MEMO. I bambini palestinesi nella Striscia di Gaza vengono continuamente torturati psicologicamente. I giovani lo sanno bene: crescere con periodi di paura e abusi prolungati ha conseguenze fisiche e mentali devastanti.
L’ultima offensiva militare israeliana contro i palestinesi a Gaza ha causato un trauma duraturo ai bambini, con notevoli cambiamenti comportamentali proprio per ciò che hanno assistito durante i bombardamenti; non solo la distruzione ma anche l’uccisione di intere famiglie.
“Ci sono stati ripetuti attacchi, aggressioni e massacri negli ultimi 13 anni a Gaza”, ha spiegato la dottoressa Samah Jabr, presidente dell’Unità di Salute Mentale presso il ministero della Salute palestinese. “E ogni attacco genera una nuova generazione di persone traumatizzate”.
Non esiste un posto sicuro a Gaza e il numero di bambini a rischio è incredibile. Gli attacchi aerei e di artiglieria israeliani durante l’assalto di 11 giorni, nel mese di maggio, hanno ucciso ben 253 palestinesi, tra cui 66 bambini. Più di 1.900 persone sono rimaste ferite.
Lo scopo delle atrocità e della violenza è quello di generare un enorme impatto psicologico sulle persone, ha osservato la dottoressa Jabr. “I bambini sono i più vulnerabili perché si trovano in quella fase particolare del loro sviluppo in cui non hanno la possibilità di sviluppare dei sani meccanismi di difesa”.
Secondo l’Ufficio centrale di Statistica palestinese, nel 2020 quasi la metà dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania aveva meno di 18 anni. Un quindicenne medio a Gaza ha vissuto quattro grandi offensive israeliane e quasi tutti a Gaza conoscono qualcuno che è stato ucciso durante questi attacchi.
Vengono colpite intere famiglie. “I bambini vivono sotto la cura di adulti che soffrono a loro volta, a causa dell’alto tasso di disoccupazione, povertà e insicurezza alimentare a Gaza”, ha affermato Jabr.
Più di due milioni di palestinesi vivono nella Striscia di Gaza e soffrono per il deterioramento delle condizioni economiche a causa del blocco israeliano imposto sul territorio dal 2006. Secondo le dichiarazioni dei funzionari del World Food Programme, circa il 70% della popolazione sta lottando con l’insicurezza alimentare e ha bisogno di aiuti. La disoccupazione si attesta intorno al 69% inoltre, le bombe israeliane hanno devastato la comunità imprenditoriale e le infrastrutture, il che significa che la ripresa sarà molto difficile.
“Il trauma è molto specifico nella realtà di Gaza perché è tuttora in corso e si sovrappone ripetutamente al trauma collettivo storico”, ha sottolineato la dottoressa Jabr. “E non esiste alcun posto sicuro in cui famiglie e bambini vi possano cercare rifugio“. Ci sono state volte in cui lei e i suoi colleghi sono intervenuti mentre la situazione sconvolgente era ancora in corso. “Potevo sentire il bombardamento in sottofondo quando la gente mi chiamava da Gaza. Era una situazione molto insolita”.
Ha spiegato che i professionisti della salute mentale non sono attrezzati per fornire interventi adeguati per tali situazioni caotiche. “Tuttavia, sosteniamo le persone consigliando loro di rimanere con i piedi per terra e mantenere la loro solita routine quotidiana nonostante tutte le difficoltà”.
Una serie di studi di ricerca sugli effetti della guerra sui bambini palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza ha concluso che i sintomi di depressione, ansia e disturbo da stress post-traumatico sono evidenti tra quelli che sono stati esposti a eventi sostanzialmente dolorosi, come la distruzione della loro casa, oppure il vedere i membri della famiglia che vengono uccisi, vedere e sentire i jet e le bombe e assistere all’arresto dei familiari. Gli effetti sono gravi e possono ostacolare drasticamente la capacità del sonno di un bambino e causare mancanza di concentrazione, attacchi di panico, oltre che ansia. Forse ancora più inquietanti, questi episodi instillano una paura costante.
