L’Arabia Saudita avverte che su Siria e Iran si allontanerà dagli Stati Uniti

Doha/Washington – Reuters. I membri della famiglia regnante dell’Arabia Saudita, contrariati dalla politica di Barack Obama su Iran e Siria, minacciano una rottura con gli Stati Uniti che potrebbe portare l’alleanza tra Washington e la monarchia al suo livello più basso da anni.

Martedì [22 ottobre 2013], una fonte vicina alla politica saudita ha riferito che il capo dell’intelligence saudita [Bandar bin Sultan] promette che la monarchia attuerà un “cambiamento importante” nelle relazioni con gli Stati Uniti, sia per protestare contro la percepita inerzia americana sulla guerra civile siriana, sia contro le recenti aperture statunitensi sull’Iran. Il principe Bandar bin Sultan, sostiene la fonte, ha detto ai diplomatici europei che gli Stati Uniti non sono riusciti ad agire con efficacia né contro il presidente siriano Bashar al-Assad né in merito al conflitto israelo-palestinese, si stanno avvicinando sempre di più all’Iran e hanno mancato di supportare il sostegno saudita al Bahrain, quando nel 2011 ha represso una rivolta anti-governativa. “L’allontanamento dagli Stati Uniti è sostanziale”, ha riferito la fonte. “L’Arabia Saudita non vuole trovarsi mai più in una situazione di dipendenza”.

Non è stato subito chiaro se le affermazioni riportate del principe Bandar, che è stato ambasciatore saudita a Washington per 22 anni, abbiano il pieno sostegno di re Abdullah.

La rottura crescente tra Stati Uniti e Arabia Saudita è stata mostrata anche a Washington, dove un altro membro anziano della famiglia reale saudita ha criticato la politica di Obama in Medio Oriente, accusandolo di “tergiversare” sulla Siria e sulla pace israelo-palestinese. In una dichiarazione pubblica insolitamente secca, il principe Turki al-Faisal ha definito la politica di Obama in Siria “deplorevole” e ha deriso un eventuale patto tra gli Stati Uniti e i russi per l’eliminazione delle armi chimiche di Assad. Il principe ha suggerito che lasciare che Obama eviti l’azione militare in Siria sia un espediente. “L’attuale farsa del controllo internazionale sull’arsenale chimico di Bashar sarebbe divertente se non fosse così palesemente infida. E progettata non solo per dare al signor Obama un’opportunità di ritrarsi (dall’attacco militare), ma anche per aiutare Assad a macellare il suo popolo”, ha affermato il principe Turki, membro della famiglia reale ed ex responsabile dell’intelligence saudita.

Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sono alleati dai tempi della dichiarazione della monarchia nel 1932, concedendo a Riad un protettore militare potente e a Washington forniture petrolifere sicure. Le critiche saudite sono arrivate pochi giorni dopo il 40esimo anniversario dell’embargo petrolifero dell’ottobre 1973, imposto per punire l’Occidente per aver supportato Israele nella guerra del Kippur. Fu uno dei punti più bassi nei legami tra Stati Uniti e Arabia Saudita, scossi gravemente anche dall’attacco dell’11 settembre 2001: la maggior parte degli attentatori avevano nazionalità saudita.

La scorsa settimana l’Arabia Saudita ha dato un chiaro segnale del suo disappunto sulla politica estera di Obama, quando, in una dimostrazione di rabbia per il fallimento della comunità internazionale nel porre fine alla guerra in Siria e nell’agire su altre questioni mediorientali,  ha rifiutato l’agognato seggio biennale al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il principe Turki ha lasciato intendere che l’Arabia Saudita non retrocederà sulla decisione, che ha affermato essere il risultato del fallimento del Consiglio di Sicurezza nel fermare Assad e nell’attuare le proprie stesse decisioni sul conflitto israelo-palestinese.  “Non c’è niente di capriccioso nella decisione di rinunciare all’appartenenza al Consiglio di Sicurezza. È basata sull’esperienza dell’inefficacia di quell’ente”, ha detto in un discorso tenuto a Washington al Consiglio Nazionale sulle relazioni USA-Arabia Saudita.

 

“Amici e alleati”

A Londra, il Segretario di Stato americano John Kerry ha detto di aver discusso delle preoccupazioni di Riad quando lunedì [22 ottobre 2013] a Parigi ha incontrato il Ministro degli Esteri Saud al-Faisal. Kerry ha raccontato di aver detto al ministro Saudita che, con l’Iran, nessun accordo è meglio di un cattivo accordo. “Ho grande fiducia che gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita continueranno ad essere gli importanti e prossimi amici e alleati che sono sempre stati”, ha detto Kerry ai reporter.

La portavoce del Dipartimento di Stato Marie Harf ha detto che Riad non ha comunicato al Dipartimento di Stato le sue intenzioni di ridurre la propria cooperazione con gli Stati Uniti. Ha detto che la questione non è stata nemmeno sollevata nell’incontro tra Kerry e il ministro saudita. “Non è a mia conoscenza che dai sauditi sia stato mandato un messaggio al Dipartimento di Stato”, ha detto Harf in uno degli incontri informativi quotidiani. “Abbiamo parlato di alcune delle sfide che vogliamo affrontare insieme”, ha sostenuto.

