L’ANP accoglie con entusiasmo l’approvazione della risoluzione UNESCO

346785CBetlemme-Ma’an. Il voto dell’UNESCO che ha visto l’adozione di una bozza di risoluzione molto critica sule politiche e le pretese israeliane sul complesso di Al-Aqsa (denominata dagli ebrei Monte del Tempio), è stato calorosamente accolto da parte del ministero degli Affari Esteri dell’Autorità palestinese, ANP, con una dichiarazione rilasciata lo scorso giovedì.

La risoluzione ha anche criticato la condotta israeliana nell’area della Moschea di Ibrahim, a Hebron, nonché della la Moschea Bilal ibn Rabah/Tomba di Rachele, a Betlemme, e ha fortemente condannato le campagne militari israeliane nella Striscia di Gaza assediata, sollecitando anche la fine dell’ormai quasi decennale blocco israeliano della costa palestinese.

La risoluzione è stata approvata, secondo il quotidiano israeliano Haaretz, con 24 voti a favore, sei contro, e 26 astenuti.

Anche se la risoluzione non ha completamente negato i legami culturali ebraici con la zona dove è sita la moschea di Al-Aqsa/Monte del Tempio, è stata molto critica verso le  politiche israeliane in tutta l’area e verso i tentativi di Israele volti a modificare lo status quo che vieta culto ebraico nel sito, e gli attribuisce solo il suo nome islamico “al-Aqsa/Haram al-Sharif” e non quello ebraico di “Monte del Tempio”.

La risoluzione ha anche affermato che l’Unesco riconosce l’importanza della Città Vecchia di Gerusalemme per le “tre religioni monoteiste” – Islam, l’ebraismo e il cristianesimo – e ha sottolineato l’importanza dei luoghi santi a Hebron e Betlemme per tutti e tre le religioni.

“L’unico modo per essere considerato uno Stato normale è iniziare ad agire come tale”

La dichiarazione dell’ANP afferma che la risoluzione dell’UNESCO riflette il costante impegno della maggioranza degli Stati membri nell’affrontare la questione delll’impunità israeliana e nel sostenere i principi sui quali è stata fondata l’UNESCO”.

Il comunicato  ha altresì espresso la delusione dell’ANP verso diversi paesi – soprattutto europei – che hanno mutato la loro intenzione di voto, inizialmente a favore della risoluzione, dopo aver compreso che la stessa condannava chiaramente le angherie israeliane.

“Piuttosto che spendere milioni di dollari per regolarizzare la sua colonizzazione illegale e distorcere la realtà, Israele, la potenza occupante, deve capire che l’unico modo per essere trattata come uno Stato normale è iniziare ad agire come tale, mettendo fine alla sua occupazione della Palestina e rivalutando le sue azioni irresponsabili e illegali nella terra occupata dello Stato di Palestina, in particolare a Gerusalemme Est”, ha affermato la dichiarazione dell’ANP.

La dichiarazione ha infine aggiunto che l’azione palestinese di sensibilizzazione presso le Nazioni Unite e a livello internazionale non sarà “scoraggiata da distorsioni e campagne diffamatorie”, e continuerà a perorare la propria causa, per spingere la comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità e ad agire sulle violazioni del diritto internazionale di Israele “che continuano, impunite, da mezzo secolo”.

Il Portavoce della Presidenza palestinese Nabil Abu Rudeineh ha rilasciato, proprio giovedì,  una dichiarazione in risposta alla decisione dell’UNESCO, dicendo che ci si augura che la risoluzione sia un monito per gli Stati Uniti a “rivedere le sue politiche sbagliate e volte ad  incoraggiare la continua occupazione delle terre palestinesi”, mentre questi dovrebbero invece mostrare ad  Israele l’importanza di porre fine alla sua occupazione della Palestina, compresa Gerusalemme  Est, e di porre fine alle sue politiche che “contribuiscono ad aumentare le tensioni”.

