La strumentalizzazione sionista della Shoah

Di L.P. Ogni anno le organizzazioni di estrema destra non perdono l’occasione per contrapporre la Shoah alla tragedia della Foibe in funzione anti-partigiana ed abilitando un certo revisionismo e rovescismo storico per riabilitare le narrazioni fasciste degli Ustascia e dell’anti-slavismo, che in quelle terre hanno commesso genocidi, pulizie etniche oltre ad aver rinchiuso le popolazioni slave in campi di concentramento. Eppure nel 2018, l’Europa ha equiparato nazismo e comunismo, contro ogni contestualizzazione storica, come direbbe Alessandro Barbero. 

Il 27 gennaio di più di 70 anni fa l’Armata Rossa (non gli americani o gli ucraini come si è soliti dire in questi ultimi anni) apriva i cancelli di Auschwitz liberando circa 7.000 persone ridotte a cadaveri umani. Vi è però un errore di fondo nella nostra società contemporanea: ricordare la Shoah come l’unico sterminio tecnicamente e scientificamente organizzato avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale a causa delle leggi razziali. Così ci dimentichiamo che i nazisti hanno parallelamente pianificato a livello tecnico anche lo sterminio degli omosessuali (quello che è stato definito “Omocausto”), lo sterminio delle popolazioni Rom e Sinti (conosciuto come il “Porrajmos”) per non parlare dei Testimoni di Genova.

Ogni anno, quella che dovrebbe essere la ricorrenza della memoria per la Shoah, diventa a livello mediatico un modo di Israele per rifarsi la verginità internazionale e di immolarsi come “vittima assoluta del nazismo”. Eppure Israele ha una storia diversa ed antecedente allo sterminio degli ebrei, ovvero l’ideologia sionista che oltretutto collaborò con il nazismo. Pensiamo a Betar e a B’Nai B’rith, organizzazioni sioniste di estrema destra che hanno sostenuto Hitler e che hanno potuto continuare le loro attività nella Germania nazista fino al 1939, quando moltissime organizzazioni di sinistra ed ebraiche erano state messe fuori leggi dopo che Adolf Hitler prese il potere il 30 gennaio 1933. Per non parlare dell’Accordo di Haavara del 1933 tra nazisti e l’Agenzia Ebraica per consentire agli ebrei tedeschi di emigrate in Palestina. Quindi cosa c’entra Israele con la Shoah, se il progetto di una “terra promessa” per gli ebrei era già attivo nel XIX secolo quando il movimento sionista favorì flussi migratori verso la Palestina ottomana, che rafforzarono la presenza ebraica nella regione e contribuirono a formare un Nuovo Yishuv, un nuovo gruppo di coloni ebrei.

Il fisico tedesco Hajo Meyer, ebreo sopravvissuto alla Shoah, coniò il termine “traumatizzazione sequenziale”[1] per indicare la strategia di ingegneria sociale applicata dallo Stato d’Israele nei confronti dei suoi cittadini per sentire sempre di più il bisogno di iper-sicurezza derivanti dalla disumanizzazione dei palestinesi. Ecco che la Shoah diventa il casus politico del sionismo per mantenere un regime d’apartheid esattamente come faceva la Germania nazista contro gli ebrei.

Il filosofo marxista Costanzo Preve definì la strategia vittimistica di Israele come “religione olocaustica”, ovvero la strumentalizzazione della Shoah da parte del sionismo come pretesto moralistico per legittimare le azioni di Israele tramite il perenne senso di colpa. Preve accusava Israele di usare ed appellarsi alla Shoah come scusante per aver invaso le terre di un popolo e per averne distrutto la sovranità e l’autodeterminazione, senza che nessuno si possa opporre poiché verrebbe giudicato come antisemita. A tal proposito ricordo due frasi di due grandi pensatori ebrei: “Non vi è peggior uomo della vittima che si fa carnefice”, di Primo Levi, e “I nazisti mi hanno fatto provare la paura di essere ebreo, gli israeliani mi hanno fatto provare la vergogna di essere ebreo” di Israel Shahak (ebreo sopravvissuto alla Shoah 1933-2001), professore di chimica all’Università ebraica di Gerusalemme (la sua frase è tratta da “L’errante chi?” di Gilad Atzmon). Molti sono gli ebrei sopravvissuti alla Shoah che si sono battuti per il riconoscimento della Nakba come genocidio e contro l’apartheid razzista che Israele attua contro i palestinesi. Eppure anche loro vengono definiti mediaticamente sotto l’accusa-ombrello di essere “antisemiti”, quando in realtà l’antisemitismo (discriminazione contro le popolazioni semite, di cui gli ebrei ashkenaziti non fanno parte) è ben diverso dall’antiebraismo, che a sua volta è ben diverso dall’antisionismo.