La dottoressa Jabr ritiene che la loro sofferenza in realtà superi la definizione di PTSD (disturbo da stress post traumatico). Gli interventi e gli strumenti sviluppati in Occidente per misurare lo stato di depressione non tendono a distinguere tra miseria giustificata e depressione clinica. Allo stesso modo, le definizioni cliniche di disturbo da stress post-traumatico e depressione non si applicano alle esperienze dei palestinesi.
Oltre a terribili lesioni fisiche e privazioni, questi bambini palestinesi affrontano traumi psicologici incomparabili e una povertà devastante, con poco o nessun accesso al supporto e alle cure mediche di cui hanno disperatamente bisogno. “È l’intensità della violenza e delle atrocità che li circondano. Di solito siamo addestrati a fornire interventi a persone traumatizzate in caso di traumi primari come incidenti stradali o lesioni gravi. Tuttavia, nella vita di un bambino palestinese, i disturbi provengono da un background di traumi storici, generazionali e collettivi. L’80% dei palestinesi a Gaza proviene da famiglie di rifugiati che hanno perso le loro case e altro ancora, e quell’enorme perdita rimane all’interno della famiglia. Anche le loro famiglie hanno partecipato all’Intifada e ora, oltre alla povertà, stiamo assistendo a molteplici guerre e massacri”.
Si ritrovano senza alcuna speranza di libertà, ha aggiunto, né alcun segno che la loro situazione cambierà. L’assedio sta fratturando le loro menti. In risposta, c’è una cultura di apatia nei confronti del destino dei palestinesi a Gaza e della loro causa, che deteriora ulteriormente la loro salute mentale.
“Quando le persone vedono che le potenze mondiali si schierano con l’aggressore e dicono che Israele ha il diritto di difendersi e ignorare tutte le uccisioni che avvengono a Gaza, i genitori palestinesi si sentono incolpati per l’uccisione dei loro figli da parte delle forze di occupazione israeliane”, ha affermato Samah Jabr. “Questo è traumatizzante”.
Dirigere il sospetto verso la vittima, giustificando in tal modo la violazione originaria che la vittima ha subito, è un chiaro tentativo di evitare di colpevolizzare Israele per la morte di bambini palestinesi. Oltre a questa disumanizzazione del popolo palestinese, un tale approccio consente di ignorare i motivi e le modalità con cui questi bambini vengono uccisi e feriti.
È evidente che la comunità internazionale sta deludendo il popolo palestinese, specialmente a Gaza. Eppure, il discorso sulla resilienza psicologica ha una forte presa lì. La dottoressa Jabr si è trovata di fronte a un malinteso comune secondo cui le persone resistono oppure si ritrovano completamente senza alcuna speranza. Ritiene che la resilienza sia dinamica e si costruisca resistendo all’oppressione, poiché fornisce un senso di giustizia e rappresenta la moralità. “Possiamo essere resilienti in certi momenti, ma non in altri. Allo stesso tempo, le persone possono subire traumi mentre mostrano segni di resilienza”. Questi ultimi, ha aggiunto, si basano non solo sui fattori individuali ma anche collettivi che possono favorire la resilienza degli individui. “Questi non dovrebbero essere ignorati”.
In conclusione, la dottoressa Samah Jabr, solidale nei confronti del popolo palestinese che resiste all’occupazione e alle offensive militari, ha fatto un appello all’unità internazionale per fronteggiare l’aggressione israeliana. “L’aiuto più prezioso è il sostegno politico nel momento in cui i palestinesi sono agenti attivi che combattono per la loro libertà, non quando è troppo tardi e sanguinano intorno ai cadaveri. E quando si tratta di guarire, ce ne occuperemo noi palestinesi. In effetti, lo stiamo già facendo”.
(Vignetta: Il bilancio delle vittime negli attacchi israeliani alla Striscia di Gaza continua ad aumentare…[Sabaaneh/MiddleEastMonitor]).
(Foto: Gaza City, 24 maggio 2021. Bambini palestinesi tengono le candele durante una manifestazione tra le rovine delle case distrutte dagli attacchi israeliani [MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images]).
Traduzione per InfoPal di Rachele Manna