Legge sulla Separazione delle Famiglie: la guerra demografica di Israele sulla Palestina si intensifica

MEMO. Di Ramzy Baroud. Quando la Knesset israeliana (parlamento) non è riuscita a rinnovare quella che viene comunemente definita Legge sul Ricongiungimento Familiare, le numerose notizie e analisi hanno travisato completamente la storia. La suddivisione equa tra i parlamentari votanti, dei quali 59 hanno votato a favore della legge e 59 contro, ha dato l’errata impressione che i parlamentari israeliani fossero uniformemente divisi sul diritto dei Palestinesi di ottenere lo status di residenza permanente o la cittadinanza in Israele attraverso il matrimonio. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità.

Approvata originariamente nel 2003, la Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso era in effetti un divieto al matrimonio palestinese. Con la scusa della “sicurezza”, la legge proibiva ai Palestinesi della Cisgiordania, che sposavano cittadini israeliani, di spostarsi permanentemente in Israele, di avere un lavoro, di poter risiedere permanentemente e, infine, di ottenere la cittadinanza.

La legge non è mai divenuta definitiva in quanto soggetta ad una votazione annuale, che si è ripetuta con successo per 17 volte, consecutivamente. Il diciottesimo voto, il 6 luglio scorso, tuttavia, ha incontrato un ostacolo. Contrariamente alla percezione data dalla copertura mediatica, coloro che hanno votato contro il rinnovo del divieto lo hanno fatto per motivi puramente politici e non per preoccupazione per le decine di migliaia di famiglie palestinesi che si sono frammentate e disgregate dall’entrata in vigore della legge.

Sin dall’estromissione dell’ex-primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per mano del suo protetto, l’attuale primo ministro Naftali Bennett, l’ex-leader di Israele si è mostrato determinato a rovesciare la già fragile coalizione di Bennett. Gli alleati del governo di Bennett riuniscono partiti di estrema destra, tra cui Yamina, il partito dello stesso primo ministro, partiti di centro e persino partiti di sinistra, come Meretz. Ospita addirittura un partito arabo, United Arab List, o Ra’am, di Mansour Abbas. E’ improbabile che una coalizione di questa natura riesca a sopravvivere a lungo, considerando la tumultuosa politica di Israele, e Netanyahu – desideroso di elezioni anticipate – farà tutto ciò che è in suo potere per facilitare quello che vede come un imminente collasso.

Il Likud, partito di Netanyahu, ed i suoi alleati dell’opposizione hanno invece votato contro il rinnovo della legge discriminatoria per trarne un vantaggio politico. La loro giustificazione, però, è stata ancor più sconcertante della legge stessa. Il Likud vuole che la legge temporanea diventi un punto fisso, una legge fondamentale, da aggiungere alle decine di altre leggi simili, a sfondo razziale, che prendono di mira il tessuto stesso della società palestinese.

Benvenuti nella guerra demografica di Israele contro il popolo palestinese. Questa guerra unilaterale si colloca nella convinzione della maggioranza ebraica israeliana, che la più grande sfida di Israele sia sostenere il suo vantaggio demografico che, grazie ad una decisa campagna di pulizia etnica iniziata oltre settant’anni fa, è stato detenuto dagli ebrei sugli arabi palestinesi.

Il timore principale di Israele non è soltanto una maggioranza palestinese decisiva tra il fiume Giordano ed il Mar Mediterraneo. Le classi dirigenti ebraiche di Israele sono inoltre scosse dalla reale possibilità di una crescente influenza politica della circoscrizione elettorale arabo-palestinese di Israele e stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per garantire che i titolari palestinesi di cittadinanza israeliana siano ridotti al minimo. La Legge sulla Cittadinanza e l’Ingresso è stata concepita proprio per tenere sotto controllo questa popolazione.

Le elezioni generali di marzo 2020, in particolare, hanno fornito un assaggio di quello che potrebbe essere uno scenario apocalittico. I partiti arabi di Israele si sono riuniti sotto l’unica etichetta della Joint List e sono emersi con 15 seggi, diventando così il terzo blocco politico più numeroso della Knesset israeliana, dopo il Likud e Blue and White. Se gli arabi palestinesi hanno acquisito una tale influenza, sebbene rappresentino solo il 20% della popolazione israeliana complessiva, immaginate cosa potrebbero fare se la marea demografica continuasse a cambiare a loro favore.

Per Israele, il futuro della maggioranza ebraica – leggi: supremazia – dipende dal mantenimento del rapporto tra le popolazioni in favore degli ebrei israeliani a spese degli arabi palestinesi. La maggior parte delle leggi discriminatorie nei confronti dei Palestinesi, indipendentemente da dove risiedono – di fatto, in qualsiasi parte del mondo – sono motivate da questo principio.

Secondo il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele (Adalah), la popolazione arabo-palestinese di Israele è presa di mira con 65 diverse leggi e regolamenti governativi, che assicurano che gli arabi palestinesi non prosperino in quanto comunità, rimanendo politicamente impotenti, svantaggiati dal punto di vista socio-economico e costantemente sotto la minaccia di perdere la loro residenza e persino la cittadinanza.

Da altre parti i Palestinesi subiscono anche un destino peggiore. Ad esempio, i Palestinesi che vivono a Gerusalemme, e che si suppone siano in possesso di un permesso permanente di residenza, sono soggetti a diversi tipi di vessazioni legali, in modo che Gerusalemme possa mantenere l’attuale maggioranza ebraica. Quando Israele occupò illegalmente Gerusalemme Est nel 1967, la città era quasi interamente arabo-palestinese. Utilizzando diverse tattiche, la popolazione araba della città è ora una minoranza sempre più ridotta. Peggio ancora, nel 2018 Israele ha approvato una legge che concede al ministero dell’Interno il diritto di revocare la residenza degli abitanti di Gerusalemme sulla base della accusa ambigua di “violazione del principio di lealtà”.

La Cisgiordania occupata e Gaza sono confinate, poiché soltanto Israele decide chi resta e chi viene esiliato in modo permanente. L’occupazione militare israeliana di queste regioni ha portato il controllo della popolazione ad un livello completamente nuovo; si tratta di una scienza quasi esatta.

Questo è anche esattamente il motivo per cui gli israeliani detestano la discussione stessa sul diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi, poiché lo considerano un implicito appello alla “distruzione di Israele come stato ebraico”. Secondo questa logica, se a milioni di profughi palestinesi sarà permesso di tornare alle loro case e terre della Palestina storica, Israele non esisterà più nella sua forma attuale, come stato ebraico, ma diventerà invece uno stato democratico per tutti i suoi cittadini.

Quel che probabilmente accadrà è che il ministero dell’Interno di Israele continuerà a trovare cavilli nelle leggi, sempre flessibili, di Israele per bloccare la riunificazione delle famiglie palestinesi, fino a quando la Knesset non rinnoverà ufficialmente la legge sulla cittadinanza e l’ingresso o, peggio, la renderà permanente. In ogni caso, è probabile che la guerra demografica di Israele contro i Palestinesi in futuro si intensifichi. Considerando che si tratta di una guerra che non può essere vinta razionalmente, Israele rischia di sprofondare ancora di più nell’abisso dell’apartheid.

Mentre Israele continua a sperimentare il controllo sulla popolazione palestinese, sarebbe vergognoso se la comunità internazionale continuasse a restare in silenzio. Questo oltraggio morale deve finire.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi

(Foto: [MENAHEM KAHANA/AFP via Getty Images])