‘L’Anp e la beffa delle nuove elezioni’

InfoPal. Gli eventi regionali, Tunisia prima ed Egitto dopo, hanno prodotto in molti l’idea che un accordo tra israeliani e palestinesi fosse tanto più urgente da raggiungere adesso.

Lo scorso 7 febbraio, i delegati del Quartetto per la pace in Medio Oriente, alla presenza della responsabile agli Esteri dell’Unione europea (Ue), Catherine Ashton, del Segretario di Stato Usa, Hilary Clinton, e dell’inviato George Mitchell, hanno concordato su tale urgenza.

I mediatori internazionali hanno stabilito che settembre 2011 sarà la data di scadenza entro la quale le parti dovranno riavviare il ciclo di incontri.

Soddisfatto dell’intervento, nel quale gli “inviati per la pace” si sono astenuti dal fare esplicite condanne ad Israele, che indisturbato corre nella colonizzazione fisica della Palestina (insediamenti illegali, ndr), lo Stato ebraico ha espresso il proprio apprezzamento per gli sforzi esterni.

Da parte sua, il presidente Shimon Peres si è raccomandato con il premier Benjamin Netanyahu: “Accelerare un compromesso, e non importa a quale prezzo”.

Il consiglio ha  riguardato conversazioni private, ma Peres lo ha dato ad intendere pure in pubblico, quando, pochi giorni fa, alla conferenza sulla “sicurezza nazionale”, svoltasi ad Herziliyah, ha affermato: “Israele deve raggiungere un compromesso ed entrambe le parti devono essere forti al punto da raggirare la disparità di posizioni ed essere pragmatici”.

Quello di Peres sembra essere un consiglio dettato dall’urgenza e, soprattutto, pretende di essere indolore.

“Un accordo bilaterale si baserà comunque sulla soluzione dei due Stati, ma quello palestinese è da intendersi ‘smilitarizzato'”, ha aggiunto in quell’occasione Peres.

Nel frattempo, sono partite intense comunicazioni tra il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Mahmoud ‘Abbas, e il premier israeliano – lo riferiscono fonti d’informazione dello Stato ebraico. Anche questa volta, gli Usa monitorano le relazioni tra le parti, spingono per affrettare il processo e ora Israele può di nuovo sentirsi protetto, dopo giorni in cui pervadevano sentimenti di isolamento nel mezzo del mare della rivolta egiziana. Con la caduta di Mubarak, un ponte di collegamento, decisivo nei negoziati con i palestinesi, viene meno.

Una ripresa dei negoziati è il passo da promuovere in questo momento storico, secondo Nabil ‘Amr, ex ambasciatore palestinese in Egitto, il quale intravede “uno spiraglio con Israele”.

9 luglio 2011. L’Anp indice le elezioni dei consigli locali – prima di affrontare e raggiungere la riconciliazione nazionale palestinese. Poste le premesse con l’intervento internazionale, Israele quindi si dice pronto a incontrare nuovamente i negoziatori palestinesi. Questi ultimi sollevano la questione delle elezioni, in quanto all’esterno sarebbero la manifestazione che un processo democratico, in qualche modo, è in corso sul campo.

Tuttavia, le elezioni indette dall’Anp sarebbero illegali e incostituzionali.

Il presidente dell’Anp, Mahmoud ‘Abbas, infatti, non gode di legittimità da oltre due anni e, ricorda il ministro della Giustizia del governo della Striscia di Gaza: “La proposta di indire elezioni è anche una contravvenzione alla legge n. 5 – nel suo emendamento del 2005 – sulle elezioni degli enti locali”.

Inizialmente indette per entrambe le aree palestinesi, Cisgiordania e Striscia di Gaza, l’Anp sembra disposta ad ignorare il territorio assediato nel caso in cui il Movimento di resistenza islamica al governo, Hamas, dovesse rifiutarsi di accogliere la proposta.

Così, per lo meno, dichiara Ghassan al-Khatib, portavoce del governo di Ramallah: “In caso di rifiuto da parte di Hamas, le elezioni si svolgeranno soltanto in Cisgiordania”.

La commissione elettorale intanto, avrebbe già ricevuto precise direttive per allestire le nuove votazioni.

La disputa sulle elezioni è profonda, fa emergere divisioni politiche interne, rischia poi di consacrare ulteriormente quella territoriale tra Cisgiordania e Striscia di Gaza e smaschera i tentativi della dirigenza dell’Anp di riacquistare legittimità dopo lo smacco seguito alle rivelazioni sui negoziati dell’ultimo decennio con “The Palestine Papers”.

L’insistenza del gruppo di Ramallah potrebbe sembrare anche la corsa per il ripristino di un quadro “legale” da proporre alla popolazione palestinese della Cisgiordania, scoraggiata dall’ondata di repressione di cui è quotidianamente vittima.

Dopo le accese accuse lanciate dai sostenitori dei principali gruppi politici palestinesi sul web, qualcuno cerca di rincarare la dose.

“E’ la gente che ha chiesto di andare alle urne per porre fine ad Hamas tramite un golpe democratico”, afferma qualcuno da ambienti di Fatah.

Con affermazioni di questo tipo, si cerca insomma di creare consenso intorno alle elezioni: “Il popolo deve riappropriarsi del potere decisionale sui propri diritti”.

