L’ebraicizzazione di Gerusalemme: la colonizzazione di Silwan è un’eredità americana

Di Ziad Abhais. Al-Arabi 21. L’inviato USA in Medio Oriente, Jason Greenblatt e l’ambasciatore statunitense presso l’entità sionista David Friedman, sono accanto a Sarah Netanyahu e si alternano nella demolizione di un muro simbolico per aprire il tunnel chiamato “Via dei pellegrini” sotto Silwan. Ma nell’ultima fila c’è Lindsay Graham, una figura di spicco del Partito Repubblicano. Si può dire che questa scena è la più realistica per avere una visione dell’estrema destra sionista nel conflitto sulla terra di Palestina e l’adozione storica della più importante agenda americana per l’ebraicizzazione di Gerusalemme.
Silwan, centro per l’ebraicizzazione: com’è potuto accadere?
Due sono le cose importanti da sapere su Silwan. La prima è che è stata, storicamente, il centro della narrativa e colonizzazione sionista ancor prima della Città Vecchia e di Al-Aqsa, infatti Gerusalemme come simbolo del sionismo è storicamente rappresentata da tre colline: la collina di Sion si trova a sud-ovest della Città Vecchia e al confine settentrionale del quartiere armeno nella Città Vecchia  di Gerusalemme, e da cui il sionismo ha fatto derivare il suo nome; la collina di Silwan, a sud-est della città, che la narrativa biblica afferma fosse la “la città di David”; poi la collina della Moschea di al-Aqsa, trasformata in un simbolo sionista da gruppi estremisti che affermano che il secondo tempio si trovava nel punto in cui ora è situata la moschea al-Aqsa, e ciò ha acceso l’attuale ciclo di conflitto sull’identità del complesso di Al-Aqsa.
La seconda riguarda la storia della presenza sionista a Silwan: fu stabilita nel 1882, dopo che la nascente colonia rifiutò di ricevere immigranti ebrei dallo Yemen, e Silwan li accolse come rifugiati arabi, che risiedettero nel quartiere centrale durante le successive rivolte di Buraq, del 1929, e del 1936; tuttavia, la loro sopravvivenza nel centro di Silwan divenne impossibile. 
Tale presenza riprese con l’occupazione di Gerusalemme Est nel 1967, con gli scavi dei palazzi omayyadi e l’avvio dell’espansione, rafforzata dalla confisca delle terre vicine con il pretesto della sicurezza e, nel tentativo di realizzare l’illusione della “città di David” e di portarvi a vivere i coloni sionisti, iniziarono a riferirsi all’esperienza degli ebrei dello Yemen come a un’antica “eredità” ebraica. 
Nonostante tutto ciò, Silwan rimase con una popolazione puramente araba: nel 2017 i coloni erano 550 rispetto a 19.000 Palestinesi; il 3% è la dimensione della penetrazione coloniale che i sionisti riuscirono a imporre su Silwan in 135 anni. I grandi centri ebraici sono una dimostrazione simbolica di compensazione del cronico fallimento di imporre la presenza effettiva nonostante la potenza della macchina distruttiva, della propaganda e il possesso illecito di immobili.
 
