Le punizioni israeliane tentano di nascondere la resistenza a i coloni

Memo. Israele tende spesso a parlare di punizioni [nei confronti dei propri nemici] come risposte isolate e necessarie – estensioni all’immagine del sommo patriota al quale manca la terra e si inventa una proprietà.

Parlando dei tre coloni scomparsi, il ministro della Difesa Moshe Ya’alon ha indicato la possibilità di ordinare omicidi mirati tra i capi di Hamas. “Sapremo come esigere ai capi di Hamas un caro prezzo, ovunque e in qualunque momento lo riterremo opportuno, e da chiunque venga sfiorato dall’idea di fare del male ai cittadini israeliani e distruggere le loro vite”, ha detto Ya’alon. “The Times of Israel” riferisce che Ya’alon ha sostenuto che i coloni spariti vengono ritenuti “una testimonianza in più alla crudeltà e all’odio ribollente che guida i gruppi terroristici nella nostra regione”.

Facendo eco a Ya’alon e ad altri ufficiali israeliani nell’esprimere la propria ira, il ministro dell’Economia Naftali Bennett ha affermato che Israele sta trattando con una delle più “letali e barbare organizzazioni del mondo. Stiamo convertendo la tessera dei soci di Hamas in un biglietto per l’inferno”.

Una pagina facebook ha raccolto oltre 18 mila sostenitori sta incitando gli israeliani ad uccidere un palestinese all’ora fino al ritorno dei coloni. La campagna twitter #BringBackOurBoys ha infiammato il fervore giustizialista, trasformando tre coloni scomparsi in un fenomeno globale, mentre passano completamente sotto silenzio le atrocità quotidiane inflitte ai palestinesi dallo stato colonialista, recepite come normali in una routine attesa e glorificata.

Nel giustificare l’odio proveniente dalla società israeliana, il presidente israeliano Reuven Rivlin ha detto: “Non c’è bisogno di essere timorosi nel nostro paese. Nessuno dovrebbe temere di andare dovunque in questo paese, che sia sotto il nostro controllo o nelle aree che abbiamo restituito per riscattarli”.

Le frasi comunicano costantemente un malcelato senso di proprietà, nel quale perfino il paese immaginario e la sua popolazione di coloni hanno la precedenza sui ragazzi scomparsi. Oltre a manipolare gli eventi per poter nuovamente dichiarare guerra ad Hamas – come Netanyahu ha dichiarato dal quartier generale dell’Idf – proiettare la violenza sui palestinesi serve ancora una volta a rilanciare all’attenzione internazionale l’immagine fabbricata di Israele.

La continua alienazione nei confronti del terrorismo illegale di Israele contro i palestinesi impedirà la comparsa di un ordine più onesto, che consideri la natura di Israele quale stato intrinsecamente violento. Israele e i media internazionali condoneranno gli omicidi mirati dei capi di Hamas per sviare l’attenzione dalla resistenza [palestinese] ai coloni. Gli omicidi commessi da Israele vengono distorti in missioni umanitarie, una misura preventiva contro ogni possibile crepa che esponga il mito dello stato di Israele. Da qui i report incessanti che rigurgitano le stesse notizie e istigano ulteriore violenza contro i palestinesi. In gioco non ci sono i ragazzi scomparsi; c’è piuttosto il fatto che i capi israeliani ritengano la resistenza palestinese una minaccia al colonialismo.

Nonostante la propaganda dipinga i coloni teenager scomparsi come la preoccupazione più immediata, l’opinione pubblica indica un problema più serio. La minaccia allo status immaginario di Israele è stata rivelata dalle allusioni incessanti a “il nostro paese” e “il nostro popolo”, sulla scia di una sfida che è riuscita a gettare nel caos le fondamenta del progetto sionista.

Traduzione di Elisa Proserpio