L'esercito israeliano giustizia senza processo un attivista palestinese nel campo profughi di Nur ash-Shams

 

PCHR
Palestinian Centre for Human Rights

Press Release

Ref: 84/2010

Date: 19 settembre 2010 

L'esercito israeliano giustizia senza processo un attivista palestinese nel campo profughi di Nur ash-Shams

All'alba di venerdì, le forze di occupazione israeliane (Foi) hanno proceduto a un'esecuzione extra-giudiziale nel campo di Nur ash-Shams, a est di Tulkarem.

Questo crimine ha tolto la vita a Eyad Asa'ad Ahmed Abu Shilabaya, 38 anni, attivista del movimento di Hamas. Il portavoce militare israeliano sostiene che i soldati hanno aperto il fuoco in quanto Abu Shilabaya “stava minacciando le loro vite”. Secondo il portavoce, l'uomo – un “ricercato” – ha continuato a camminare in direzione dei militari tenendo le mani dietro la schiena, nonostante loro gli avessero ordinato di fermarsi. A quel punto, la paura li avrebbe spinti ad aprire il fuoco. Dopo aver ispezionato il corpo, è stato verificato che il palestinese non aveva armi con sé. Le indagini eseguite dal Centro palestinese per i diritti umani (Pchr) hanno inoltre rivelato che il crimine è stato commesso in una stanza da letto con una sola porta. Il sangue era sparso di fronte al letto, a circa un metro dalla porta. Questi rinvenimenti smentiscono dunque le affermazioni del portavoce militare.

Secondo le indagini eseguite dal Pchr e le affermazioni di un testimone oculare, intorno alle 2 del mattino di venerdì le Foi sono entrate nel campo profughi di Nur ash-Shams, a est di Tulkarem, scortate da circa venticinque mezzi militari. Un gran numero di soldati israeliani ha circondato una casa, appartenente alla famiglia di Mohammed Asa'ad Ahmed Abu Shilabaya, 40 anni, fatto saltare l'entrata e invaso l'abitazione mentre gli inquilini dormivano. Quando Mohammed si è alzato dal letto, uno dei militari lo ha interrogato su alcuni suoi parenti che abitavano nel campo stesso. Le truppe gli hanno poi ordinato di portarli a casa di suo zio. Lungo la strada gli hanno quindi chiesto della casa di suo fratello Eyad, e vi si sono recati non appena Mohammed ha mostrato loro dove si trovava.

Notando che la casa era formata da due piani, i soldati hanno domandato dove viveva Eyad e com'era fatto all'interno l'edificio. Mohammed li ha poi visti installare un ordigno vicino alla porta e collegarlo alla serratura. Gli è stato quindi ordinato di voltare la faccia verso il muro. A quel punto ha sentito un'esplosione e udito i militari salire le scale della casa di suo fratello, che gridava: “Chi… chi è là?”

A questo sono seguiti gli spari di tre proiettili. Circa cinque minuti dopo, i soldati hanno portato Mohammed dentro la casa di Eyad, costringendolo a stare in un angolo del salone, a meno di cinque metri dalla stanza di suo fratello. Gli è stato nuovamente chiesto di girare la faccia contro il muro. Poco dopo, Mohammed ha chiamato Eyad ad alta voce, preoccupato. Uno dei soldati gli ha tappato la bocca con la mano. Così Mohammed non si è più mosso per i successivi venti minuti, mentre i militari si trovavano ancora in camera di suo fratello. A un certo punto, li ha sentiti che scendevano le scale. Uno di loro gli ha chiesto di non muoversi finché non gli fosse stato ordinato. Ha poi udito i vicini che parlavano. Interrogati sulle truppe, gli hanno risposto che se n'erano andate. Allora Mohammed, seguito da alcuni di loro, si è diretto verso la stanza di Eyad per sapere che cosa fosse successo. Nella camera ha visto del sangue sparso sul pavimento e sul muro, oltre a tre proiettili che giacevano per terra, già usati. Suo fratello non c'era, e nessuno sapeva dove fosse finito.

Più tardi è stato scoperto che le Foi avevano trasferito il corpo nell'Ufficio militare israeliano di collegamento, a ovest di Tulkarem. Alle 6 circa, lo avevano consegnato a un'ambulanza della Mezzaluna Rossa palestinese, che lo aveva portato all'ospedale pubblico Thabet Thabet, nel capoluogo. Fonti mediche hanno confermato che Eyad è stato colpito da tre proiettili, uno al collo e due al torace.

Il Pchr ribadisce la sua condanna nei confronti di questo crimine, esprime grande preoccupazione per l'accaduto e:

  1. non ha dubbi nell'affermare che tutto ciò rientra nella serie di crimini commessi da
    lle Foi nei Territori occupati palestinesi (Tpo), con totale mancanza di riguardo nei confronti delle vite dei civili palestinesi;

  2. ribadisce la condanna nei confronti delle esecuzioni senza processo di cui sono oggetto gli attivisti palestinesi, e ritiene che queste servano ad accrescere la tensione nella regione e a minacciare le vite dei civili;

  3. chiede alla comunità internazionale d'intervenire immediatamente per fermare queste pratiche, e alle Alte parti contraenti della Convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra di rispettare i propri obblighi in base all'articolo 1 della stesssa Convenzione, assicurando il rispetto di quest'ultima in tutte le circostanze, e in base all'articolo 146, indagando e processando i responsabili delle violazioni. Simili gesti rappresentano dei crimini di guerra secondo l'articolo 147, e inoltre secondo il Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, relativo alla protezione delle vittime di conflitti internazionali (Protocollo I).

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