Tunnel centrale a Silwan.
Gli scavi di Silwan si snodano in due linee che si incontrano presso la piscina Silwan, a sud di Wadi Hilweh, e divergono per tornare quasi parallele alla confluenza del quartiere di Wadi Hilweh, nel sud della Città Vecchia. La linea orientale di questi scavi consiste in una serie di canali d’acqua, alcuni dei quali naturali mentre un altro fu creato in epoca antica per lo stoccaggio idrico sotterraneo. La linea occidentale è stata in gran parte sviluppata dai sionisti ed è chiamata “tunnel di Erode”, e si estende dalla piscina di Silwan fino all’angolo sud-occidentale del muro della Moschea di Al-Aqsa, raggiungendo un punto parallelo alla Porta al-Mughrabi con una lunghezza di 800 metri.
Il tunnel che stiamo analizzando qui è una sezione della “strada di Erode” che è stata aperta ai visitatori dopo 6 anni di scavo e riabilitazione. La “strada di Erode”, una volta completata, formerà il nucleo della rete di scavi a sud della Moschea di Al-Aqsa, così come il tunnel “Hashmonaim”, aperto nel 1996 nel primo governo Netanyahu – che ha poi portato alla rete di scavi a ovest della Moschea (*).
In realtà, la scena celebrativa è intesa a far pensare all’apertura del tunnel del Muro Occidentale, con l’importante differenza, questa volta, del sostegno assoluto americano.
Con questo tunnel, il governo sionista vuole anche giocare una guerra psicologica per dire che a differenza dell’apertura del tunnel nel 1996 quella del 2019 non ha suscitato alcuna reazione, ma, che, anzi, è avvenuta dopo il work-shop del Bahrain, nella sua ricerca di imporre la vittoria assoluta, illusoria, dei sionisti.  Questa immagine sta cercando di farci dimenticare che l’apertura è arrivata dopo tre importanti “battute d’arresto” imposte a Netanyahu su al-Aqsa: nel 2015, la richiesta che l’area non venisse chiusa ai musulmani durante le festività ebraiche; nel 2017 che venissero smantellati i cancelli elettronici, e nel 2019, l’apertura della porta della cappella della Misericordia.

Colonizzazione di Silwan come eredità americana.

Durante l’apertura sono state significative le posizioni di due americani: la prima, quella di Greenblatt quando ha rifiutato la definiziaione di “giudaizzazione di Gerusalemme” riferendosi invece alla “realtà ebraica del luogo” e alla “pace che dovrebbe essere basata sui fatti”; la seconda sul discorso di Friedman quando ha partecipato all’apertura dicendo che questo tunnel, “non è una proprietà solo degli israeliani, ma è anche un’eredità americana.
 
Siamo di fronte a inviati ebraici sostenuti dal settore estremista degli Stati Uniti, ossia gli evangelici, che costituiscono un importante blocco di elettori del presidente – un blocco che crede da tempo che gli Stati Uniti siano “il nuovo Israele di Dio” e crede nel suo cosiddetto “destino manifesto” verso la grandezza, che passa attraverso il risveglio dell’antico Israele per realizzare la profezia in virtù dell’autorità divina, come sottolinea l’illustre studioso Munir al-Akash nei suoi scritti.  
Tali credenze sono importanti fattori che hanno portato gli Stati Uniti all’adozione del progetto coloniale sionista, di cui oggi se ne vedono gli effetti con chiarezza, con la colonizzazione di Silwan che è diventata un patrimonio degli Stati Uniti.
Cosa rimane della posizione araba?
Se l’ebraicizzazione di Silwan diventa un “lascito americano” e trasformarla in “città di David” è un obiettivo americano quanto israeliano, che margine rimane al rifiuto o all’obiezione o addirittura al “rafforzamento della fermezza” della posizione araba? In che modo combinare la dipendenza politica, della sicurezza ed economica agli Stati Uniti, nel caso della Giordania e dell’Egitto, con il rifiuto e alla fedeltà alla questione di Gerusalemme? La questione non è nuova ed è stata proposta dopo la risoluzione della partizione nel 1947, e ha continuato attraverso la decisione di trasferire l’Ambasciata americana a Gerusalemme, nel 1995, fino a quando non è stata realizzata, attualmente.
Alla luce di questo fallimento non dobbiamo sprecare molti sforzi dietro la posizione ufficiale araba e la sua lealtà: lo sforzo deve essere focalizzato sul sostegno al “no” più significativo che la massa gerosolimitana sta lanciando e mettendo in pratica, per sentirne il polso, sostenerla e stare dalla sua parte quando va in strada per affrontare l’ebraicizzazione, e per rafforzare la nostra comunicazione con lei e per appoggiarla direttamente con tutti i mezzi possibili: questa è la nostra scelta in questa battaglia.
(*) Rappresenta uno degli episodi della lotta palestinese: la mattina del 25/9/1996, il popolo palestinese organizzò proteste, scontrandosi con i soldati israeliani, dopo che le autorità di occupazione avevano cominciato l’apertura di un tunnel sotto la moschea di Al-Aqsa.

Traduzione per InfoPal di Angela Lano e Shaimaa El Roubeigy