La torre d'avorio dietro il muro dell'Apartheid.

 
 

La torre d’avorio dietro il muro dell’Apartheid
Margaret Aziza Pappano, The electronic Intifada, 25  Luglio 2007 
 
Nelle ultime settimane i rettori degli USA e del Canada si sono affrettati a emettere dichiarazioni sul proposto boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane da parte del sindacato delle università e dei college britannici. Tuttavia, data la generale evasività di questi leader a commentare su qualunque violazione della libertà accademica avvenuta in anni recenti, compreso quelle vicino casa nella forma della revoca politicamente motivata dell’incarico a Norman Finkelstein e al collega Mehene Larudee, che lo aveva sostenuto pubblicamente, le molestie subite dai professori della Columbia university Joseph Massad e Rashid Khalidi, e l’intimidazione del corpo docente da parte di Campuswatch, si potrebbe essere scusati nel concludere che i rettori preferiscono rimanere al disopra degli scontri politici e riservare le proprie funzioni per solenni e importanti pronunciamenti non controversi sugli tsunami. Ma ora persino nel mezzo di un estate afosa, i rettori di università hanno mobilitato la loro più ingombrante retorica accademica nell’esprimere solidarietà alle università israeliane e nel sostenere i diritti di tutti ad "un aperto scambio di idee" e alla "libertà di associazione".

Ciò che forse rende maggiormente perplessi riguardo questa tendenza è la sua natura interamente virtuale, perché di fatto ancora nessuna libertà è stata violata da un boicottaggio ancora in discussione. Non di meno, i rettori di università si stanno preparando in anticipo per quello che potrebbe essere "un attacco … [a] tutte le università nella loro missione fondamentale" (Gilles Patry, università di Ottawa) e una "minaccia … [alle] fondamenta morali di ogni università" (Amy Guttman, università della Pennsylvania)[1]. Il rettore dell’università della Virginia John Casteen paragona il proposto boicottaggio alla "condotta dei più maligni movimenti politici e governi del 20mo secolo". Tuttavia, sicuramente loro capiscono che i Palestinesi hanno sofferto per molti decenni attacchi alle loro università da parte delle forze di occupazione israeliane. Sicuramente se i rettori di università stanno puntando le armi su un proposto boicottaggio delle istituzioni accademiche di Israele, devono avere qualcosa da dire sulla chiusura delle università, sull’arresto e l’uccisione e ferimento di studenti, le difficoltà quotidiane poste a studenti e professori per arrivare a lezione, il rifiuto di permessi agli studenti per frequentare l’università, e la revoca dei visti ai professori e ai ricercatori in visita che caratterizza la vita accademica in Palestina. Se un boicottaggio di istituzioni accademiche è considerato ingiusto, che dire della metodica distruzione di un sistema educativo? Se Patry ammonisce circa potenziali "atti di esclusione" contro le università israeliane, non è preoccupato che proprio ora, mentre parliamo, moltissimi studenti palestinesi sono esclusi dalle loro università attraverso il rifiuto di rilasciare loro il permesso di viaggiare? Riuscirebbe a  vedere nella deportazione e nell’esilio di diciannove anni del suo collega, il rettore dell’università di Birzeit Hanna Nasir, un "atto di esclusione"? Il capo della mia stessa università, Karen Hitchcock, è impegnata a "difendere la libertà degli individui di studiare, insegnare e fare ricerca senza paura di molestie, intimidazione e discriminazione". Tra questi "individui" ci sono anche i Palestinesi, ci si chiede? Se si, è lei pronta a parlare contro i checkpoint posti fuori dalle università, come quello fuori Birzeit che ha prodotto una riduzione delle frequenza dal 20 al 40% nel 2001 secondo i dati di Human Rights Watch? Il filosofo e critico Judith Butler sostiene: "Se l’esercizio della libertà accademica cessa o è attivamente ostacolato, quella libertà è persa, ed è per questo che quei checkpoint dovrebbero essere un tema da discutere per chiunque difende la nozione di libertà accademica" [2].
 

