‘Lasciate vivere i nostri bambini’.

Care tutte e tutti,

 

Vi invio un pezzo scritto da Nurit Peled El Hanan, Premio Sakharov del Parlamento Europeo. Lei vorrebbe che voi lo leggeste e lo faceste circolare. Nurit è una insegnante israeliana, madre di 4 bambini. Una dei suoi figli, Smadar, è stata uccisa da un attacco suicida compiuto da un adolescente palestinese. Nurit Peled è stata insignita del Premio Sackarov al Parlamento Europeo, insieme a Izzat Ghazzawi, per il loro impegno a favore della pace e della riconciliazione. Izzat, insegnante palestinese anche lui padre di quattro figli. Suo figlio Ahmad è stato ucciso da un soldato israeliano mentre si trovava a scuola.

Nurit scrive di Abir, una bambina palestinese di 9 anni uccisa da una pallottola sparata da un poliziotto di frontiera israeliano mentre stava uscendo da scuola ad Anata. Una scuola che il Muro taglia a metà, da una parte la scuola e dall’altra il cortile per la ricreazione. Suo padre Bassam Aramin è stato in carcere per molti anni ed è uno dei fondatori dei “Combattenti per la Pace”, una organizzazione formata da israeliani e palestinesi che rifiutano la violenza e chiedono una giusta soluzione per il conflitto israelo-palestinese e l’occupazione. E’ stato, insieme ad ex-soldati israeliani al Parlamento Europeo per una audizione.

Spero davvero che dedichiate un po’ del vostro tempo per leggere questo forte messaggio che Nurit Peled ha inviato e per dare uno sguardo alla dolce Abir nella foto che vi è in allegato.

E infine spero che saremo in grado di impegnarci di più per contribuire al raggiungimento di una soluzione giusta per l’area, e che due popoli, due stati possano trasformarsi in realtà.

 

Cordiali saluti,

 

Luisa Morgantini

Vice Presidente del Parlamento Europeo

 

Nurit Peled-Elhanan

Lasciate vivere i nostri bambini.

 

Bassam Aramin ha passato 9 anni in una prigione israeliana per essere stato un membro di Fatah nel distretto di Hebron e per aver cercato di tirare una granata ad una jeep dell’esercito israeliano che stava pattugliando l’Hebron occupata. Mercoledì mattina, un soldato israeliano ha sparato in testa a sua figlia di nove anni, Abir. Il soldato non passerà neanche un’ora in prigione. In Israele, i soldati non vengono incarcerati per aver ucciso arabi. Mai. Non importa se gli arabi sono vecchi o bambini, reali o potenziali terroristi, manifestanti pacifici o lanciatori di pietre. L’esercito non ha aperto nessuna inchiesta sulla morte di Abir Aramin.  Né la polizia né le corti hanno indagato nessuno. Non ci sarà nessuna inchiesta. Per quanto riguarda le Forze di Difesa Israeliana (IDF) lo sparo non è mai avvenuto. La versione ufficiale dell’esercito israeliano sulla sua morte, dichiara che lei sia stata colpita da un sasso lanciato da uno dei suoi compagni di classe contro “le nostre forze”.

Noi che abitiamo in Israele sappiamo che le pietre tirate da un bambino di dieci anni non fanno saltare i cervelli. Così come vediamo invece tutti i giorni le jeep israeliane circondare i bambini palestinesi mentre vanno  o tornano da scuola, salutarli con stun-bombs,  pallottole di “gomma” e gas lacrimogeni.

Una pallottola è penetrata nel cranio di Abir Aramin, mentre usciva da scuola con sua sorella. L’ho vista subito dopo all’Ospedale di Hadassah, dove dormiva calma in un immenso letto di ospedale. Il volto di Abir era bianco. I suoi grandi occhi chiusi. In quel momento, il suo cervello era già clinicamente morto, ed i dottori stavano decidendo se permettere anche al resto di lei di farlo. Ho visto chiaramente che la sua testa era stata ferita da uno sparo alle spalle. Un giovane studente che ha testimoniato il suo ferimento ha riferito ai giornalisti che la polizia israeliana di frontiera, parte dell’IDF, ha attaccato le ragazze appena sono uscite dagli esami a scuola. “Le ragazze erano spaventate e hanno iniziato a scappare. La polizia di frontiera le ha inseguite  nella direzione in cui cercavano di fuggire. Abir aveva paura e si è fermata davanti ad uno dei negozi che si trovano al bordo della strada. Io stavo vicino a lei. Il poliziotto di frontiera ha sparato attraverso un’apertura speciale che hanno sul finestrino della jeep, che si trovava molto vicino a noi. Abir si è accasciata per terra….Io ho visto che stava sanguinando dalla testa”.

