Le armi nucleari di Israele sono la più grave minaccia per il Medio Oriente

MEMO. Di Ramzy Baroud. Mentre i Paesi occidentali ventilano l’ipotesi che la Russia possa far degenerare il conflitto con l’Ucraina trasformandola in una guerra nucleare, questi stessi governi occidentali continuano a chiudere gli occhi sugli armamenti nucleari in possesso di Israele. Fortunatamente, molti altri Paesi del mondo non partecipano a questa endemica ipocrisia occidentale.

Dal 14 al 18 novembre si è tenuta la “Conferenza sull’istituzione in Medio Oriente di una zona priva di armi nucleari e di altre armi di distruzione di massa” con l’unico scopo di creare nuovi standard di responsabilità che dovrebbero essere applicati in egual misura a tutti i Paesi del Medio Oriente, come sarebbe sempre stato normale che fosse accadutodovuto accadere.

Il dibattito sulle armi nucleari in Medio Oriente non potrebbe essere più rilevante ed urgente. Gli osservatori internazionali notano giustamente che il periodo che farà seguito alla guerra Russia-Ucraina probabilmente accelererà la corsa alle armi nucleari in tutto il mondo. Considerando lo stato di conflitto apparentemente perenne in Medio Oriente, è probabile che anche quest’area sarà testimone di una rivalità nucleare.

Per anni, i Paesi arabi, assieme ad altri, hanno cercato di sollevare la questione secondo la quale la responsabilità dello sviluppo e dell’acquisizione di armi nucleari non può essere limitata agli Stati che sono percepiti come nemici di Israele e dell’Occidente.

L’ultimo di questi tentativi è stata una risoluzione delle Nazioni Unite che ha chiesto a Israele di sbarazzarsi delle sue armi nucleari e di inserire i suoi impianti nucleari sotto il monitoraggio dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). La risoluzione numero A/C.1/77/L.2, redatta dall’Egitto con il sostegno di altri Paesi arabi, è passata inizialmente con un voto di 152 voti a favore. Non sorprende che tra i cinque Paesi che hanno votato contro la bozza vi siano gli Stati Uniti, il Canada e, naturalmente, lo stesso Israele.

Quindi vi è un cieco sostegno degli Stati Uniti e del Canada a favore di Tel Aviv. Ma cosa spinge Washington e Ottawa a votare contro una bozza di risoluzione dal titolo “Il rischio di proliferazione nucleare in Medio Oriente”? Considerando i governi estremisti di destra che hanno governato Israele nel corso degli anni, Washington deve comprendere che il rischio che possano essere usate armi nucleari con il pretesto di respingere una “minaccia all’esistenza” è una possibilità molto reale.

Fin dalla sua nascita, Israele ha fatto ricorso e utilizzato l’espressione “minaccia all’esistenza” innumerevoli volte. Diversi governi arabi, poi l’Iran e movimenti della resistenza palestinesi sono stati via via accusati di mettere in pericolo l’esistenza stessa di Israele. Persino il movimento non violento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), guidato dalla società civile palestinese, è stato accusato nel 2015, dall’allora primo ministro Benjamin Netanyahu, di essere una minaccia all’esistenza di Israele. Netanyahu affermò che il movimento di boicottaggio “non è correlato alle nostre azioni, ma alla nostra stessa esistenza”.

Questo dovrebbe preoccupare non solo il Medio Oriente, ma tutto il mondo. A un Paese con una reattività così ipnotica nei confronti di immaginarie “minacce esistenziali” non dovrebbe essere permesso di possedere armi che potrebbero distruggere più volte volte l’intero Medio Oriente.

Alcuni potrebbero sostenere che l’arsenale nucleare di Israele sia intrinsecamente legato a timori reali derivanti dal conflitto storico con gli arabi. Ma non è questo il caso. Non appena Israele ha portato a termine la pulizia etnica dei Palestinesi dalla loro patria storica, e molto prima che venisse messa in atto una seria resistenza araba o palestinese in risposta, Israele era già in allerta, alla ricerca di armi nucleari.

Già nel 1949 l’esercito israeliano aveva trovato depositi di uranio nel deserto del Negev, portando alla creazione, nel 1952, della segretissima Commissione Israeliana per l’Energia atomica (IAEC).

Nel 1955, il governo statunitense vendette a Israele un reattore per la ricerca nucleare. Ma ciò non era sufficiente. Desiderosa di diventare una potenza nucleare a tutti gli effetti, nel 1957 Tel Aviv si rivolse anche a Parigi. Quest’ultima divenne un partner importante nelle inquietanti attività nucleari di Israele quando aiutò questo governo a costruire un reattore nucleare segreto vicino a Dimona, nel deserto del Negev.

Il padre del programma nucleare israeliano all’epoca era nientemeno che Shimon Peres il quale, ironia della sorte, venne insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1994. Il reattore nucleare di Dimona è ora denominato “Centro di ricerca nucleare Shimon Peres-Negev”.

Senza alcun controllo internazionale e quindi senza alcuna responsabilità legale, la ricerca nucleare di Israele è continuata fino ad oggi. Nel 1963, Israele acquistò 100 tonnellate di minerale di uranio dall’Argentina e si ritiene che, durante la guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973, Israele “sia stato sul punto di condurre un attacco nucleare preventivo”, secondo Richard Sale che scrive su United Press International (UPI).

Attualmente si ritiene che Israele sia in possesso di “materiale fissile sufficiente per fabbricare 60-300 armi nucleari”, secondo l’ex ufficiale dell’esercito statunitense Edwin S. Cochran.

Le stime variano, ma le informazioni riguardanti le armi di distruzione di massa in possesso di Israele sono difficilmente contestabili. Israele stesso pratica la cosiddetta “ambiguità intenzionale”, per inviare un messaggio ai suoi nemici circa la sua potenza letale, senza però rivelare nulla che possa renderlo responsabile di fronte alle ispezioni internazionali.

Ciò che sappiamo a proposito delle armi nucleari israeliane è in parte stato possibile grazie al coraggio di un ex ingegnere nucleare israeliano, Mordechai Vanunu, un informatore che è stato tenuto in isolamento per un decennio a causa del coraggio che ha avuto nel rivelare i segreti più oscuri di Israele.

Tuttavia, Israele si rifiuta di firmare il Trattato di Non Proliferazione delle Armi Nucleari (TNP), approvato e sottoscritto da 191 Paesi.

I leader israeliani aderiscono alla cosiddetta “dottrina Begin”, in riferimento a Menachem Begin, il primo ministro israeliano di destra che invase il Libano nel 1982 causando migliaia di morti. La dottrina è formulata secondo l’idea che, mentre Israele si concede il diritto di possedere armi nucleari, i suoi nemici in Medio Oriente non devono farlo. Questa convinzione continua a influenzare e dirigere le azioni israeliane fino ad oggi.

Il sostegno degli Stati Uniti a Israele non si limita a garantire a quest’ultimo un “vantaggio militare” rispetto ai paesi vicini in termini di armi tradizionali, ma anche a garantire che Israele rimanga l’unica superpotenza della regione, anche se ciò comporta la possibilità di sfuggire alla responsabilità internazionale per lo sviluppo delle armi di distruzione di massa.

Tutti gli sforzi dei Paesi arabi e di altri Paesi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per creare una zona del Medio Oriente che sia priva di armi nucleari sono iniziative benvenute. È opportuno che tutti, Washington compresa, si uniscano al resto del mondo per costringere finalmente Israele ad aderire al Trattato di Non Proliferazione, un primo ma fondamentale passo verso una responsabilità che è stata a lungo rimandata.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi