Lettere a Valentino Parlato su 'Israele e le nostre responsabilità'.

Israele e le nostre responsabilità
Valentino Parlato

La mia nota, sul manifesto del 24 gennaio, contro il boicottaggio alla Fiera del libro di Torino, ha provocato molte reazioni negative, tutte – schematizzo – concentrate su un punto: lo stato d’Israele perseguita i palestinesi e quindi è giusto e doveroso boicottare la sua presenza alla Fiera del libro. Le lettere sono molte. Non è possibile pubblicarle tutte e alcune ho dovuto tagliarle. Chiedo scusa e vengo alla risposta.
Innanzitutto ringrazio perché la discussione che si apre è seria e coinvolgente, e dovrebbe continuare. Certo l’attuale comportamento d’Israele porta acqua al mulino dei miei critici, ma possiamo destoricizzare la questione? Caro Michele la persecuzione degli ebrei in tutto il mondo non è un mito del recente passato.
La persecuzione è antica e noi cristiani siamo intervenuti con «il popolo deicida», responsabile della crocifissione di Gesù Cristo e poi, vado a memoria, la cacciata dalla Spagna a opera della cattolica Isabella e per ultimo (ma non definitivo) la Shoah . Insomma – penso io – che sarebbe un grave errore destoricizzare la questione ebraica e ridurla solo allo stato d’Israele, perché, peraltro, sempre a mio parere, contrasta con l’essenza dell’ebraismo, che è la diaspora. Insomma non possiamo ridurre la questione ebraica all’attuale stato d’Israele, che pure è un’espressione dell’ebraismo.
E poi – aggiungo – dovremmo sforzarci di una riflessione storica anche sui palestinesi, che – sempre a mio parere – sono gli ebrei del mondo arabo: intelligenti e perseguitati; dall’imperialismo occidentale e dalla feudalità araba. Tanto che io credo che la formula «due popoli uno stato», cioè uno stato ebreo-palestinese sarebbe la soluzione naturale, ma impossibile nel contesto dello scontro tra i poteri internazionali forti. Uno stato ebraico-palestinese (lo propone Gheddafi) sarebbe una grande innovazione di pace, ma nell’attuale contesto è impossibile.
In tutti i modi critichiamo Israele e la sua politica, ma rinunziamo all’arma del boicottaggio, che ci riporta indietro nei secoli e va contro gli scrittori israeliani che criticano aspramente in governo.
p.s. E poi se vogliamo complicare la cosa ancora di più rileggiamoci «Il problema ebraico» di Karl Marx.
Valentino Parlato

Schiavo del mito?
Caro Valentino, ti sono molto affezionato e conosci il grande rispetto che ho per il tuo lavoro. Devo però dirti che sono rimasto senza parole leggendo il tuo intervento sulla Fiera del libro. Senza offesa, mi sconvolge la banalità delle tue motivazioni. Non perché sostengono che sia sbagliato boicottare, ma per il fatto che non sono vere motivazioni. Appaiono un’artificiale difesa d’ufficio di uno stato che è ben lontano dal mito che ti affascinò 60 anni fa. Nelle ragioni che elenchi manca un filo di logica, un filo di analisi, rispetto a quello che accade sul terreno. Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Gli israeliani stanno costruendo un nuovo apartheid che tu però neghi perché non vuoi accettare una realtà che si scontra con il mito. Eppure il nostro amico Daniel Amit aveva saputo spiegarcelo in modo così chiaro. A denunciarlo da anni è anche il maestro Daniel Baremboim, che non è certo un pericoloso estremista. Gli israeliani non sono afrikaner? Vero, ma si comportano allo stesso modo. Con il cuore colmo di delusione.
Michele Giorgio

