisa Proserpio