Hanan Ashrawi, presidente del Dipartimento per l’informazione e la cultura dell’Organizzazione di Liberazione della Palestina (Olp) afferma: “L’esercizio della democrazia avviene sulla base della ‘Costituzione’ palestinese e tutti hanno il diritto di scegliere i propri rappresentanti locali”.

Il clima, secondo Ashrawi, è propizio e personalmente esorta Hamas a non boicottare le elezioni, “dalle quali cogliere l’opportunità per una riconciliazione nazionale”. Tra gli effetti derivanti dalle elezioni, secondo Ashrawi, non solo unità nazionale, ma anche realizzazione del principio di rotazione del potere.

Hamas. “Non solo queste elezioni sono incostituzionali, ma vengono proposte da un’autorità che non gode della fiducia del Consiglio legislativo (Clp). Queste elezioni sono una minaccia all’integrità territoriale, rischio che si riflette su quella nazionale, alle quali invece aspiriamo nel nostro Stato indipendente”.

“Richiedere elezioni e minacciare di farlo separatamente in Cisgiordania rispecchia la volontà di mascherare e distogliere l’attenzione dagli scandali emersi sulle concessioni fatte dai negoziatori di Ramallah su Gerusalemme e sul diritto al ritorno”.

Per Hamas, dunque, “nessun riconoscimento per i risultati che scaturirebbero da elezioni condotte nella divisione”.

“E’ un diktat che vuole ‘imporsi sull’imperativo’ del dialogo in base al quale si dovrebbe, invece, imparare dall’esempio del popolo egiziano e pretendere elezioni su tutte le aree palestinesi, come all’estero, per Municipi, Clp, presidenza e Consiglio nazionale. Rimettere al giudizio della gente insomma tutti gli organi esecutivi e legislativi palestinesi.

“Al contrario qui si sta svolgendo un servizio a beneficio dell’occupante, imponendo elezioni in queste circostanze, e si stanno garantendo gli interessi di un gruppo preciso. Queste elezioni fanno parte di una politica della persecuzione e il popolo palestinese non dovrà sentirsi rappresentato e dunque vincolato”.

Commenti ed opinioni non vengono rilasciati solo per mezzo stampa. Da Gaza, la dirigenza di Hamas ha provveduto a rivolgersi direttamente ad ‘Abbas, chiedendogli di “annullare queste elezioni perché sono una forma di repressione del diritto alla resistenza e di ‘valutare le ripercussioni che produrrebbero nei confronti del Movimento politico che rappresentate'”.

Per la dirigenza politica di Hamas a Damasco, ‘Ezzat ar-Rishaq, afferma: “L’Anp sta tentando di occupare lo spazio pubblico, di volgere l’attenzione del popolo palestinese su questioni procedurali che gli facciano dimenticare l’oltraggio delle concessioni negoziali con l’occupante”.

“E’ dimostrazione di mancanza di serietà e responsabilità e nessuno potrà considerare vincolanti queste elezioni. Abbiamo bisogno di un consenso nazionale sulla questione dell’unità”.

Altrettanto incisivi i commenti della resistenza palestinese con il Jihad islamico. Il gruppo respinge categoricamente l’idea delle elezioni, e solleva l’illiceità della proposta, “non vincolante per nessun palestinese. Estranee alla logica di un consenso nazionale e anti-democratiche. Come possono giungere proposte di questa natura da realtà che dimostrano di non aver raggiunto alcuna maturità democratica?”

Dello stesso parere è “Ahrar“, movimento palestinese, che considera “assurda l’dea di tenere elezioni in Palestina all’attuale stato dei fatti dove domina l’assenza di consenso popolare e si è sottoposti a livelli inauditi di forme di repressione fisica e legale.

“La determinazione dell’Anp a portare a termine queste elezioni, anche a costo di tenerne di distinte in Cisgiordania, dimostra la vulnerabilità dell’arena politica palestinese e le divisioni interne. Siamo d’accordo con chi afferma che un gruppo politico sta cercando di rimandare le conseguenze giudiziarie derivanti da ‘The Palestine Papers'”.

Il Fronte di lotta popolare palestinese “Jabhah an-Nidal ash-Sha’bi”, rifiuta la visione monopolistica di rappresentanza popolare che l’Anp potrebbe voler raggiungere con proposte di questo tipo.

“La richiesta di indire elezioni è fin troppo contestuale agli scandali emersi dai documenti pubblicizzati da Al-Jazeera, e in aggiunta, arriva in un momento di riflessione internazionale nel quale diversi attori stanno cercando – congiuntamente – di sostenere un rimpasto politico regionale”.

Ancora il ministro della Giustizia di Gaza: “Illegittime e incostituzionali le elezioni di questa natura. Facendosi promotore di ‘elezioni di facciata’ (in quanto i consigli comunali non saranno liberi di esercitare i propri doveri), il governo di Fayyad acuirà le divisioni politiche palestinesi.

“Tra le altre cose, oltre a tutti gli scandali, come possono, i palestinesi, riporre fiducia in un’entità politico-istituzionale che ha proceduto puntualmente all’esclusione dei consiglieri comunali che erano stati prescelti dal popolo con le passate elezioni democratiche? Quale futuro ci sarà per la libertà palestinese se non si è stati in grado di avere un rapporto costruttivo con i propri avversari politici e i loro rappresentanti, che sono stati invece isolati a priori da qualunque processo politico locale, epurati e incarcerati?”

Elisa Gennaro

 

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