Abir Aramin è morta. I dottori dell’Hadassah non comunicheranno ai genitori ed amici la causa della sua morte. Suo padre, Bassam Aramin, è uno dei fondatori dei Combattenti per la Pace. I miei figli Elik e Guy, che hanno servito l’esercito israeliano come soldati nei territori occupati, ne sono anche loro membri. Sono amici intimi di Bassam. Bassam ci ha raccontato che non potrà riposare finché l’assassino di sua figlia non lo convincerà che una bambina di nove anni, Abir, aveva minacciato la sua vita o la vita degli altri soldati presenti nella jeep. Ho paura che lui non avrà mai l’opportunità di riposare.

Abir Aramin si è unita, nel regno sotterraneo dei bambini morti, alle migliaia di altri bambini uccisi in questo paese e nei territori occupati. Lei sarà accolta dalla mia piccola bambina, Smadar. Smadar è stata uccisa nel 1997 da un attentatore suicida. Se il suo assassino fosse sopravissuto, sono certa che sarebbe stato spedito in prigione per il suo crimine, e la sua casa demolita insieme al resto della sua famiglia.

Allo stesso tempo, mi siedo con sua madre Salwa e cerco di dirle “Siamo tutti vittime dell’occupazione”. Mentre lo dico so che il suo inferno è molto più terribile del mio. L’assassino di mia figlia ha avuto la decenza di uccidere se stesso quando ha ucciso Smadar. Il soldato che ha ucciso Abir sta probabilmente bevendo birra, giocando a backgammon con i suoi amici e andando in discoteca la sera. Abir è in una tomba.

Il padre di Abir era un guerriero che ha combattuto contro l’occupazione – ufficialmente un “terrorista” anche se è una strana logica quella che definisce coloro che resistono l’occupazione e la privazione della propria gente come terroristi. Bassam Aramin, è ancora un combattente – ma come attivista per la pace. Lui sa, come so anch’io, che la sua piccola ragazza ora morta porta con sé nella tomba tutte le ragioni di questa guerra. Le sue piccole ossa non hanno potuto  sopportare il peso della vita, della morte, della vendetta e dell’oppressione con i quali ogni bambino arabo è costretto a crescere.

Bassam, come musulmano deve passare una prova – come uomo di onore non deve cercare vendetta, non deve arrendersi, non deve trascurare la lotta per la dignità e la pace nella sua terra. Quando mi ha chiesto dove ho trovato la forza per andare avanti, gli ho detto l’unica cosa alla quale potevo pensare: dai bambini che ci sono stati lasciati. La sua altra bambina, i miei altri tre figli. Dagl’altri bambini palestinesi ed israeliani che hanno il diritto di vivere senza che i più anziani li forzino ad essere occupanti o occupati. La cosiddetta civiltà, il mondo occidentale non coglie cosa sta accadendo qui. L’intero mondo illuminato rimane in disparte e non fa nulla per salvare le bambine dai loro assassini soldati. Il mondo illuminato accusa l’Islam, come una volta colpevolizzava il nazionalismo arabo, per tutte le atrocità che il mondo non-islamico sta infliggendo ai musulmani. L’occidente illuminato ha paura delle bambine con il velo in testa. E’ terrorizzato dai bambini con la kefiya. E in Israele, i bambini sono educati ad aver paura, più di tutto, dei frutti dell’utero musulmano. Per questo quando diventano soldati non vedono nulla di male nell’uccidere i bambini palestinesi “prima che crescano”. Ma Bassam e Salwa e tutti noi – Ebrei ed Arabi vittime dell’occupazione israeliana – vogliamo vivere insieme così come moriamo insieme. Vediamo i nostri figli sacrificati sull’altare di una occupazione che non ha nessuna base nella legge o nella giustizia. E, fuori, il mondo illuminato giustifica il tutto e manda altri soldi agli occupanti.

Se il mondo non rientra in senno, non ci sarà altro da dire o da scrivere o da ascoltare in questa terra se non il pianto silenzioso del mattino e le voci mute dei bambini morti.

 

© Nurit Peled-Elhanan 2007

 

Traduzione dall’inglese all’italiano a cura di Teresa Maisano

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