“Non rispetto le lacrime di coccodrillo… Non posso tacere quando Israele commette i suoi crimini contro i Palestinesi e penso non ci sia nulla di più spregevole che usare la sofferenza e il martirio delle vittime dell’Olocausto per cercare di giustificare la tortura, la brutalizzazione, la demolizione di case che Israele commette quotidianamente contro i Palestinesi. Quindi rifiuto di essere intimidito o scosso dalle lacrime. Se tu avessi un cuore, piangeresti per i Palestinesi!”

Questo discorso è stato fatto da Norman Finkelstein, figlio di sopravvissuti ebrei del ghetto di Varsavia e quindi del campo di concentramento di Auschwitz. Dal 2008 gli è stato vietato di entrare in Israele per le su posizioni filo-palestinesi.

Era il 2016 e Moni Ovadia, attore italiano di famiglia ebrea, ha ricevuto attacchi violenti e feroci, conditi da insulti alla sua famiglia, da parte di sionisti a seguito dell’intervista che aveva rilasciato alla trasmissione “L’erba dei vicini” su Israele e questione palestinese. Evidentemente le sue parole hanno dato fastidio a chi non tollera critiche alla politica coloniale israeliana. La sua risposta agli attacchi dovrebbe far riflettere chi coltiva l’intolleranza:

“La mia partecipazione alla trasmissione “L’erba dei vicini” ha attirato molte critiche feroci e insulti spietati da parte di chi, credendo di possedere la verità, ha deciso che io non sono degno di essere ebreo poiché non condivido la politica governativa di Israele nei confronti dei palestinesi. Non è questa la sede per esprimere le mie posizioni – peraltro note- ma per esprimere una riflessione sì: ciò che mi addolora e sconcerta quando mi lanciano maledizioni e minacce, mi augurano la morte, o si rammaricano che i miei genitori non siano morti nei Campi così non sarei nato, è che se un ebreo vuole che un altro ebreo, solo perché non la pensa come lui, venga sterminato, allora la Shoah trova un osceno senso finale e i nazisti la loro piena legittimazione”.

E’ lo stesso Moni Ovadia ad aver spiegato come ebraismo e sionismo siano due concetti completamente diversi, e come antisemitismo, anti-ebraismo e antisionismo siano tre nozioni non sovrapponibili. Vi proponiamo dunque la riflessione Gideon Levy, giornalista ebreo molto critico verso l’occupazione sionista:

“Nessuno deve ovviamente dimenticare l’Olocausto. Così come offuscare il fatto che fu diretto contro il popolo ebreo. Ma proprio per questa ragione, non dobbiamo ignorare il comportamento delle sue vittime verso le vittime secondarie dell’Olocausto, il popolo palestinese. Senza l’Olocausto, non avrebbero perso la loro terra, non sarebbero oggi tenuti prigionieri nel campo di concentramento a cielo aperto di Gaza e nella West Bank non vivrebbero sotto una brutale occupazione”.

Nessuno deve permettersi di strumentalizzare la Shoah per legittimare altra violenza, come invece sono soliti fare i sionisti. Nessuno deve dimenticare l’enorme e criminale responsabilità che i Paesi Occidentali hanno avuto e continuano ad avere nel conflitto israelo-palestinese.

Come direbbe Primo Levi, scrittore italiano ebreo sopravvissuto alla Shoah: “Ognuno è ebreo di qualcuno. Oggi i palestinesi sono gli ebrei di Israele”.


[1] https://www.invictapalestina.org/archives/44273