E’ importante capire che la britannica UCU sta prendendo di mira le istituzioni accademiche israeliane (e non gli individui) non solo perché solo legati alla stessa professione ma anche per la posizione delle università nella società israeliana. Le università israeliane, lungi dall’essere luoghi di dissidenza e resistenza alle politiche violente e discriminatorie del loro governo, sono esse stesse colpevoli di violazioni dei diritti umani. L’università Bar-Ilan ha fondato una sezione distaccata a Ariel, un insediamento illegale nella West Bank, rendendosi direttamente complice di un progetto di continuata espansione coloniale. La Hebrew University ha una lunga e sgradevole storia di appropriazione di terra palestinese. Nel 1968, contro una risoluzione ONU, l’università sfrattò centinaia di famiglie palestinesi per espandere il suo campus a Gerusalemme est. Questa storia di confische continua, dal momento che nell’Ottobre 2004 ci furono altri sfratti di famiglie palestinesi e distruzione delle loro case per un’altra espanzione del Campus. I corpi docenti israeliani collaborano con i servizi di intelligence, usando le proprie competenze per progettare sofisticati metodi di "interrogatorio" per l’esercito israeliano. E gli accademici israeliani stessi servono come riservisti, spesso nei territori occupati. La posizione della British UCU è in ultima analisi intesa a sollecitare gli accademici israeliani a fare qualcosa sulla loro complicità nell’occupazione illegale.

Piuttosto che dare fiato a gonfia retorica e denunciare verbalmente la UCU britannica, alcuni rettori di università sono pronti ad andare oltre. Nel suo discorso, Karen Hitchcock minacciava di aggiunere la Queen’s University alla "lista di boicottaggio" della UCU. Modellando la sua posizione su quella del rettore della Columbia University Lee Bollinger, paradossalmente un esperto del Primo Emendamento, la Hitchcock si riferiva alla petizione lanciata dal professore di diritto di Harvard Alan Dershowitz che invita gli accademici a firmare in qualità di Israeliani onorari e chiedere anche di essere boicottati dalla UCU. Il Cancelliere dell’Università di Berkeley, California, Robert Birgenau, e il rettore della McGill University Monroe-Blum esprimono sentimenti simili nelle loro dichiarazioni, dicendo che se la UCU britannica sceglie di boicottare le istituzioni accademiche, dovranno boicottare anche Berkeley e la McGill.

  
Quando questi rettori di università sfidano nelle loro dichiarazioni la UCU a boicottarli, indicano che la Columbia, Berkeley, McGill e gli accademici della Queen desiderano essere boicottati insieme alle loro
controparti israeliane perché pensano che questi boicottaggi siano sbagliati. Si sospetterebbe che possano esserci insegnanti, dipendenti, e studenti in queste scuole che non vogliono essere considerati Israeliani onorari ed essere boicottati dalle università britanniche. E’ nelle competenze di un rettore universitario emettere unilaterali pronunciamenti che hanno potenzialmente significative conseguenze per il benessere intellettuale dei suoi membri? Che tipo di libertà accademica è questa se un rettore ha il potere di prendere queste decisioni per il suo corpo docente, i suoi dipendenti e gli studenti? Mentre possono esserci molte persone in queste università che danno il benvenuto a una tale posizione, in linea di principio non si potrebbe e dovrebbe sostenerle. Io credo che questa sia in sé una violazione della libertà accademica.