Insisti nell’errore
Caro Parlato, ho letto il tuo articolo di giovedì scorso. Mi ha colpito molto. Non posso pensare che le cose dette siano frutto di ignoranza, quindi perché? Per sostenere di essere contrario al boicottaggio dimentichi che anche associazioni democratiche israeliane lo sostengono, che è «anche» il 60.mo anniversario della Naqba palestinese (la «memoria» non è a senso unico), che un israeliano non è sempre ebreo, tra gli israeliani ci sono musulmani (molti), cristiani, drusi, atei; ci sono ebrei discriminati da altri ebrei, e è ipocrita dire che boicottare lo stato di Israele per la politica e le azioni contro i palestinesi che porta avanti è essere contro gli ebrei tout court. E cosa c’entra tirare in ballo il ghetto di Varsavia con il boicottaggio ? Non nascondiamoci dietro il dito degli scrittori di grande levatura presenti, tre dei quali portatori accondiscendenti della politica israeliana verso i palestinesi, quando la cultura del paese è molto variegata: dove sono i cosidetti nuovi storici o dissenzienti dal sionismo o gli scrittori palestinesi di Israele? Già sono discriminati in Israele e lo sono anche in Italia. Se fossero stati invitati forse avresti avuto più frecce al tuo arco. E infine, caro Parlato, non è vero che un libro va sempre rispettato, dipende da quello che trasmette e sono sicuro che anche per te molti libri non vanno rispettati. Allora ho l’impressione che usi questi argomenti solo per un pregiudizio, quello di difendere sempre e comunque il governo israeliano.
Lino Zambrano
cooperante Ong Cric Gaza

Invecchi male
L’articolo di Valentino Parlato in cui condanna quanti sono impegnati a boicottare l’edizione della Fiera del Libro (dove si vorrebbe ospite d’onore Israele) andrebbe stampato in milioni di copie e fatto girare ovunque. E’ un testo che offre molte ragioni proprio a chi vuole boicottare la Fiera. Cosa dice Parlato? Qualunque cosa abbiano o commettano, gli israeliani vanno giustificati. Non li si può condannare oltremodo perché loro, gli israeliani, hanno subito forti persecuzioni da parte dei cattolici prima e dei nazisti poi. Ora, ditemi quale uomo o donna con un minimo di senno può pensare un abominio del genere. Io credo che nemmeno i filo-israeliani che andranno alla Fiera (se rimarrà come voluto dal Comitato che gestisce l’ente, il cui capo è iscritto alla loggia P2, tessera 2095) possano prendere le parole di Parlato per recarsi a Torino senza vergogna. Il «nostro» in un sol colpo è riuscito a spazzare via le idee di Primo Levi, Franco Fortini, Luigi Pintor e infine Stefano Chiarini (che mi sembra un bel modo di ricordarlo ad un anno dalla sua morte). Inoltre ha mandato a quel paese quegli israeliani che si rifiutano di stare dalla parte dell’occupazione. Ha stracciato, infine, molti vecchi articoli della Rossanda, di se stesso… Una cosa ha dimostrato Valentino Parlato: non è sempre vero che si invecchia bene, a volte lo si fa nel peggiore dei modi, come a esempio stare dalla parte degli aguzzini contro le vittime.
Francesco Giordano

Gli ebrei non sono Israele
Caro Valentino Parlato, in relazione al tu articolo, «Un boicottaggio sbagliato», devo dire che condivido l’idea che il boicottaggio possa essere uno strumento a volte discutibile, ma non era questo il tema principale del tuo articolo. Tu sei entrato, mi sembra, proprio nel merito dell’opportunità di contestare lo stato di Israele, e non hai colto, mi sembra, quello che per molti di noi, almeno tra i lettori del manifesto, è invece una discriminante che non viene colta neppure da altri «compagni»: l’esistenza di uno stato etnico, anzi, di più, uno stato religioso. Mentre si lotta (forse non tutti) per conservare nel nostro paese almeno il principio della laicità, si accetta che esista, e lo si sostiene, uno stato basato sulla religione (quella ebraica in questo caso) come fosse la cosa più naturale del mondo, anzi, siamo disposti a sostenere che la sua esistenza difenda il diffondersi della democrazia nel mondo. Più volte nel tuo articolo confondi lo stato di Israele con l’ebraismo; cito: «riconoscere agli ebrei il diritto a avere un territorio e uno stato, era obbligatorio», «Gli israeliani – che sono sempre ebrei…», «la persecuzione del popolo ebraico» (a sostegno della necessità dell’esistenza di uno stato ebraico), «non so
lo perché gli israeliani sono ebrei e non afrikaner», tutte frasi estratte dal tuo articolo, e che, mi sembra, sostengono la necessità dell’esistenza di uno stato appunto ebraico, basato sull’appartenenza religiosa. Un assunto del genere, anche se, come dici tu condiviso dal «compagno Stalin», non lo trovo affatto condivisibile, almeno non dai «compagni» che leggono il manifesto (sono tra l’altro abbonato da vari anni). Con affetto.
Francesco Andreini

