La storia non raccontata del perché i Palestinesi sono divisi

Palestine Chronicle. Di Ramzy Baroud. La divisione politica nella società palestinese è profondamente radicata, e non si può ridurre tutta ad una mera questione di “divisione Hamas-Fatah”, elezioni, accordi di Oslo, a cui hanno fatto seguito i successivi disaccordi. La divisione è invece collegata agli avvenimenti che hanno preceduto tutti questi, e nemmeno la morte o l’incapacità dell’ottantenne Mahmoud Abbas faranno avanzare di una virgola l’unità palestinese.

La divisione politica è legata al fatto che, nella società palestinese, la questione della rappresentanza si è sempre basata su un partito che cercava di dominare tutti gli altri. Ciò risale al periodo precedente alla fondazione di Israele sulle rovine della Palestina storica nel 1948, quando la politica palestinese si trovava in un’epoca nella quale vari clan combattevano per il controllo dell’intero corpo politico palestinese. I disaccordi portavano a conflitti, spesso violenti, sebbene a volte sfociassero anche in una relativa armonia, come con l’istituzione dell’Alto Comitato Arabo (AHC) nel 1936 ad esempio.

Questi primi anni di disaccordi si sono poi moltiplicati nelle successive fasi della lotta palestinese. Poco dopo che il leader egiziano Gamal Abdel Nasser ebbe rinunciato al ruolo influente che aveva sull’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), in seguito all’umiliante sconfitta araba del 1967, il relativamente nuovo movimento Fatah – fondato da Yasser Arafat e da altri nel 1959 – prese il sopravvento. Da allora, Fatah ha in gran parte controllato l’OLP, soprattutto dopo la dichiarazione resa a Rabat nel 1974 secondo quale essa era “l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese”.

Quest’ultima dichiarazione ufficiale è stata aggiunta, probabilmente, per garantire che i rivali arabi non potessero rivendicare l’OLP, e quindi imporsi come benefattori della causa palestinese. Tuttavia, molto tempo dopo che il pericolo di quella possibilità era passata, Arafat e Fatah continuarono a controllare l’OLP usando la frase come giustificazione morale per il dominio e l’eliminazione dei rivali politici.

Mentre è facile arrivare a delle conclusioni quando si accusano i Palestinesi per le loro divisioni interne, c’è dell’altro oltre a questa storia. Poiché gran parte della lotta armata palestinese si è svolta all’interno di vari spazi politici e territoriali arabi, i gruppi dell’OLP avevano bisogno di coordinare le loro azioni, insieme alle loro posizioni politiche, con altre capitali arabe, come il Cairo, Damasco, Amman e persino, a volte, Baghdad, Tripoli, Algeri e Sana’a. Naturalmente, questo ha privato i Palestinesi di un’iniziativa reale e indipendente.

Arafat è stato particolarmente astuto nel gestire uno degli equilibrii più difficili nella storia dei movimenti di liberazione, mantenendo una relativa pace tra i gruppi palestinesi, placando gli eserciti arabi e mantenendo il suo controllo su Fatah e sull’OLP. Eppure anche Arafat è stato spesso sopraffatto da circostanze ben al di fuori del suo controllo, che hanno portato a grandi scontri militari, alienandolo ulteriormente e scomponendo i gruppi palestinesi in fazioni ancora più piccole, ciascuna alleata e sostenuta da questo o quel governo arabo.

Anche la divisione tra i Palestinesi è stata raramente una decisione presa dai Palestinesi stessi, nonostante la leadership avesse molte delle colpe per non aver sviluppato un sistema politico pluralistico la cui sopravvivenza non dipendesse da un singolo gruppo o individuo.

Gli accordi di Oslo del 1993 e il ritorno di alcuni dei gruppi palestinesi in Palestina nei mesi e negli anni successivi furono presentati, all’epoca, come un passo fondamentale verso la liberazione del processo decisionale palestinese dall’influenza araba o di altro tipo. Sebbene tale affermazione in teoria avrebbe dovuto funzionare, nella pratica fallì poiché la neonata Autorità Nazionale Palestinese (ANP, ora meglio conosciuta semplicemente come ANP) divenne rapidamente ostaggio di altre influenze ancora più importanti: Israele, gli Stati Uniti e i cosiddetti paesi donatori. Questo apparato, guidato dagli USA, legava il suo sostegno politico e finanziario solo a quei Palestinesi che avessero accettato una serie di condizioni, tra cui la repressione dell’“incitamento” anti-israeliano (un eufemismo deliberatamente dannoso per l’attivismo pro-Palestina) e lo smantellamento delle “infrastrutture terroristiche”.