In effetti, per tutto il loro professato impegno a "scambiare la conoscenza e le idee" (Munroe-Blum), la "mutua comprensione di studiosi e libero scambio accademico e di espressione" (Patry), la "libera ricerca e scambio di idee" (John Casteen, università della Virginia), il "libero dibattito senza vincoli" (David Skorton, Cornell University), nessuno in questo gruppo di rettori accademici sembra minimamente preoccupato a fornire il tipo di aperto dibattito su questa questione come sarebbe nel vero spirito delle loro occupazioni. Purtroppo, sembra che questi rettori di fatto si stiano affrettando a fare dichiarazioni al preciso scopo di prevenire questo dibattito nelle loro università. Se questi rettori di università fossero davvero impegnati sulle loro posizioni dichiarate sullo scambio intellettuale, non organizzarebbero o almeno favorirebbero una discussione delle questioni tra quanti li hanno eletti perché esaminino le motivazioni dietro il proposto boicottaggio? O si stanno affrettando a soffocare il dibattito perché hanno paura di impantanarsi in un gruppo di questioni controverse? Quando non ci fosse aperta discussione su queste questioni nei loro campus, che valore di esempio potrebbero avere d’ora in poi queste discussioni? Spero che alla Cornell possano avere un "libero dibattito senza vincoli". Via i vincoli!
 
Io sospetto comunque che questo diluvio di dichiarazioni non annunci niente di buono riguardo a ciò che Casteen chiama "la capacità unica [dell’università] di servire il bene pubblico". Sembra che sia stato posto un pericoloso precedente nel quale i rettori delle università hanno accettato il ruolo abituale di politicanti ed accettato viaggi in Israele organizzati e motivati. Il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito che sette rettori degli USA hanno visitato Israele ai primi di luglio in una campagna volta "a spiegare le politiche di Israele ai leader delle istituzioni accademiche USA e a rafforzare la collaborazione scientifica tra i due paesi" [3]. Oltre ad incontrarsi col ministro della pubblica istruzione e con leader accademici, i rettori delle università si sono anche incontrati con ‘esperti militari’". Presumibilmente  con i generali israeliani non si sono scambiati opinioni su Aristotele. Mentre siamo abituati ai nostri funzionari eletti che partecipano a questi viaggi, l’università, concordo con Casteen (una membro della delegazione in Israele), si presume che serva il pubblico in una maniera unica. Non dico che qualche proposito educativo e "libero scambio di idee" non abbia avuto luogo durante la visita del presidente, ma rimango sconcertata dall’incontro con l’esercito israeliano. Il corrispondente di Haaretz, Tamara Traubman, indica con precisione l’agenda politica sottesa al programma della visita, scrivendo cha "La visita ha avuto luogo durante i tentativi di boicottaggio di Israele e la controversia tra destra e sinistra su Israele nei campus USA". Se questo viaggio aveva lo scopo di concentrarsi sui rettori di università nel tentativo di prevenire un dibattito sulle università, allora dobbiamo chiedere se le università non abbiano ceduto, secondo la malaugurante frase di Bollinger, ai "tentativi politicamente tendenziosi di deviare la missione centrale dell’educazione superiore".