Da parte sua, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha criticato la decisione, definendola “delirante” e aggiungendo che “dire che Israele non ha alcuna connessione con il Monte del Tempio e il Muro Occidentale è come dire che la Cina non ha alcun collegamento con la grande muraglia cinese e che l’Egitto non ha alcun collegamento con le piramidi…con questa decisione assurda, l’UNESCO ha perso quel poco di credibilità che ancora gli restava. Io credo che la verità storica sia più forte, e la verità vincerà”, ha aggiunto.

Ad ogni modo, la risoluzione riguarda le politiche di Israele in tutta la zona attigua  al luogo sacro che, sia secondo l’UNESCO che secondo molte associazioni,  hanno causato l’aumento delle tensioni tra i fedeli palestinesi e i visitatori ebrei. Tali comportamenti avrebbero anche scatenato i timori di palestinesi, che paventano la negazione del loro diritto di accesso di Al-Aqsa da parte di Israele.

Netanyahu non ha rilasciato commenti in risposta a nessuna delle critiche presentate dalla risoluzione Unesco. Venerdì, Israele ha sospeso ogni forma di cooperazione con l’UNESCO in risposta alla risoluzione.

Gli scavi israeliani all’interno del centro storico

La risoluzione ha anche criticato gli scavi continui di Israele attorno al luogo sacro, affermando che l’UNESCO “biasima fermamente la mancata cessazione dell’opera di scavo a Gerusalemme Est, in particolare modo all’interno del centro storico ed attorno allo stesso da parte di Israele, potenza occupante”.

Alcune associazioni sostengono che tali scavi cerchino, in molti casi, di promuovere il patrimonio ebraico e l’attaccamento alla città occupata, tramite un negazionismo ad hoc della storia palestinese al fine di supportare eventuali rivendicazioni ebraiche, volte a sfollare ulteriormente i palestinesi da Gerusalemme Est, in particolare quelli che vivono nei quartieri intorno al centro storico.

Israele permette spesso scavi archeologici nella parte occupata di Gerusalemme Est, in particolare intorno alla moschea di Al-Aqsa, che minacciano l’integrità strutturale delle case palestinesi e dei luoghi sacri della zona. I palestinesi hanno riferito che le  loro case vengono molto spesso danneggiate a causa di nuove costruzioni israeliane. In passato, i tunnel sono parzialmente crollati causando cedimenti che hanno  minacciato case palestinesi, strade, e una moschea locale.

L’organizzazione di destra Elad è dietro gran parte degli scavi nella parte occupata di Gerusalemme Est. Essa è uno dei principali finanziatori degli scavi archeologici intorno al centro storico, e gestisce anche il Parco Nazionale “Città di David”, che è stato istituito per promuovere una legittimazione storica delle pretese ebraiche su Gerusalemme , a danno della storia palestinese. Il parco è l’unico sito turistico in Israele gestito da un’organizzazione privata, secondo l’Istituto di Ricerca Applicata – Gerusalemme (IRAG)

L’associazione Elad è un forte vettore del movimento dei coloni israeliani a Gerusalemme Est, avendo guidato l’acquisizione di 25 edifici nel quartiere di Silwan lo scorso anno. Tale incursione di coloni israeliani è stata la più massiccia degli ultimi 20 anni secondo l’IRAG.

Raid dei coloni israeliani contro Al-Aqsa

La risoluzione ha condannato fermamente l’iniziativa dei coloni israeliani, i quali sono entrati ad Al-Aqsa a pregare in un tentativo di sfidare gli storici accordi internazionali che vietano il culto ebraico nel sito. Le incursioni israeliane causano sovente scontri con i fedeli palestinesi che temono da tempo che il governo israeliano tenti di modificare lo status quo al sito e limitare ulteriormente l’accesso dei palestinesi.

