L’“accordo del secolo” di Jared Kushner è stato ideato per fallire fin dall’inizio

Middle East EyeBill Law. (Da Zeitun.info).Al di là delle critiche, Kushner sta giocando un’importante partita sulla questione israelo-palestinese

Il genero del presidente USA Donald Trump e negoziatore per il Medio Oriente, Jared Kushner, non rilascia molte interviste – perciò quando lo fa, gli organi di informazione non sono solo attenti, ma ci si buttano a capofitto. E alcuni settori dei media statunitensi lo hanno fatto, dopo l’intervista a Kushner di Axios della [emittente televisiva americana via cavo, ndr.] HBO del 2 giugno.

‘Slate’ [rivista americana in rete, ndtr.] ha pubblicato un articolo dal titolo: “Le più imbarazzanti risposte dell’intervista di Jared Kushner ad Axios”. ‘Vanity Fair’ ha commentato: “In un’intervista comicamente disastrosa, il ‘primo genero’ ha imbastito risposte su nazionalismo, rifugiati, Arabia Saudita e sul suo piano di pace per il Medio Oriente.” La CNN è stata più gentile, optando per una disamina selettiva punto per punto delle “29 righe più assurde” dell’intervista.

L’ipotesi di queste ed altre apprezzate pubblicazioni nell’establishment dei media progressisti, che a Trump piace odiare, è che Kushner è al massimo un perfetto idiota, che si aggira beatamente in un paesaggio complicato senza avere idea dei pericoli in agguato – che è un ragazzino ricco e privilegiato con una storia fatta di automobili e di affari immobiliari ed una moglie che è la figlia preferita del presidente, e che è troppo complicato per lui.

Vincere perdendo.

Queste convinzioni sono errate. Fin dal momento in cui a Kushner è stato assegnato l’incarico sul Medio Oriente, ha giocato una partita subdola, e quindi molto efficace, a favore sia del movimento dei coloni in Cisgiordania che dell’amico di famiglia Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano.

Kushner, la cui fondazione di famiglia ha finanziato generosamente i progetti dei coloni, ha costruito un’attenta strategia atta a vincere perdendo.

L’ “accordo” non è mai stato pensato perché funzionasse.

Piuttosto, il suo modus operandi consiste nel costringere i palestinesi in un angolo da cui non c’è via di fuga e in cui l’unica risposta all’accordo di pace è “no”.

Kushner ha imparato questo trucco nel periodo in cui pare abbia acquistato proprietà con affitto bloccato, scacciando gli inquilini, ristrutturando gli appartamenti e poi rimettendoli sul mercato come proprietà di lusso.

É un gioco al massacro: una combinazione di cancellazione di servizi e di offerta di qualche compensazione finanziaria, ben impacchettata all’interno di minacce velate e non tanto velate, sulla linea di “accettate questo o le cose andranno solo peggio”. Kushner ha accuratamente applicato all’ “accordo del secolo” in Medio Oriente le lezioni apprese a Manhattan.

Ha colto la sua opportunità quando Trump ha sorpreso il mondo vincendo le presidenziali del novembre 2016. Nel dicembre di quell’anno Trump ha annunciato che l’avvocato fallimentarista David Friedman veniva nominato ambasciatore USA in Israele.

Nel marzo 2017 Friedman, che ha alle spalle una lunga storia di sostegno all’illegale movimento dei coloni in Cisgiordania, è stato debitamente confermato dal Senato. A Kushner è stato affidato il portafoglio del Medio Oriente, mentre un altro avvocato di Trump e strenuo difensore dei coloni, Jason Greenblatt, lo ha affiancato in qualità di inviato.

Uccidere la soluzione di due Stati.

Kushner ha convinto il presidente che il suo primo viaggio oltreoceano avrebbe dovuto essere in Arabia Saudita nel maggio 2017. In quel momento Kushner aveva già instaurato uno stretto rapporto di lavoro con il vice principe ereditario Mohammed Bin Salman, che in seguito è diventato il principe ereditario. Un elemento centrale della strategia di Kushner è stato allontanare i sauditi dall’iniziativa araba di pace proposta nel 2002 dall’ex re saudita Abdullah, che all’epoca era principe ereditario.

Il piano di Abdullah includeva il riconoscimento di un credibile Stato palestinese a fianco di Israele. Quando l’ Arabia Saudita ed altri Stati del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, si sono avvicinati ad Israele, Kushner sembrava, almeno in privato, essere riuscito a distruggere la soluzione di due Stati di Abdullah.

