La Striscia di Gaza a un anno dal conflitto

339131CGaza-AFP e Ma’an. Mercoledì è trascorso un anno dal devastante conflitto della scorsa estate nella Striscia di Gaza. Se il cessate il fuoco è ancora in gran parte rispettato, molte delle cause che ne stanno alla base restano ancora irrisolte.

Per la Striscia di Gaza, il bilancio è stato pesante: 2.251 Palestinesi hanno perso la vita, di cui almeno 1.500 civili e oltre 500 bambini. Le vittime israeliane, invece, sono state 73, di cui 67 militari.

Secondo un rapporto dell’ONU dello scorso mese, entrambe le parti potrebbero aver commesso crimini di guerra. Su 1,8 milioni di abitanti dell’enclave, oltre 100.000 Gazawi hanno perso la loro casa nell’operazione israeliana.

Quello della scorsa estate è il terzo conflitto in sei anni ed è quello che ha causato più vittime e distruzione; le famiglie si chiedono quando finirà tutta questa sofferenza.

«Non dovete dimenticare che un bambino di soli sette anni… ha già visto tre conflitti», ha dichiarato Robert Turner, direttore delle operazioni nella Striscia di Gaza per l’UNRWA, l’agenzia di aiuti dell’ONU.

Lunedì, Israele ha ricordato le 73 vittime del conflitto e Benjamin Nethanyahu ha proclamato, in difesa dell’offensiva militare: «Voglio dire a tutti i nemici di Israele – Hamas, Hezbollah, l’Iran e il gruppo dello Stato islamico – che chi cercherà di attaccarci pagherà con il sangue».

Considerata la situazione della Striscia di Gaza si teme che, alla fine, possa scoppiare un altro conflitto. Il blocco imposto da Israele è fortemente penalizzante, con il risultato che la popolazione vive in condizioni disperate, in estrema povertà.

Pierre Krähenbühl, commissario generale dell’UNRWA, mercoledì ha affermato: «Le cause del conflitto rimangono inascoltate. La disperazione, la miseria e la negazione della dignità causate dagli scontri e dal blocco sono ormai parte della vita quotidiana per il popolo di Gaza».

Nelle scorse settimane, si sono registrati nuovi lanci di razzi su Israele che, a sua volta, ha risposto con degli attacchi aerei.

Nonostante si siano tenuti colloqui indiretti per rafforzare il cessate il fuoco che ha messo fine agli scontri dello scorso anno e per alleggerire il blocco israeliano, non ci sono segnali che facciano pensare al raggiungimento di un accordo in tempi brevi.

Il blocco e le scarse donazioni internazionali sono ritenute la causa del lento processo di ricostruzione della Striscia dove, secondo l’UNRWA, circa 18.000 abitazioni sono state distrutte o danneggiate pesantemente e 120.000 Gazawi sono rimasti senza dimora.

La situazione è peggiorata a seguito della spaccatura tra Hamas e l’Autorità palestinese guidata dal presidente Mahmoud Abbas che governa la Cisgiordania occupata. I tentativi di riconciliazione non sono riusciti a risanare la frattura.

Nel frattempo, Hamas ha ricevuto minacce da gruppi di militanti salafiti di Gaza. Alcuni di questi vantano legami con lo Stato islamico e hanno rivendicato i recenti lanci di razzi.

«Non facciamo altro che preparare il terreno per la prossima ondata di violenza»

Il conflitto dello scorso anno ha avuto come giustificazione, in parte, il rapimento e l’uccisione di tre giovani coloni israeliani nei territori occupati della Cisgiordania. Da qui ha preso il via una massiccia caccia all’uomo che ha portato all’arresto di centinaia di Palestinesi e ha causato almeno cinque vittime.

Sono in molti, però, a suggerire che il vero obiettivo di questi arresti di massa fosse minare la recente riconciliazione tra Hamas e Fatah che in giugno aveva portato alla formazione di  un governo di unità.

Il rapimento è stato vendicato con il raccapricciante assassinio di un sedicenne palestinese, prelevato nella zona orientale occupata di Gerusalemme e arso vivo da degli Israeliani.

La vicenda ha causato un aumento del lancio di razzi dalla Striscia di Gaza su Israele che, l’8 luglio, ha risposto con l’offensiva “Operazione margine di protezione”. Il 17 luglio è poi iniziato un attacco via terra.

La fascia costiera è stata bombardata, con conseguenze devastanti, via mare e via aria fino al 26 agosto quando, grazie alla mediazione dell’Egitto, è stata raggiunta una tregua al Cairo.

Per Israele, lo scopo dichiarato del conflitto è di porre fine al lancio di razzi e distruggere i tunnel utilizzati dai combattenti palestinesi per i loro attacchi. Tuttavia, i bombardamenti sono ripresi – sebbene in forma sporadica e non siano stati rivendicati da Hamas – e la costruzione dei passaggi sotterranei a Gaza è ricominciata.

Al termine del conflitto, Hamas si è proclamato vincitore, ma i Gazawi che hanno visto morire i propri familiari e che ora vivono tra le macerie di quelle che erano le loro case hanno reagito con scherno.

Mohammed Zaza, uno studente di infermeria di diciannove anni, indicando uno spiazzo vuoto dove prima c’era la casa della sua famiglia, ha affermato che ora vivono in un appartamento pagando un affitto esagerato e ha poi aggiunto: «Paghiamo tutto di tasca nostra perché non riceviamo alcun aiuto».

A Gaza, se la ricostruzione è ferma, è la frustrazione che cresce, con il 39% della popolazione al di sotto della soglia di povertà.

«Se le cause di questi continui conflitti restano inascoltate, non facciamo altro che preparare il terreno per la prossima ondata di violenza» ha dichiarato Turner.

Il commissario generale Krähenbühl è stato più esplicito: «Per ottenere la necessaria inversione di tendenza nella Striscia, serve un’azione politica decisa su più fronti, iniziando con un alleggerimento del blocco e garantendo diritti e sicurezza per tutti. Sebbene in queste settimane si siano fatti dei passi avanti, non sono ancora sufficienti per portare un cambiamento radicale nella vita della popolazione». E ha continuato: «La situazione in Medio Oriente è sempre più instabile e negare i bisogni e i diritti della popolazione della Striscia di Gaza è un rischio che la comunità mondiale non dovrebbe correre».

(Nella foto: 6 luglio 2015 – Una famiglia riunita sulle macerie delle case a Ben Hanun, nella Striscia di Gaza settentrionale, a un anno dal conflitto della scorsa estate durato cinquanta giorni. AFP/Mohammed Abed).

Traduzione di Silvia Durisotti