L’Egitto sulla via di un cambiamento della propria politica a causa del denaro occidentale e di quello arabo?

PressTv. Di Mohyeddin Sajedi.

Il governo egiziano è in trattativa con il Fondo Monetario Internazionale (IMF) per ottenere un prestito. Le condizioni poste per l’elargizione di tale fondo non sembrano tuttavia incontrare la disponibilità del presidente egiziano, alle prese con problematiche economiche rilevanti.

Gli egiziani sostengono che Mursi abbia finora realizzato solo tre delle 64 promesse di riforma annunciate all’indomani della sua elezione e che avrebbero dovuto essere implementate nei primi 100 giorni di presidenza. La notevole flessione del flusso turistico in entrata e il rilevante ridimensionamento degli scambi commerciali con l’estero che garantiscono manodopera straniera al Cairo, hanno svalutato pesantemente la moneta egiziana. Preoccupazioni riguardanti il possibile aumento del debito pubblico, proteste e scioperi indette dai sindacati e instabilità sociale non fanno altro che complicare ulteriormente la situazione.

Durante il periodo di transizione, il debito pubblico è cresciuto di ben sei volte, raggiungendo il valore di 6 miliardi di dollari.

La “primavera araba” non ha portato alcun beneficio economico all’Egitto: centinaia di migliaia di lavoratori hanno abbandonato la Libia ed anche la situazione lavorativa in Tunisia ed Algeria non è certo positiva quanto in passato. Inoltre, il Paese non è affatto fiducioso riguardo il settore turistico e fatica a delineare piani per il suo sviluppo.

Il governo non ha dunque altra scelta se non quella di richiedere aiuti dall’estero. L’anno scorso, a seguito dei sommovimenti in atto in Tunisia, Libia ed Egitto, i rappresentanti dei paesi occidentali si erano incontrati a Parigi, promettendo lo stanziamento di 40 miliardi di dollari a beneficio delle nazioni in lotta per la democrazia. Curiosamente fu stabilito che la metà di tale somma venisse versata dai ricchi Paesi arabi del Golfo Persico, che di democratico hanno ben poco. Ancora più interessante risulta il fatto che di tale somma non sia poi stato elargito nemmeno un centesimo, né ad opera dei Paesi occidentali né di quelli arabi.

E’ chiaro che gli aiuti sarebbero stati forniti all’Egitto in base a specifiche condizioni. Gli Stati Uniti hanno condizionato la loro assistenza alla garanzia da parte del governo Mursi che l’Egitto avrebbe ribadito il rispetto degli accordi di Camp David nonché dei legami intrattenuti dal vecchio regime con Tel Aviv. E’ proprio in conseguenza dell’influenza esercitata da Washington che il Fondo Monetario Internazionale ha a sua volta vincolato la possibilità di prestito a condizioni di natura politica.

Per quanto riguarda i Paesi arabi, il regno saudita ha promesso all’Egitto un prestito di 4 miliardi di dollari. Qualche tempo fa il Qatar aveva depositato 2 miliardi di dollari nella banca centrale egiziana, allo scopo di impedire la svalutazione della valuta del Cairo. Riyadh e Doha rappresentano i maggiori investitori stranieri in Egitto. Recentemente Doha ha annunciato l’intenzione di investire altri 11 miliardi di dollari nell’economia egiziana.

L’Egitto è attualmente in trattativa per l’ottenimento di un prestito di circa 4,5 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale, riservandosi il diritto di poter aumentare l’entità del finanziamento fino ad un valore di sei miliardi. La prima richiesta del Cairo era stata di 2 milioni. Il Fondo Monetario, tuttavia, ha aumentato il valore potenziale del credito una volta ricevute garanzie addizionali dall’Egitto, che prevedevano l’accettazione di condizioni ben al di là del consueto. Il prestito, il cui tasso d’interesse corrisponde all’1,1 %, obbligherebbe infatti l’Egitto a diminuire i sussidi governativi nel campo del carburante e di alcuni prodotti alimentari, oltre che a ridimensionare la presenza statale nella gestione economica e la sua possibilità di investimento in alcuni altri settori.

Se l’Egitto decidesse di aumentare la richiesta fino a sei miliardi, si troverebbe costretto ad accettare condizioni ancora più pesanti, come ad esempio l’eliminazione dei sussidi statali in riferimento a carburanti e materie prime. Non è chiaro se questa somma, nel caso venisse elargita, possa essere realmente in grado di salvare l’economia del Cairo. Ciò che è certo è che l’eventualità di un prestito sarebbe causa del dilagare del malcontento nella popolazione egiziana, buona parte della quale vive al di sotto della soglia di povertà.

E così, mentre da una parte si sforza nel ribadire che il nuovo corso egiziano assumerà posizioni ben diverse da quelle del regime di Mubarak, il presidente Mursi si trova di fronte alle condizioni imposte dell’Occidente sulla possibilità di fornire assistenza economica necessaria all’Egitto post-rivoluzionario. Condizioni che, se accettate, testimonierebbero un intollerabile voltafaccia alle promesse fatte alla popolazione all’indomani del verdetto elettorale.

Negli anni ’90 l’Egitto, al fine di poter rientrare tra i beneficiari del Fondo Monetario Internazionale, fu obbligato ad inviare le proprie truppe a sostegno della NATO impegnata nel Golfo Persico a porre fine all’occupazione del Kuwait ad opera di Saddam Hussein.

L’aiuto promesso dall’Arabia Saudita e dal Consiglio per la Cooperazione nel Golfo (PGCC) verte sulla necessità che l’Egitto accetti di allineare la sua politica estera a quella di Riyadh. Il discorso tenuto da Mursi in occasione della sedicesima conferenza dei Paesi Non-Allineati (NAM) tenutasi a Teheran ed i suoi commenti durante l’incontro con i ministri della Lega Araba svoltosi al Cairo, mostrano come il presidente egiziano stia tentando di portare dalla propria parte i Paesi arabi, sforzandosi al contempo di garantire all’Egitto una posizione preminente nei nuovi assetti internazionali da esso auspicati. Tali intenzioni si sono rese ancora più evidenti nel momento in cui Mursi ha definito il regno saudita come “il principale protettore dell’islam sunnita”, accostandosi alle preoccupazioni della monarchia giordana in riferimento al tema della “mezzaluna sciita”. A tal riguardo, alcuni scrittori egiziani hanno avanzato questa domanda: Mursi avrebbe forse assunto la medesima posizione riguardo la questione siriana se l’Arabia Saudita ed il Qatar non avessero sostenuto militarmente l’opposizione in lotta nel paese mediorientale?

Una delle condizioni poste dall’Arabia Saudita all’Egitto circa l’eventualità di un prestito consiste nell’abbandono del dialogo recentemente reinstauratosi tra Teheran ed Il Cairo, una misura che comprometterebbe la possibilità di incremento del legame tra Egitto ed Iran nel prossimo futuro auspicato da Mursi.