I rettori di università potrebbero sostenere che sono pronti a difendere i diritti di ogni gruppo, non solo degli Israeliani, alla libertà accademica. Come Tom Traves, rettore della Dalhousie scrive nella sua dichiarazione "le università non fanno politica estera e devono affermare il proprio diritto ad essere indipendenti dai diktat dei governi in nome di agende politiche di breve periodo". Eppure, quando i rettori di università hanno permesso che numerose violazioni della libertà accademica contro i Palestinesi passassero senza commento, devono capire che i loro discorsi, piuttosto che "difendere la libertà degli individui", come essi affermano, funzionano precisamente come pronunciamenti politici a supporto del regime israeliano. Non potete permettere che vi siano decenni di rozza ingiustizia contro una parte e subito saltare alla difesa dell’altra parte pretendendo che questa non sia una posizione politica.
Mi colpisce come un caso particolarmermente sfortunato — sebbene dato il recente maltrattamento del professore di studi mediorientali Joseph Massad, non inatteso — che il rettore della Columbia debba guidare la carica, Nel 1968, quando la Hebrew University si dava da fare nel confiscare terra palestinese a Gerusalemme est, sul lato ovest di Manhattan la Columbia University stava facendo una cosa simile. Nell’Aprile di quell’anno la Columbia irruppe nel Mornigside Park, un parco locale adiacente al suo campus principale, per costruire una palestra. La protesta della gente del posto fu immensa e gli studenti organizzarono immediatamente un blocco di ciò che ai loro occhi sembrava un’arrogante appropriazione di spazio pubblico per usi privati. Seguì una lunga protesta, che sebbene repressa violentemente dalla polizia all’inizio, risultò infine efficace nel raggiungere l’obiettivo. Il progetto per la palestra fu abbandonato e la richiesta degli studenti alla Columbia di interrompere i legami con l’Institute of Defense Analysis, fu anch’essa accolta, un passo che sicuramente permise ai suoi scienziati di lavorare con più "apertura" e "libero scambio delle idee". Questo era un evento galvanizzante nella storia della Columbia e l’efficacia della protesta e le vittorie che infine acquisì per il ripetto dei diritti del circondario per mettere in luce la complessità delle relazioni razziali dei suoi residenti con l’università è ora raccontato con orgoglio come un grande momento della storia della Columbia, graziosamente riportato anche sul sito web. Questa è una storia da cui Bollinger ed altri avrebbero da imparare, perché le istituzioni hanno bisogno di motivazioni per andare avanti e trascendere i propri passati spesso poco illustri. Sostenere il boicottaggio di un’università può aiutare quei dissidenti dentro l’università che veramente si impegnano dentro di essa per un cambiamento, perché il desiderio di fare una buona impressione nel mondo ha spesso agito come catalizzatore per trasformazioni positive. L’opinione mondiale è stata assolutamente centrale a fare pressione sugli USA durante l’era dei diritti civili e per smantellare l’Apartheid in Sud Africa. Dato che il boicottaggio punta alle istituzioni, non agli individui, piuttosto che isolare le università israeliane, il boicottaggio fornirebbe un certo sostegno agli accademici che desiderano riformare le propri
e università.

Vi sono altre tattiche a parte il boicottaggio disponibili per noi accademici per affrontare le sofferenza dei Palestinesi nei territori occupati. Una comunità universitaria potrebbere decidere una differente strategia. Recentemente il commentatore del New York Times Thomas Friedman ha suggerito che le università farebbero meglio ad educare gli studenti palestinesi, stabilire scambi, e mandare il corpo docente ad insegnare nelle università palestinesi. Penso che queste siano grandi idee e spero che Israele sia d’accordo con Friedman e smetta di rifiutare o revocare arbitrariamente i visti dei professori in visita e di impedire agli studenti  e agli accademici palestinesi di prendere parte a meeting internazionali. Sono certo che un "aperto scambio di idee" sui campus universitari porterà molti differenti e creativi suggerimenti da prendere in considerazione per capire come noi accademici possiamo contribuire a migliorare la lotta dei nostri colleghi palestinesi, e sostenere i nostri colleghi israeliani a fare altrettanto. Ma non condanniamo con disinvoltura il boicottaggio prima che la discussione prenda corpo.


A questo fine ho creato una petizione nella mia università per chiedere al rettore di ritrattare la sua dichiarazione e sostenere l’organizzazione di un forum per discutere queste questioni che si riferiscono al proposto boicottaggio. Questo è davvero il minimo che un’università dovrebbe fare. Chiedo con forza ai miei colleghi presso le altre università di fare altrettanto.

Endnotes
[1] All quotations from university presidents, principals, chancellors, etc. that I cite are taken from their statements posted on their university websites.
[2] "Israel/Palestine and the paradoxes of academic freedom," Judith Butler, Radical Philosophy 135, January/February 2006, p. 11.
[3] "U.S. university presidents visit Israel to strengthen academic ties," Tamara Traubmann, Haaretz, 3 July 2007.

Margaret Aziza Pappano è un professore associato di inglese alla Queen’s University, Kingston, Ontario; la sua specialità è la letteratura medievaleNel 2006 ha visitato la West Bank per il programma "Connecting Dearborn and Jerusalem", sponsorizzato dal Center for Arab American Studies presso la University of Michigan-Dearborn. 

Tradotto dall’inglese da Gianluca Bifolchi, un membro di  Tlaxcala  (www.tlaxcala.es), la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale : è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l’integrità e di menzionarne l’autore e la fonte.

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