Mentre un tale nuovo regime politico costringeva i nuovi gruppi palestinesi ad entrare in un altro conflitto, solo Hamas sembrava abbastanza forte da poter resistere alla pressione accumulata da Fatah, ANP e Israele messi insieme.

La faida Hamas-Fatah non è iniziata in quanto risultato degli accordi di Oslo e dell’istituzione dell’Autorità Palestinese. Questi ultimi eventi hanno solamente esacerbato un conflitto già esistente. Subito dopo la creazione di Hamas alla fine del 1987, i partiti dell’OLP, in particolare Fatah, guardavano con sospetto al nuovo movimento islamico per diverse ragioni: Hamas ebbe inizio e si è poi sviluppato al di fuori del ben controllato sistema politico dell’OLP; aveva sede in Palestina e quindi evitava le insidie della dipendenza dai regimi esterni e, tra le altre ragioni, si era autoproclamata come l’alternativa ai passati fallimenti e compromessi politici dell’OLP.

Come previsto, Fatah ha dominato l’ANP come ha fatto con l’OLP e, in entrambi i casi, raramente ha utilizzato canali veramente democratici. Man mano che l’Autorità Palestinese diventava più ricca e corrotta, molti Palestinesi vedevano la risposta in Hamas. Di conseguenza, la sua crescita ha portato alla vittoria del movimento nelle elezioni legislative palestinesi del 2006. Cedere ad Hamas trionfante sarebbe stata la fine del dominio decennale di Fatah su tutto il discorso politico palestinese, così come la perdita di massicce fonti di finanziamento, prestigio e molti altri vantaggi. Pertanto, il conflitto era inevitabile, portando alla tragica violenza nell’estate del 2007 e alla successiva divisione politica tra Palestinesi, con Fatah che dominava l’AP nella Cisgiordania occupata e Hamas che governava su Gaza sotto assedio.

La questione ora è ancor più complicata, poiché le crisi di rappresentanze politiche che affliggono l’OLP e l’AP rischiano ben presto di peggiorare con una lotta per il potere, già in corso, per determinare l’eventuale successore di Abbas all’interno del movimento Fatah. Pur non godendo, tra i Palestinesi, della stessa popolarità e rispetto di cui godeva invece Arafat, l’obiettivo finale di Abbas era lo stesso:  voleva dominare da solo il corpo politico palestinese. Tuttavia, a differenza di Arafat che usava manipolazioni e tangenti per mantenere intatto il movimento di Fatah, lo stesso movimento, sotto la guida di Abbas, è pronto a dividersi in fazioni più piccole. E’ probabile che l’assenza di Abbas porti ad una difficile transizione all’interno di Fatah che, se accompagnata da proteste e violenza, potrebbe condurre alla disintegrazione di tutto il movimento.

Dipingere l’attuale crisi politica palestinese in termini riduttivi come una mera “scissione” Hamas-Fatah – come se fossero mai stati uniti – o con altri cliché, significa quindi ignorare una storia di divisione che non deve essere imputata esclusivamente ai Palestinesi. Nella Palestina del dopo Abbas occorre riflettere su questa tragica storia e, invece di cercare soluzioni facili, è indispensabile concentrarsi sulla ricerca di un terreno comune al di là di partiti, fazioni, clan e privilegi. Ma, soprattutto, l’era di un partito e di un singolo individuo che domina tutti gli altri deve essere lasciata alle spalle e, questa volta, per sempre.

(Foto: L’alto funzionario di Fatah Jibril Rajoub, nella città di Ramallah in Cisgiordania, partecipa in videoconferenza a un incontro con il vice-capo di Hamas, Saleh Arouri (su uno schermo da Beirut), per discutere il piano di Israele di annettere parti della Cisgiordania occupata da Israele, il 2 luglio, 2020 [ABBAS MOMANI/AFP via Getty Images])

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi