La verità sui dialoghi di riconciliazione

Memo. Di Daud Abdullah. I colloqui di riconciliazione nazionale palestinese sono diventati un processo di riconciliazione. Come il processo di pace in Medio Oriente, anche questi non sembrano progredire e pare che si trovino in fase di stallo. Innanzitutto difficilmente possono essere definiti nazionali, dal momento che sono in primo luogo sulle differenze croniche tra Fatah e Hamas, entrambi aventi un’influenza senza pari sulla politica nazionale palestinese. La scorsa settimana, entrambe le organizzazioni hanno cercato di sorvolare su quello che era evidentemente un mancato accordo su questioni procedurali e sostanziali. L’unico accordo effettivo raggiunto è stato quello di continuare a parlare.

Anche se le procedure elettorali avrebbero dovuto essere stabilite nel precedente “accordo del Cairo”, il presidente Mahmoud Abbas ha gettato le operazioni nello scompiglio chiedendo nuove modifiche. Vuole fissare la data delle elezioni prima della formazione del governo di unità, con un decreto presidenziale, naturalmente, senza ricorrere alla versione palestinese di parlamento, il Consiglio Legislativo. Hamas ha respinto la proposta.

Addirittura, a quanto pare, Abbas ha detto alle organizzazioni che la Palestina comprende ora soltanto Cisgiordania e Gaza e ciò che resta è Israele. Né Hamas né il Jihad islamico l’hanno accettato, sottolineando che nessuno ha il diritto di cedere la terra della Palestina storica.

Quindi chiaramente la riunione della scorsa settimana al Cairo non ha prodotto risultati significativi. Infatti Abbas ha lasciato Il Cairo prima che venisse presa una decisione sulle questioni cruciali dell’OLP, il governo di unità nazionale e le elezioni.

Una spiegazione per il malfunzionamento dei colloqui è stata offerta da Ibrahim Al-Dirawi, direttore della sede del Cairo del Centro di Studi palestinesi. Al-Dirawi ha riferito che nel corso di un incontro segreto tenutosi a Ramallah tra l’ambasciatore americano in Israele, Daniel Shapiro, Mahmoud Abbas e altri leader dell’OLP, Shapiro ha chiesto “il congelamento dei colloqui di riconciliazione fino a dopo la visita del presidente Obama nella regione”. Abbas diligentemente, e doverosamente, ha obbedito. Al Cairo ha detto ai suoi colleghi di non essere in grado di formare un governo con i sostenitori di Hamas mentre il presidente degli Stati Uniti era nella regione.

E come tutto ciò è stato stabilito a porte chiuse, è sicuramente arrivato il momento per Hamas e Fatah di annunciare al popolo palestinese che non c’è feeling tra di loro e che anche un’unione temporanea è fuori questione. La verità è che ognuno desidera preservare la propria influenza nelle rispettive zone franche, la Striscia di Gaza per Hamas e la Cisgiordania per Fatah. I palestinesi sono ormai convinti di poter sperare al massimo a una qualche forma di accordo libero tra le due fazioni.

Se il buon senso richiederebbe una leadership palestinese unita, Abbas è chiaramente spinto verso direzioni opposte. Le responsabilità nazionali esigono la riconciliazione tra Fatah e Hamas, ma i precedenti accordi con Israele e gli Stati Uniti finanziatori lo tirano nella direzione opposta. Il ministro israeliano delle Finanze, Yuval Steinitz, lo ha evidenziato quando ha minacciato di rifiutare le entrate fiscali – l’equivalente di 100 milioni di dollari al mese – all’Autorità palestinese se deciderà di formare un governo di unità con Hamas.

Per molti osservatori, l’obiettivo del presidente Abbas sono le elezioni più di ogni altra cosa. Parlare di riconciliazione è solo un mezzo per persuadere Hamas ad un accordo per avere le elezioni parlamentari. Supponiamo ipoteticamente che le prossime elezioni non saranno truccate, né l’Autorità Palestinese né Israele né i suoi sostenitori occidentali approverebbero un’altra vittoria di Hamas. Non ci sono garanzie che i sostenitori della democrazia per il mondo arabo accetterebbero la scelta democratica dei palestinesi se significasse un governo Hamas. Anzi, l’esperienza suggerisce l’esatto contrario.

Chiaramente Abbas ha disperatamente bisogno delle elezioni come mezzo per riprendere il controllo di Gaza e per estendere il suo mandato in Cisgiordania. In effetti le elezioni devono accelerare l’uscita di Hamas dalla porta stessa attraverso cui è entrata. Ciò darebbe all’Anp e a Israele l’autorità “democratica” di mettere fuori legge il movimento e perseguire e arrestare i suoi membri e sostenitori così come hanno fatto nel periodo immediatamente successivo a Oslo quando in centinaia sono stati gettati nelle prigioni dell’Anp.

Per ora Hamas sembra essere in una posizione di relativa forza. Ha la legittimità di essere un movimento di resistenza che ha pagato con il sangue dei suoi leader e dei suoi membri. Inoltre è stato legittimato dalle elezioni del 2006, anche se le cose sono cambiate. Tutta la leadership politica e militare di Hamas in Cisgiordania si trova già incarcerata in prigioni israeliane o Anp. Il movimento non avrebbe la minima chance se le elezioni venissero indette domani. E Hamas ne è perfettamente consapevole.

Il vice presidente dell’Ufficio politico, Musa Abu Marzouk, ha dichiarato che l’assenza di libertà politiche e la campagna di detenzione in corso trasformeranno le elezioni in una farsa completa. Abbas lo sa, ma è pronto ad andare avanti comunque.
Hamas ha quindi adottato standard più severi chiedendo che le elezioni, quando avranno luogo, includano i palestinesi della diaspora; molto probabilmente l’Anp non lo tollererà. Ironicamente escludendo la diaspora dal voto si accentuerebbe ancora la frammentazione del popolo palestinese.

Una combinazione di fattori politici, economici e di sicurezza hanno reso la riconciliazione tra Fatah e Hamas altamente improbabile. E finché Abbas continuerà a strisciare davanti agli americani e agli israeliani rimarrà un’illusione. Per ora l’unica consolazione è che il popolo palestinese difficilmente può essere descritto come diviso tanto quanto i loro rappresentanti politici. Sono uniti all’insegna dell’ingiustizia che hanno subito, e un giorno tutto ciò verrà invertito, non importa quanto tempo ci vorrà.

Traduzione per InfoPal a cura di Viola Migliori