Ebraismo e sionismo
Gentile signor Parlato, lei scrive che c’è boicottaggio e boicottaggio… Si potrebbe aggiungere: c’è violenza e violenza, ci sono oppressori e oppressori. E oppressi e oppressi. Per lei, evidentemente, Israele è un oppressore autorizzato e quella israeliana una violenza doc. Perché il boicottaggio contro lo stato razzista del Sudafrica andava bene, mentre quello contro Israele, stato altrettanto razzista e basato sull’apartheid, no? Perché continuare volutamente a confondere ebraismo con sionismo e con la creazione di Israele? E’ una manipolazione, è scorretto e allontana qualsiasi giusta soluzione alla questione palestinese. E non aiuta neanche gli ebrei, confusi con le feroci scelte politiche e militari di uno degli stati più spietati del mondo.
La Redazione di www.infopal.it

Peggio per Stalin
Leggendo l’articolo di Valentino Parlato in cui si schiera contro il boicottaggio della Fiera del libro ho provato, confesso, un senso di sgomento. Sgomento che deriva in parte dal difficile momento storico che il popolo palestinese sta attraversando, stretto tra un’occupazione quanto mai feroce e una crescente indifferenza internazionale, che ci impone urgenza nello schierarci in modo netto dalla parte degli oppressi. Ma anche le argomentazioni addotte contro il boicottaggio non mi convincono. In primo luogo viene ricordato che «dopo la seconda guerra mondiale riconoscere agli ebrei il diritto di avere uno stato e un territorio era obbligatorio». Riconoscere il diritto di fondare uno stato ebraico in Palestina, in onore al vecchio testamento, non era affatto obbligatorio e si è rivelato un colossale disastro storico anche se, come ricorda Parlato, «anche Stalin fu a favore». La domanda sorge spontanea: e con ciò? La nascita dello stato di Israele non fu un risarcimento al popolo ebraico per i torti subiti durante la guerra ma il compimento di un progetto sionista studiato nei dettagli, messo in moto da Herzl alla fine dell’800 e portato avanti in modo continuo per tutta la prima metà del XX secolo. La fine della guerra e la conoscenza in Europa degli orrori dell’olocausto determinarono un clima favorevole alle risoluzioni che portano al riconoscimento di Israele. Ben diverso dall’affermare l’obbligatorietà dell’atto. Mi sembra inoltre importante sottolineare che non credo sia obiettivo del boicottaggio la cancellazione del riconoscimento di Israele da parte della comunità internazionale, semmai ricordare a Israele che le risoluzioni della stessa comunità internazionale andrebbero applicate anche quando contrarie ai propri interessi. I confini non dovrebbero essere disegnati coi mattoni su percorsi decisi dal ministro della difesa e ci sono convenzioni che si farebbe bene a rispettare. Chi è stato cacciato dalla propria casa dovrebbe poterne far ritorno così come l’esercito israeliano non dovrebbe poter arrestare delle persone nei territori occupati per poi portarle in Israele e dimenticarle in gattabuia. L’assedio medievale che costringe Gaza alla fame non dovrebbe essere permesso. Cosa c’entri la seconda guerra mondiale con tutto questo non mi è del tutto chiaro. Sicuramente c’entra tanto quanto l’aneddoto sugli ebrei del ghetto di Varsavia che cantarono l’internazionale prima di essere massacrati. Apprezzo il racconto e mi commuove intimamente, anche in virtù di mia nonna, ebrea polacca, ricordare quell’orribile massacro. Ma continuo a non trovare il nesso. Al punto crucialedell’articolo apprendo che «c’è boicottaggio e boicottaggio, quello contro i razzisti sudafricani era più che giusto» ma «Gli israeliani – che sono sempre ebrei – per quanti torti abbiano nei confronti del popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti sudafricani». E perché? Perché per quanti torti facciano, distinguendosi sulla base di un’appartenenza razziale/religiosa, a un altro popolo, non sono paragonabili agli afrikaner? Perché uno stato che ha come fondamento l’appartenenza alla stirpe di Davide, che ritiene il colonialismo un diritto concesso dalla bibbia, che riduce alla fame, alla prigionia, all’umiliazione, il popolo palestinese, non può essere paragonato al Sudafrica razzista? Sia dalla costruzione lessicale, sia da quanto segue nell’articolo, sembrerebbe che ciò che li esonera dal confronto sia proprio la loro condizione di ebrei. Infatti ci viene ricordato che «c’è la storica persecuzione del popolo ebraico, ci sono i ghetti e i campi di sterminio». E oggi ci sono i campi profughi, i check point, le carceri israeliane, l’occupazione, gli assasinii mirati e non. C’è il muro. Credo che un segnale di ripudio forte, netto, e soprattutto non isolato nel tempo contro queste politiche sia molto più importante che un qualsiasi dibattito letterario, per quanto interessante e costruttivo.
Mariano Heluani, Caserta