Dopo l’annessione illegale di Gerusalemme est nel 1967 , Israele ha concordato con la fondazione islamica che controlla il complesso di Al-Aqsa di non permettere ai non musulmani la preghiera in quella zona. Il Regno Hashemita di Giordania, titolare della fondazione statale (Waqf) che gestisce Al-Aqsa, ha la custodia dei luoghi santi islamici a Gerusalemme , a seguito di un accordo siglato con Israele nel 1994.

Le forze di sicurezza israeliane scortano regolarmente i visitatori ebrei al sito, ma ciò conduce tuttavia a tensioni con i fedeli palestinesi ed i residenti della zona.

Le tensioni in tutto il complesso di Al-Aqsa sono state un fattore importante nei disordini che hanno avuto inizio lo scorso ottobre, dopo che ebrei ortodossi hanno fatto frequenti visite al sito nel corso di alcune festività ebraiche.

Nella risoluzione, l’UNESCO  ha “fermamente deplorato” l’abituale e continua “invasione di Al-Aqsa da parte di estremisti israeliani di destra e formazioni paramilitari”, ed ha esortato Israele, in quanto potenza occupante a “prendere le misure necessarie per prevenire queste provocazioni che violano la santità e l’integrità della moschea di al-Aqsa”.

La risoluzione ha anche denunciato “inesorabilmente” il modo in cui Israele tratta i fedeli musulmani nel sito, assieme alla detenzione ed al ferimento di dipendenti del Waqf giordano. Essa ha altresì deplorato le incursioni dei dipendenti israeliani nella sito sacro, in particolare quelle dei funzionari del Ministero delle Antichità di Israele, che spesso vietano agli impiegati del Waqf di accedere al sito, ed impediscono che le necessarie ristrutturazioni possano avvenire nella moschea.

La Striscia di Gaza sotto assedio

Pesanti critiche sono state mosse ad Israele, nella risoluzione, per le sue mortali campagne militari contro il piccolo territorio palestinese.

L’UNESCO ha detto che “deplora l’uccisione e il ferimento di migliaia di civili palestinesi, compresi i bambini, così come le vessazioni compiute nei settori di competenza dell’UNESCO, ossia gli attacchi contro scuole e altre strutture educative e culturali. Tra questi, quelli condotti a danno dell’ UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente)”.

Forti critiche sono state anche mosse all’ormai decennale blocco israeliano delle coste della Palestina, che “inficia pesantemente il libero movimento del personale delle organizzazioni umanitarie e di soccorso”. Oggetto di forte biasimo è stato anche il numero enorme di vittime tra i bambini palestinesi, gli attacchi contro scuole e altre strutture educative e culturali, come anche il difficile accesso all’istruzione stessa da parte dei palestinesi”.L’UNESCO ha chiesto ad Israele un “immediato alleggerimento di questo blocco”.

Secondo le Nazioni Unite, l’offensiva israeliana denominata “Operazione margine di protezione”, durata 51 giorni nel 2014, , ha provocato l’uccisione di 1.462 civili palestinesi, un terzo dei quali erano bambini. La Striscia di Gaza patisce il blocco militare di Israele dal 2007, quando Hamas è diventato de facto il partito di governo in territorio palestinese.

I residenti di Gaza soffrono di alti tassi di disoccupazione e di povertà e le conseguenze di tre campagne di guerra devastanti, mosse da Israele a partire dal 2008.

I residenti continuano a subire ogni giorno le conseguenze dell’offensiva israeliana del 2014, a causa dei lentissimi ritmi della ricostruzione: ad oggi, ci sono ancora  75.000  sfollati palestinesi come conseguenza di tale campagna militare.

Le Nazioni Unite hanno avvertito che il territorio palestinese assediato potrebbe diventare “inabitabile” entro il 2020, dato che i suoi 1,8 milioni di abitanti rimangono in estrema povertà a causa del blocco israeliano che ha paralizzato la loro economia.

Traduzione di Maddalena Iaria