Nel dicembre 2017 il presidente ha annunciato che l’ambasciata USA sarebbe stata spostata a Gerusalemme. Gli esperti erano sconcertati e Trump è stato attaccato perché concedeva qualcosa senza ottenere niente in cambio. Ma Kushner non mirava a nulla: voleva semplicemente fare una dichiarazione forte di fronte ai palestinesi. Lo ha fatto e gli USA l’hanno spuntata: il 14 maggio 2018, nel settantesimo anniversario della fondazione di Israele, l’ambasciata è stata aperta a Gerusalemme, mentre a circa 90 chilometri di distanza i palestinesi venivano abbattuti a fucilate sul confine di Gaza.

In quel momento il presidente ha annunciato che gli USA stavano abbandonando la soluzione dei due Stati. Mettendo sale sulla ferita, Washington ha tagliato più della metà del previsto finanziamento (65 milioni di dollari dei 125 milioni di aiuti complessivi) all’UNRWA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi che assiste oltre cinque milioni di rifugiati registrati. Lentamente ed inesorabilmente stava avvenendo un giro di vite.

Cadono colpi di maglio.

Ad agosto 2018 gli USA hanno tagliato più di 200 milioni di dollari di aiuti economici, e poi hanno proseguito cancellando il resto dei finanziamenti all’UNRWA. A settembre è stato chiuso uno dei pochi programmi di aiuti rimasti, 25 milioni di dollari per i palestinesi negli ospedali di Gerusalemme est. Poi è stato chiuso l’ufficio di Washington dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, il contatto diplomatico formale con i palestinesi.

Mentre i colpi di maglio continuavano a cadere, i governi occidentali non hanno detto niente. Kushner ha capito, al di là di ogni dubbio, che stava vincendo.

La mossa successiva sono state le Alture del Golan, annesse da Israele con il pieno appoggio ed approvazione dell’amministrazione Trump a marzo. La vittoria di Netanyahu nelle elezioni israeliane di aprile doveva essere la ciliegina sulla torta per poi procedere con l’annessione delle colonie della Cisgiordania nel grande Israele.

Purtroppo per Netanyahu e Kushner, è intervenuto il destino, sotto forma di Avigdor Lieberman. L’ex Ministro della Difesa e acerrimo rivale di Netanyahu ha rifiutato di entrare nella coalizione, mandando tutto all’aria e costringendo a nuove elezioni a settembre.

Trump non è stato contento. Il suo piano, che guardava al 2020 e alla speranza della rielezione, era di lasciare la sua impronta avvantaggiando Israele e mettendo i palestinesi al loro posto. “Israele è proprio messo male con le elezioni”, ha detto. “Bibi (Netanyahu) è stato eletto, adesso all’improvviso dovranno passare di nuovo per un processo elettorale, fino a settembre? É ridicolo. Perciò noi non siamo contenti di questo.”

Incrollabile fiducia.

Intanto gli Stati arabi del Golfo hanno frenato l’entusiasmo per l’accordo di Kushner. Il padre di Bin Salman, il re Salman, ha criticato il sostegno di suo figlio a Israele, riabilitando pubblicamente la soluzione di due Stati. L’accordo che non doveva essere un accordo si sta allontanando e Kushner sta per vedere il suo lavoro completamente cancellato.

Kushner non ha una buona faccia da poker. La sua arroganza e la certezza di essere vincente trapelano in ogni cosa dica e faccia. Ma i suoi critici sbagliano a sottovalutarlo.

Kushner finora ha giocato una significativa partita. La sua fiducia di vincere a favore del movimento dei coloni e di un Israele più grande, di Netanyahu o di chiunque gli succederà, e di suo suocero il presidente, resta assolutamente incrollabile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Bill Law.

Bill Law è un giornalista vincitore del premio Sony. É entrato alla BBC nel 1995 e dal 2002 è stato corrispondente dal Medio Oriente. Si è recato molte volte in Arabia Saudita. Nel 2003 è stato uno dei primi giornalisti a informare sull’inizio della rivolta che ha travolto l’Iraq. Il suo documentario ‘Il Golfo: armato e pericoloso’, che è stato trasmesso alla fine del 2010, ha anticipato le rivoluzioni che sono diventate la Primavera Araba. In seguito ha lavorato sulle rivolte in Egitto, Libia e Bahrein. É stato anche corrispondente dall’Afghanistan e dal Pakistan. Prima di lasciare la BBC nel 2014, Law è stato il suo analista esperto del Golfo. Adesso lavora come giornalista indipendente che si occupa del Golfo.

Traduzione per Zeitun.info di Cristiana Cavagna