Da www.ilmanifesto.it del 25 aprile
Gaza, la «Spada della verità» nel caos dell’Anp
Sigla misteriosa Il gruppo ultra islamista ha rivendicato attacchi a internet cafè, a una scuola americana e a «luoghi immorali» Non solo Johnston Sullo sfondo del sequestro del reporter della Bbc c’è l’anarchia che il nuovo governo non riesce a fronteggiare.
Michele Giorgio
Gaza Ha il volto segnato dalla stanchezza Fayed o forse è solo depressione e dispiacere per ciò che sta accadendo a Gaza, la terra dove è nato e cresciuto e dove si è formato come giornalista. «Sono amareggiato – dice scuotendo la testa – Gaza, lo sappiamo tutti, è una terra infelice, distrutta dall’occupazione israeliana. Ma non avrei mai immaginato che sarebbero stati proprio dei palestinesi a portarla al punto più basso». Prima di continuare Fayed volge lo sguardo per un attimo verso un poster con la foto di Alan Johnston, il reporter della Bbc rapito il 12 marzo mentre rientrava a casa, a Gaza city, e che è ancora nelle mani dei suoi sequestratori. «Povero Alan, non meritava questa sorte, per tre anni ha raccontato le sofferenze, le aspirazioni, la rabbia di noi palestinesi attraverso un canale globale come la Bbc e ora un gruppetto di esaltati, di criminali, minaccia la sua vita e getta fango sul nostro popolo», prosegue non mancando di esortarci a lasciare subito la Striscia di Gaza. «In questo momento tutti i giornalisti stranieri sono a rischio di rapimento e con loro tutti quei palestinesi che lavorano con mezzi d’informazione non arabi. Per favore, non riportare il mio cognome, ciò ho detto potrebbe causarmi problemi», ci dice stringendoci la mano.
Fayed ha esagerato un po’, solo alcuni sono d’accordo con lui sui pericoli che corrono tutti i reporter stranieri che si recano a Gaza in questo periodo. Su di un punto però non ci sono pareri contrastanti. Poche decine di persone accecate dal fanatismo e alcuni clan familiari, quelli che agiscono tra criminalità e attivismo politico, hanno fatto precipitare la Striscia in uno dei suoi periodi più neri. Alle porte di Gaza Israele ammassa carri armati e prepara una invasione che avrebbe conseguenze devastanti ma il caos, la violenza tra bande rivali, l’esibizione quotidiana di forza dei miliziani armati di Hamas e Fatah e le troppe armi in circolazione, sono il primo argomento di discussione nelle famiglie, nei negozi, negli uffici. Così come nei mesi scorsi lo era stata l’assurda guerra tra Fatah e Hamas – con decine di morti – che aveva gettato nella disperazione l’intera popolazione. Il bilancio delle ultime due settimane è un bollettino di guerra: un ragazzino è stato ucciso in una faida familiare, una giovane studentessa è stata ammazzata per «ragioni d’onore», l’ufficio della società cristiana della Sacra Bibbia è stato fatto saltare in aria in pieno giorno, ordigni sono stati fatti esplodere nella scuola americana, tre internet cafè sono stati dati alla fiamme, due persone sono state ferite a colpi di pistola mentre partecipavano ad un funerale, altre dieci in vari scontri a fuoco, una casa del campo profughi di Jabaliya è stata distrutta, uomini mascherati hanno sequestrato armi in pugno un jeep di una ong spagnola, l’automobile delle guardie del corpo dell’ex ministro degli esteri Mahmud Zahar è stata incendiata, giovani armati hanno attaccato il ministero della sanità. Fatti oscurati dalla gravità dell’ultima escalation di attacchi militari israeliani, che ha fatto nove morti in Cisgiordania e Gaza, ma che hanno ugualmente segnato una popolazione già molto provata.
Talal Awkal nei giorni scorsi, dalle pagine di al-Ayyam, ha accusato non meglio precisati individui ed organizzazioni di voler far fallire il piano di sicurezza varato dal ministro dell’interno Hani Qawasmeh e quello per la riorganizzazione dei servizi segreti preparato dal Consigliere la sicurezza nazionale, nonché controverso dirigente di Fatah, Mohammed Dahlan (che ha contribuito con la sua milizia personale ad aggravare l’instabilità di Gaza). Awkal nella sua lunga analisi descrive senza reticenze il caos che regna in casa palestinese ma fallisce di individuare un punto centrale: questi piani per la sicurezza, come quelli precedenti, non servono perché sono concepiti essenzialmente per mettere fine al lancio di razzi e ad altre operazioni contro Israele e non a salvaguardare anche gli interessi della popolazione palestinese. Abu Mazen prima, Hamas poi, ora insieme nel Governo di unità nazionale, non hanno fatto nulla per arrestare e punire i responsabili di decine di sequestri di persona avvenuti a Gaza negli ultimi due anni e per fermare chi si nasconde dietro la sigla «La spada della verità» che ha rivendicato sino ad oggi più di una trentina d’attacchi contro negozi ed internet cafè ritenuti «luoghi immorali». Soprattutto non hanno mosso un dito per liberare Alan Johnston di cui un gruppo sconosciuto a Gaza, «Le brigate del jihad e del monoteismo» ha rivendicato l’uccisione che, invece, non sarebbe avvenuta.
Al momento non è chiaro se a Gaza esistano cellule islamiche qaediste. Indiscrezioni dicono che finanziamenti di origine sconosciuta qualche mese fa sarebbero arrivati ad alcuni ex militanti di Hamas, insoddisfatti della svolta politica del movimento, nonché di Jihad e Comitati di resistenza popolare. Ma una conferma non c’è. Non ci sono dubbi invece su «La spada della verità». «Si tratta di giovani ubriachi di religiosità, ma senza un’ideologia ben precisa che credono di essere i difensori dell’Islam e dell’integrità morale di tutti i palestinesi. Non vanno presi troppo sul serio ma neppure sottovalutati», sostiene Nihad al-Sheikh Khalil , un esperto di islamismo radicale che punta l’indice nei confronti dell’Anp e dei partiti palestinesi.
Il grido di ribellione al clima attuale giunge da più parti, dal mondo della cultura fino alle espressioni più compiute della società civile come il Centro per i diritti umani di Gaza city, ma le autorità palestinesi continuano a rimanere immobili. L’ultimo a ricevere le minacce de «La spada della verità» è stato Selim Naffar, scrittore e attivista del Fronte di lotta popolare. Del piano di sicurezza varato dal governo Saqer Musa, proprietario di uno internet cafè distrutto nelle scorse settimane, dice di sapere molto poco. «Non so di cosa parli, so invece che nel mio negozio prima entravano decine di clienti ogni giorno e poi, senza alcun motivo, mi è stato distrutto da un gruppetto di ragazzi senza onore», ha commentato.