Boicottaggio opportuno
Raramente non mi trovo in totale e convinta sintonia con Valentino Parlato, ma il suo intervento sulle polemiche che stanno accompagnando la Fiera internazionale del libro di Torino del prossimo maggio non ha fugato tutti i miei dubbi. Non sono in grado di entrare nel merito della querelle, non conoscendo la storia e l’opera degli autori ebraici invitati alla Fiera di Torino. Mi sento però di affermare che, qualora le voci di dissenso, non dico a «questo» governo israeliano ma a tutti gli esecutivi che si sono là succeduti negli ultimi 10-15 anni, non fossero sufficientemente ospitate nella manifestazione torinese allora una qualche forma di boicottaggio sarebbe non solo tollerabile ma quantomeno auspicabile e opportuna. Se non altro per ricordare la differenza (troppo spesso dimenticata) che c’è tra oppressi e oppressori, e che quando un popolo che fu vittima si trasforma in carnefice allora non può più invocare a sua difesa i torti subiti in passato.
Enzo Lanciano

Il razzismo israeliano
Nel suo articolo di giovedì scorso, Valentino Parlato si oppone fermamente al ventilato boicottaggio della Fiera internazionale del libro di Torino che avrà Israele quale ospite d’onore. Le argomentazioni di Parlato (di cui sono un estimatore) stavolta però non convincono. Nel taglio basso di prima pagina scrive d’essere stato a favore del boicottaggio del Sudafrica, ma gli israeliani, sostiene, non sono razzisti come lo erano gli afrikaner. A me pare fuorviante stare a pesare il razzismo dell’uno o dell’altro (quando questo è un tratto comune). Sul razzismo di Israele mi limito a rinviare al saggio «Le racisme de l’Etat d’Israel» di Israel Shahak, che fu presidente della Lega dei diritti dell’uomo di Israele, e al più recente «Shalom fratello arabo» di Nathan Susan. Sugli effetti del razzismo israeliano parla ( almeno sul manifesto, per fortuna di noi lettori) la cronaca quotidiana. Il boicottaggio ha senso quando non è solo contro ma anche quando è per. Il boicottaggio del Sudafrica fu contro l’apartheid e per sostenere la lotta di liberazione dei neri, come era stato chiesto da Nelson Mandela. Il necessario boicottaggio della Fiera (ma non solo di questa) sarebbe contro Israele, che pure pratica l’apartheid, e per sostenere i diritti dei palestinesi, come chiedono quest’ultimi, (vedi l’intervista a Omar Barghouti sul manifesto del 22 gennaio scorso). Israele andrà difeso, quando opererà realmente a favore della pace, nel rispetto del diritto internazionale, e non perché gli ebrei furono trucidati nei campi concentramento. Argomentazioni di qu
esto tipo nuocciono allo stesso Israele!
E se la Fiera venisse boicottata dagli stessi Oz, Grossman, Yehoushua, dagli scrittori israeliani e ebrei che si dicono a favore dei diritti dei palestinesi, quei diritti che il loro paese continua a calpestare da sessant’anni? Se questi intellettuali (si)chiedessero: cosa mai dovremmo festeggiare? La storia, antica e moderna, è ricca di esempi di intellettuali che, coerentemente alle proprie posizioni, si sono opposti anche fino alle estreme conseguenze, a scelte, errate, e scellerate, dei propri governanti.
Gaddo Melani
Riva San Vitale Svizzera

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