MEMO. I soldati israeliani nascosti dentro a bunker e che utilizzano cecchini da lunga distanza hanno ucciso intenzionalmente 35 bambini, paramedici, giornalisti e disabili durante le loro continue aggressioni contro i civili palestinesi che manifestavano lungo il confine di Gaza, come ha concluso un rapporto pubblicato la settimana scorsa dalle Nazioni Unite. La Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC) ha affermato che i militari israeliani hanno violato i diritti umani e la giustizia internazionali uccidendo 189 Palestinesi e ferendone più di 6.100 dal 30 marzo 2018, cioè da quando sono iniziate le proteste settimanali del venerdì. Secondo fonti palestinesi di Gaza, queste cifre sono più basse rispetto a quelle reali.
Nella relazione di 25 pagine, i funzionari dell’ONU affermano che le uccisioni “potrebbero costituire crimini di guerra o crimini contro l’umanità” ed ha esortato a sottoporne formalmente le prove al Tribunale penale internazionale (CPI) per denunciarli.
Piuttosto che affrontare il contenuto del rapporto, i dirigenti israeliani, compreso il primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno risposto nel solito modo che utilizzano di fronte alle prove schiaccianti degli omicidi di massa di donne, bambini e civili innocenti: cioè accusando l’ONU di “anti-semitismo”, di parzialità e di ipocrisia. Non è una novità. Gli israeliani hanno sempre nascosto e negato le accuse di omicidi di massa, nonostante la pulizia etnica e la distruzione di almeno 400 città e villaggi palestinesi avvenuti durante la “guerra di indipendenza” tra il 1946 ed il 1949.
La storia di Israele è costruita sul terrorismo e sulle uccisioni, non solo in base alla razza o all’etnia, ma anche in base alla religione; quel che potremmo definire “religionicidio”. La sua violenza assassina è continuata durante tutti i suoi settant’anni di esistenza. Le uccisioni di cristiani e musulmani da parte dei militari israeliani sono sempre state giustificate sostenendo che i soldati ebrei si stavano solamente “vendicando” per gli attacchi commessi dagli arabi nei loro confronti. Per di più, i nuovi rapporti vengono censurati ed ai giornalisti israeliani è vietato raccontare gli avvenimenti.
Per ironia della sorte, invece che essere puniti per i loro crimini, i colpevoli sono sempre stati premiati dagli ebrei israeliani. Uomini e donne bollati come “terroristi” negli anni ’40 hanno continuato le loro carriere divenendo primi ministri di Israele o alti funzionari.
Il 9 aprile 1948 i terroristi sionisti massacrarono gli abitanti arabi civili nel villaggio di Deir Yassin, alla periferia di Gerusalemme. I resoconti iniziali del Comitato Internazionale della Croce Rossa parlarono di un totale di 250 morti ammazzati, ma Israele impedì un’indagine ufficiale fino a quando l’area non passò sotto il suo controllo, un mese dopo. Il luogo del massacro venne poi cancellato dalle mappe e, addirittura, divenne parte del Memoriale dell’Olocausto eretto nel 1953 che ospita milioni di documenti sul genocidio nazista degli ebrei europei. Ipocritamente, Israele sopprime qualsiasi indagine riguardante omicidi di non-ebrei, come sta cercando di fare anche in risposta al rapporto dell’UNHRC su Gaza. Il massacro di Deir Yassin venne ordinato dal capo del gruppo terrorista Irgun, Menachem Begin, che venne poi eletto primo ministro di Israele nel 1977.
Il 12 luglio 1948 i militari israeliani attaccarono la città araba di Lydda, vicino a Tel Aviv, uccidendo centinaia di residenti. I massacri venivano utilizzati come una minaccia di avvertimento ed i soldati israeliani obbligarono più di 35.000 residenti arabi cristiani e musulmani ad abbandonare la loro città. Questa venne in seguito rinominata Lad, il nome in ebraico di una città biblica. Il massacro e la pulizia etnica di Lydda vennero orchestrati da Yitzhak Rabin, che venne in seguito eletto primo ministro, per la prima volta, nel 1974.
Nell’ottobre del 1953 i militari israeliani, irritati dalle schermaglie avvenute lungo il confine giordano, lanciarono un “attacco per rappresaglia” contro un piccolo villaggio della Cisgiordania chiamato Qibya. Sessantanove civili disarmati vennero massacrati, due terzi dei quali erano donne e bambini. I militari distrussero 45 abitazioni, una scuola ed una moschea. Erano sotto il comando di Ariel Sharon, che divenne primo ministro di Israele nel 2001 e che ha affermato, nelle sue memorie, che la maggior parte delle vittime vennero uccise quando le case in cui avevano cercato riparo erano già state distrutte. Sharon ha poi continuato autorizzando il massacro di centinaia di Palestinesi nel campo rifugiati di Sabra e Shatila a Beirut, nel settembre 1982, da parte della milizia libanese di destra. Tristemente, l’ex-presidente degli Stati Uniti George W. Bush definì Sharon come un “uomo di pace”.
