“Lettera aperta al popolo di Gaza”. Vietato criticare Israele

Foto Dr. Salam Fayyad

Di Angelo Stefanini

La Palestina è un grido di dolore dell’umanità. Pubblicare la “Lettera aperta al popolo di Gaza” su una rivista come il Lancet è segno di grande coraggio che indica come essere fedeli alla responsabilità sociale del professionista della salute comporti scelte difficili.


“Il pregiudizio anti-Israele ai suoi massimi livelli”[1], “Un giornale peer-reviewed antisemitico”[2], ”Un giornale fazioso e vergognoso”[3]. Questi sono soltanto alcuni degli appellativi riservati a una delle riviste mediche più importanti a livello mondiale, The Lancet. La sua colpa sarebbe di essere “palestinizzata”[4], ossia di dare voce ai problemi di salute e assenza di diritti umani dei palestinesi. IlZionist Central Council of Greater Manchester ha addirittura lanciato una vera e propria campagna per mettere fine al pregiudizio anti-Israele della rivista medica The Lancet[5].

Nel 2009 il suo direttore, Richard Horton, ha accettato l’invito della comunità accademica e scientifica palestinese di fornire sostegno per diffondere ricerche e pubblicazioni sulla situazione sanitaria del territorio palestinese occupato. È nata così la Lancet Palestinian Health Alliance che ogni anno organizza una conferenza i cui abstract vengono ospitati sulla rivista. Nel contesto palestinese di sofferenza quotidiana fatta di occupazione militare, espropriazione di terra, difficoltà al movimento, oppressione e violazioni quotidiane di diritti fondamentali, è comprensibile come la salute sia profondamente dipendente da tali predominanti determinanti sociali e politici. Le ricerche scientifiche che mostrano questa associazione diventano facile bersaglio da parte chi propugna il mito della neutralità della scienza.

In questi giorni Richard Horton è ancora una volta preso di mira per avere pubblicato la “Lettera aperta al popolo di Gaza”.[6] La lettera, pubblicata online il 22 luglio e firmata da ventiquattro medici e scienziati britannici e italiani accumunati dalla conoscenza diretta della situazione della Striscia, denuncia in modo esplicito e severo la violenza di Israele sulla popolazione civile di Gaza come grave violazione del diritto internazionale e crimine contro l’umanità. Alcuni media[7] hanno intuito la valenza dirompente di una tale accusa a Israele da parte di personalità scientifiche internazionali ben informati non soltanto delle violenze di questi giorni, ma soprattutto del contesto di assedio e crudele punizione collettiva a cui il popolo di Gaza è sottoposto da diversi anni. La risposta alla lettera ha superato le aspettative e in pochi giorni è prossima a raggiungere la quota di 15.000 adesioni.

In verità il Lancet non è l’unica rivista medica a essere sotto il tiro dei difensori di Israele. Nel 2010, il giornale on line PJ Media-Voices from a free America[8] chiamava in causa il BMJ-British Medical Journal e il Journal of the Royal College of Physicians (ora Clinical Medicine) per avere espresso opinioni contrarie a Israele. Quali siano i pericoli di criticare Israele in una rivista medica lo aveva sperimentato personalmente Kamran Abbasi, Acting Editor del BMJ nel 2004 per avere pubblicato un articolo in cui lo psichiatra Derek Summerfield esprimeva preoccupazione per ciò che egli riteneva sistematiche violazioni della Quarta Convenzione di Ginevra da parte dell’esercito israeliano a Gaza[9]. L’autore sosteneva le sue argomentazioni con dati pubblicati da autorevoli organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e Amnesty International. Oltre alle centinaia (circa 550) di risposte, la maggior parte ostili, inviate al sito web della rivista, più di mille email erano state dirette personalmente, appunto, a Kamran Abbasi. I toni e i contenuti di quella nutrita corrispondenza danno un’idea di che cosa debbano attendersi i responsabili editoriali di riviste scientifiche che hanno l’ardire di addentrarsi in dibattiti di questo genere[10].

“Sembra probabile”, sostiene Karl Sabbagh in un’analisi[11] compiuta su quelle email “che la maggior parte dei messaggi di posta elettronica ostili siano stati sollecitati da Honest Reporting, un sito web gestito dagli Stati Uniti e Israele che sostiene di essere ‘il più grande gruppo di pressione mediatico di Israele nel mondo’ e descrive la sua missione così: ‘Per garantire che Israele sia rappresentato in modo corretto e accurato, Honest Reporting controlla i media, evidenzia casi di pregiudizi, promuove l’equilibrio e gli effetti del cambiamento attraverso l’istruzione e azione’”.
Chi scrive ha l’onore di avere un tag personale riservato sul loro sito web[12].

L’analisi di quella corrispondenza rivela diverse tendenze tra gli scriventi: da chi semplicemente nega (L’IDF [Israeli Defence Force], a differenza degli arabi, non ha mai ucciso civili innocenti.”), a chi disumanizza l’avversario (“Il problema è che si moltiplicano come conigli e un giorno verranno a ucciderti.”), a chi preferisce l’attacco personale (“Il vostro giornale, con un direttore dal nome chiaramente medio-orientale, è inevitabile che vomiti la schifezza che pubblica.” ). Ciò che appariva chiaramente era che il testo di circa un quarto delle email era direttamente tratto dal sito web diHonest Reporting. Inoltre, continua l’autore dell‘analisi, “Non c’era alcuna prova… che gli autori avessero effettivamente letto l’articolo BMJ che criticavano.”

