Le azioni del premier israeliano dimostrano il suo disinteresse alla pace

image1452760814-38070-Place01-0_s660x390Di Abdalhadi alijlaL’accademico palestinese Abdalhadi Alijla attribuisce a Netanyahu la principale responsabilità per la spirale di odio che sta interessando Israele

Le notizie che arrivano da Israele e dalla Palestina sembrano rappresentare la fine degli Accordi di Oslo e di un processo di pace che si è dimostrato inutile per entrambe le parti in gioco. L’approccio alla questione dovrebbe essere completamente ripensato e in tempi brevi, per porre fine alla serie di attacchi suicidi a Tel Aviv ed evitare il crollo definitivo dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp).

Il lemma “pace” sembra ormai svuotato di ogni significato. La cosiddetta “pace” non è mai stata in grado di garantire la fine delle uccisioni e delle ostilità, a partire dal 1993. Anzi, in questi anni sono aumentate le confische delle terre, le demolizioni delle case, così come gli arresti, le uccisioni e le esecuzioni. Il blocco imposto alla Striscia di Gaza permane, insieme al sistema di apartheid praticato sistematicamente in Cisgiordania e a un’ineguaglianza sostanziale tra i Palestinesi con cittadinanza israeliana e il resto della popolazione.

Dall’elezione di Netanyahu nel 1996, il termine pace suona ancora più stomachevole. Ci torna alla mente l’“Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” dello storico romano Tacito: “Hanno fatto il deserto e lo chiamano pace”. È quello che sta accadendo a Palestinesi, Arabi, Europei, Americani e Israeliani. La pace e il processo che dovrebbe concretizzarla non sono che scatole vuote.

Mentre in tutto il mondo si festeggiava il Natale, Israele giustiziava cinque adolescenti palestinesi a pochi chilometri da Betlemme, luogo di nascita di Gesù. Dall’ottobre scorso, sono stati uccisi oltre 150 palestinesi e nella maggior parte dei casi,le efferate esecuzioni sono state riprese dalle telecamere.

Poco tempo fa,abbiamo visto la rappresentazione plastica del segmento più radicale della società israeliana: in un video, divenuto virale, gli invitati a un matrimonio brindavano alla crudele morte di un bambino palestinese, arso vivo dal gruppo estremista “Price Tag”. Sempre da ottobre, Israele ha eseguito oltre 800 arresti di cittadini palestinesi.

Ciò che sta accadendo nei Territori Palestinesi occupati è la naturale conseguenza delle azioni israeliane, tese a radicare odio e razzismo nei cittadini, che determinano un sentimento crescente di frustrazione e disperazione. Il fallimento del processo di pace, unito alle politiche israeliane, determinerà il collasso dell’Autorità Nazionale Palestinese e del suo apparato di sicurezza in Cisgiordania. I Palestinesi hanno perso fiducia in Fatah, Hamas e, più in generale, nell’Anp.

Il terrorista più efferato vive e opera in Israele: è il suo primo ministro, che in realtà fa di tutto per delegittimare il Paese di cui è alla guida, esacerbare il radicalismo e l’estremismo non solo entro i suoi confini, ma in tutta la regione.

Il Governo Israeliano porta sulle sue spalle la responsabilità di ogni terrorista che si lascia esplodere per le strade di Tel Aviv. Quanto accaduto nella città israeliana di recente dimostra che Netanyahu e il suo governo non fanno che radicalizzare la società e generare una spirale di odio con le loro arroganti politiche. L’oppressione, lo stallo del processo di pace, le ingiustizie marcate e la frustrazione crescente tra i Palestinesi destabilizzano ancora di più il quadro. Reprimere ogni forma di dissenso non violento in seno alla società palestinese genererà, al contrario, un’escalation della violenza stessa.

Sembra che il mondo abbia dimenticato la situazione di estremo disagio in cui versa il popolo Palestinese per via dell’occupazione israeliana. Le conseguenze di questo stallo costringeranno i Palestinesi a fare un passo indietro, pur di attirare l’attenzione della comunità internazionale.

Una conseguenza prevedibile sarebbe il crollo dell’Autorità Nazionale Palestinese e l’indebolimento del governo di Hamas, nella Striscia di Gaza: l’unica alternativa possibile sarebbe quella catastrofica, caratterizzata da un più spiccato estremismo, con la conseguente creazione di un terreno fertile per fazioni o gruppi che si rifanno all’ISIS.

Chiaramente, questo riporterebbe le lancette dell’orologio a una fase precedente agli accordi di Oslo, quando Israele occupava completamente la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est. Ma la comunità internazionale non accetterebbe la prolungata occupazione militare e alcuni segmenti della società israeliana non sarebbero disposti a pagare lo scotto delle follie del suo esercito.

L’alternativa è il mantenimento dello status quo, che necessariamente condurrà all’aumento di fanatici ed estremisti in entrambi gli schieramenti. A prescindere dalla piega che prenderanno gli eventi, Netanyahu sta scherzando con il fuoco, in un gioco che non avrà ripercussioni solo su di lui, ma sull’intera regione.

Netanyahu e al suo governo devono essere fermati o continueranno a fomentare l’odio in Israele: le azioni del premier dimostrano con chiarezza il suo disinteresse all’effettivo raggiungimento della pace. È fondamentale contrastare lui e il suo governo estremista. L’unica speranza può venire dalla pressione internazionale, da manifestazioni di massa non violente, dal boicottaggio dei prodotti israeliani, dalle sanzioni ai danni di Israele, da processi internazionali che condannino i leader responsabili dell’attuale regime di apartheid.

Purtroppo, ad oggi, il peggior terrorista è Netanyahu, che al momento sembra inarrestabile.

Traduzione di Romana Rubeo