Il 29 ottobre del 1956, i militari israeliani massacrarono 48 civili arabi, tra cui 23 bambini, nel villaggio di Kafr Qasim, situato in Israele al confine con la Giordania. Tra il 1948 ed il 1966 i non-ebrei di Israele vennero definiti “popolazione ostile” e sottoposti alle leggi marziali. L’esercito israeliano emanò l’ordine spara-per-uccidere contro qualsiasi arabo che fosse stato trovato per strada dopo il coprifuoco. I lavoratori palestinesi del villaggio non sapevano del coprifuoco e vennero uccisi mentre stavano tornando a casa. Il comandante dell’esercito testimoniò all’epoca che questa azione faceva parte del piano di Israele per la pulizia etnica degli arabi di Israele, confessione che probabilmente gli impedì in seguito di essere eletto primo ministro.
Questi orrendi massacri hanno contribuito a creare una mentalità violenta in molti israeliani, soprattutto quando prestavano servizio nell’esercito o nella polizia; essi si convincevano che la vita umana degli arabi, dentro o fuori da Israele, non valeva niente. Vi sono state decine di incidenti nei quali la polizia israeliana non solo ha attaccato ed ucciso Palestinesi che vivono nei territori occupati, ma anche cittadini arabi dello stesso stato di Israele.
Il 30 marzo 1976, ad esempio, la polizia israeliana sparò ed uccise sei cittadini israeliani arabi disarmati, ferendone altri 100, mentre protestavano contro i tentativi del governo di confiscare territori di proprietà palestinese. Da allora questo massacro viene commemorato ogni anno dai Palestinesi come “Giorno della Terra”. Il 30 marzo dell’anno scorso i Palestinesi della Striscia di Gaza hanno iniziato le proteste settimanali denominate la “Grande Marcia del Ritorno” lungo il perimetro di confine nominale. Hanno sempre continuato a chiedere la fine del blocco oppressivo di Gaza e l’adempimento del diritto legittimo a ritornare sulle loro terre all’interno di Israele.
Il 28 settembre 2000 Ariel Sharon entrò nel Nobile Santuario di Al-Aqsa accompagnato da centinaia di poliziotti israeliani, e dichiarò che il sito apparteneva ad Israele, sollevando così le proteste di tutti. Nella settimana che seguì, gli agenti della polizia uccisero 13 Palestinesi; tutti erano cittadini di Israele tranne uno.
Nell’arco di poco più di dieci anni, Israele ha lanciato tre importanti offensive contro i civili di Gaza; 1.400 Palestinesi vennero uccisi nel 2008-09; 177 nel 2012; e nel 2014 oltre 2.200 uomini, donne e bambini palestinesi vennero uccisi dagli israeliani.
Mentre queste uccisioni di civili palestinesi da parte dei soldati israeliani non sono certo un fenomeno nuovo, lo è invece la posizione forte dell’ONU contro le atrocità israeliane. Le banalità sono sempre stata la norma, ma ora l’organizzazione internazionale sembra chiedere giustizia.
I Palestinesi debbono ricordare al mondo le guerre criminali ed i crimini contro l’umanità di Israele, e contrastare l’intenso pregiudizio anti-palestinese dei media israeliani e delle loro controparti occidentali.Tali pregiudizi dei media permettono ad Israele di cancellare le proprie responsabilità, appellandosi all'”auto-difesa” e alla “rivalsa” contro le violazioni palestinesi. La narrativa di Israele secondo la quale ogni legittima resistenza palestinese alla sua occupazione è “terrorismo” purtroppo è stata completamente assorbita dai media occidentali.
Non esiste nessun “statuto di limitazione” sull’uccisione di civili innocenti da parte di nessun governo, quindi non vi dovrebbe nemmeno essere alcuna barriera contro il perseguimento dei singoli responsabili. Il rapporto dell’UNHRC descrive il processo di un governo dal comportamento oltraggioso, governo che è impegnato in azioni esclusivamente punitive ed uccisioni di civili. Gli israeliani non hanno mai ucciso dei Palestinesi per motivi di giustizia o di diritto internazionale; lo hanno quasi sempre fatto soltanto per vendetta o per sedare la loro rabbia. E questo non è il comportamento di uno stato democratico rispettoso della legge. La violenza, sembra, sia fondamentale per la “democrazia” di Israele, e lo è sempre stata.
Traduzione per InfoPal di Aisha Tiziana Bravi