Ciò che succede ai direttori di riviste mediche la dice lunga sull’attuale tendenza nella stragrande maggioranza del giornalismo in generale, soprattutto in Italia. Si tratta di una tecnica di lobbying e velata intimidazione che ha resistito per decenni, perché molto efficace. Così Edward Said, prominente intellettuale palestinese naturalizzato statunitense, descriveva il progetto Hasbara (in ebraico “propaganda”) nato dopo il disastro di immagine arrecato dalle stragi di Sabra e Shatila del 1982: “… ciò che ha reso questa campagna così efficace è il senso di colpa di lunga data dell’occidente per l’antisemitismo. Che cosa potrebbe essere più efficiente che trasferire quel senso di colpa su un altro popolo, gli arabi, e quindi sentirsi non solo giustificati, ma positivamente alleviati che qualcosa di buono è stato fatto per un popolo tanto diffamato e danneggiato? Difendere Israele a tutti i costi – anche se sta occupando militarmente la terra palestinese, ha un potente esercito e ha ucciso e ferito palestinesi in un rapporto di quattro o cinque a uno – è l’obiettivo della propaganda. Che cioè, pur continuando a fare quello che sta facendo, possa sembrare comunque una vittima”.[13]

Israele mantiene le sue truppe militari nei territori occupati per difendere mezzo milione di coloni insediatisi illegalmente e sta da anni strangolando la popolazione della Striscia di Gaza, prigione a cielo aperto. Quando la popolazione palestinese vi si oppone e si ribella, Israele è presentato come sotto attacco. L’atteggiamento di Israele è tutt’altro che di autodifesa. Israele è l’unico paese al mondo in questo momento storico che, in violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, impiega decine di migliaia di truppe armate fino ai denti fuori dei propri confini, in un paese che non gli appartiene, al solo scopo di impossessarsi delle sue terre costringendolo a vivere sotto la forma peggiore di tirannia. Questa informazione di contesto nelle notizie dei media è inevitabilmente assente. Anche se Israele continua a uccidere civili a sangue freddo, l’intera questione è raffigurata come autodifesa. È sempre la solita, monotona storia dell’attacco palestinese e della rappresaglia israeliana.

Richard Ingrams, famoso giornalista britannico, co-fondatore della rivista satirica Private Eye, ha scritto dello storico AJP Taylor, morto nel 1990: “Anche se con grande coraggio parlava apertamente su molte questioni, tuttavia ha ammesso che in un campo era colpevole di timidezza giornalistica, se non di vigliaccheria. ‘Anni di esperienza’, ha scritto, “mi hanno insegnato che non si deve mai azzardare in alcun modo un parere sugli eventi che riguardano Israele o gli ebrei. Qualsiasi tentativo di esprimere un’opinione distaccata apre la strada a lettere, telegrammi, rimostranze personali e soprattutto telefonate. L’unica via sicura è non avere mai e poi mai alcuna opinione sul Medio Oriente’”.[14]

La Palestina è un grido di dolore dell’umanità. Pubblicare la “Lettera aperta al popolo di Gaza” su una rivista come il Lancet è segno di grande coraggio che indica come essere fedeli alla responsabilità sociale del professionista della salute comporti scelte difficili come schierarsi con il popolo di Gaza. Coloro che sostengono la neutralità in mezzo a questa catastrofe devono chiedersi come sia possibile essere neutrali davanti a case demolite, neonati crivellati di proiettili, ospedali e scuole devastate, intere famiglie di civili innocenti distrutte. Non fare nulla per impedire tutto questo equivale, in effetti, a schierarsi con il più forte.

Angelo Stefanini, Centro Salute Internazionale, Università di Bologna

Risorsa

An open letter for the people in Gaza. The Lancet 2014, Published Online July 22, 2014

Bibliografia

    1. Op-Ed: The Lancet: Anti-Israel Bias At Its Finest . Israelnationalnews.com 12.03.2012
    2. Ronn Torossian. Anti-Semitic Peer-Reviewed Medical Journal Thecuttingedgenews.com, 13.04.2012
    3. The Lancet: A Biased and Shameful Medical Journal. Algemeiner.com. 11.03.2012
    4. Anti-Israel Bias Infects Medical Journals. PJ Media.com. 04.02.2012
    5. Campaign to End The Lancet Medical Journal’s Anti-Israel Bias
    6. An open letter for the people in Gaza. The Lancet 2014, Published Online July 22, 2014
    7. David Marceddu. Gaza, su Lancet gli scienziati contro la guerra: “Crimine contro l’umanità”. Il Fatto Quotidiano, 23.07.2014
      Medici italiani e inglesi su Lancet: “Chi non denuncia l’aggressione di Israele è complice”. La Repubblica, 23.07.2014
      Maria Valerio. ‘Israel insulta a la inteligencia, la dignidad y la humanidad’. El Mundo, 27.07.2014
    8. Anti-Israel Bias Infects Medical Journals. PJ Media.com. 04.02.2012
    9. Summerfield D. Palestine: the assault on health and other war crimes. BMJ 2004;329:924.[Free Full Text]
    10. Sabbagh K. Perils of criticising Israel. BMJ 2009;338:a2066
    11. Sabbagh K. Perils of criticising Israel. BMJ 2009;338:a2066
    12. Honestreporting.com: tag/angelo-stefanini
    13. Said E. Propaganda and war. Mediamonitors.net, 31.08.2001
    14. Commentary: Standing up for free speech. BMJ 2009; 338: a2094