Il principe Bandar viene visto come un falco della politica estera, specialmente dall’Iran. La rivalità tra il regno musulmano sunnita con l’Iran sciita, alleato della Siria, ha amplificato le tensioni settarie in tutto il Medio Oriente. Figlio del precedente ministro della difesa, il principe ereditario Sultan, e protetto del defunto re Fahd, nel 2005 il principe Bandar è uscito dalle grazie di re Abdullah dopo essersi trovato in disaccordo sulla politica estera. Ma  dicono i diplomatici del Golfo, lo scorso anno è stato tolto dall’isolamento con il mandato di far cadere Assad. Nell’ultimo anno ha guidato gli sforzi sauditi nel portare armi e altri aiuti ai ribelli siriani.

“Il principe Bandar ha detto ai diplomatici di avere in programma la limitazione dei rapporti con gli Stati Uniti”, ha detto la fonte vicina alla politica saudita. “Questo accade dopo che gli Stati Uniti hanno fallito nell’intraprendere qualsiasi azione efficace in merito a Siria e Palestina. Da tempo le relazioni con gli Stati Uniti si sono deteriorate, perché i sauditi sentono che gli Stati Uniti stanno diventando sempre più vicini all’Iran, inoltre gli americani non li hanno supportati durante le rivolte del Bahrain”, ha riferito. La fonte ha rifiutato di fornire maggiori dettagli sulle conversazioni che Bandar ha avuto luogo negli scorsi giorni con i diplomatici. Tuttavia ha lasciato intendere che il cambiamento in programma sui legami tra la superpotenza energetica e gli Stati Uniti avrebbero conseguenze ad ampio raggio, specie sugli aquisti di armi e sulle vendite di petrolio.

L’Arabia Saudita, l’esportatore di petrolio più grande al mondo, trae molti dei suoi profitti dalle attività statunitensi. Si pensa che la maggior parte delle disponibilità della rete della banca centrale saudita, 690 miliardi di dollari, siano denominate in dollari, molti dei quali in buoni del tesoro statunitensi. “Tutte le opzioni sono sul tavolo, e di sicuro ci sarà un effetto”, ha affermato la fonte saudita. Ha detto che non ci saranno ulteriori coordinamenti con gli Stati Uniti sulla guerra in Siria, dove i sauditi hanno armato e finanziato i gruppi ribelli in lotta contro Assad.

Il regno ha informato gli Stati Uniti delle proprie azioni in Siria, e i diplomatici dicono di aver rispettato le richieste Usa di non rifornire i gruppi di armamenti tecnologicamente avanzati che l’Occidente teme possano cadere nelle mani dei drappelli allineati con al-Qaeda.

La rabbia saudita è traboccata dopo che Washington si è astenuta dall’attacco militare in risposta all’attacco di agosto a Damasco con il gas velenoso, quando Assad ha acconsentito a consegnare il proprio arsenale di armi chimiche.

 

“Un grande errore”

Il deputato Chris Van Hollen, membro della dirigenza democratica della Camera dei Rappresentanti americana, ha detto martedì al Summit di Washington di Reuters che le mosse saudite erano intenzionate a far pressione su Obama affinchè agisse in Siria. “Conosciamo il loro gioco. Stanno tentando di mandare il segnale che dovremmo coinvolgerci militarmente in Siria. E io penso che sarebbe un grave errore immischiarsi nella guerra civile siriana”, ha detto Van Hallen. “I sauditi dovrebbero iniziare con il fermare i loro finanziamenti ai gruppi collegati ad al-Qaeda in Siria. Oltre al fatto che è un paese che non permette alle donne di guidare”, ha detto Van Hallen, che è vicino ad Omama nelle questioni interne al Congresso ma è poco influente sulla politica estera.

L’Arabia Saudita è preoccupata dai segni di una timida riconciliazione tra Washington e Teheran, cosa che Riad teme possa portare ad un “grande patto” sul programma nucleare iraniano, che lascerebbe Riad in svantaggio. Il principe Turki ha espresso i propri dubbi che Obama possa avere successo in ciò che ha chiamato “approccio a braccia aperte” verso l’Iran, che egli accusa di immischiarsi in Siria, Libano, Yemen, Iraq e Bahrain. “Noi sauditi osserviamo gli sforzi del presidente Obama a questo proposito. La strada per il futuro è ardua”, ha detto. “Già in Iran contestano il fatto che (il presidente iraniano Hassan) Rohani riesca a indirizzare l’Iran verso politiche ragionevoli. Le forze dell’oscurità sono ben radicate a Qom e Teheran”.

Sul conflitto siriano, che prosegue da 31 mesi, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu rimane paralizzato, con i membri permanenti Russia e Cina che bloccano ripetutamente le misure di condanna ad Assad.

L’Arabia Saudita sostiene i nemici ribelli di Assad, la maggior parte dei quali sono sunniti. Il leader siriano, la cui setta alawita deriva dall’Islam sciita, ha il supporto dell’Iran e del movimento armato sciita libanese Hezbollah. Il leader siriano denuncia gli insorti come gruppi connessi ad al-Qaeda supportati dagli stati gudiati da sunniti.

In Bahrain, sede della Quinta Flotta USA, una rabbiosa rivolta pro-democrazia della maggioranza sciita ha sollecitato appelli da qualcuno a Washington, affinchè la base delle navi statunitensi venga spostata altrove.

I molti interessi economici statunitensi in Arabia Saudita includono i contratti governativi nella difesa, i settori della sicurezza, della sanità, dell’istruzione, dell’IT e dell’edilizia.

Traduzione di Elisa Proserpio