Libano nel caos e tornano i venti di guerra sull’Alta Galilea

Globalist.it. Di Umberto De Giovannangeli. I venti di guerra tornano a spirare sull’Alta Galilea. Due razzi sono stati lanciati questa mattina nel Nord di Israele dal Libano, a cui l’esercito israeliano ha risposto colpendo con l’artiglieria i siti di lancio. Al momento non ci sono notizie di vittime o danni. “Due razzi sono stati sparati dal Libano verso il Nord di Israele”, riferiscono le forze armate israeliane su Twitter, “uno è stato intercettato dal sistema di difesa aereo Iron Dome e il secondo è caduto in un’area aperta all’interno di Israele”. Si tratta dei primi razzi a essere lanciati contro Israele dal Libano dal termine del conflitto con Hamas dello scorso maggio. Il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, ha definito lo Stato libanese “responsabile delle operazioni terroristiche che partono dal suo territorio”. E ha aggiunto: “Non permetteremo che la crisi sociale, economica e politica in Libano si trasformi in una minaccia alla sicurezza di Israele”. I responsabili dell’attacco sarebbero “elementi palestinesi” presenti in Libano, non l’organizzazione sciita libanese Hezbollah.

 Bennett all’attacco.

Il primo ministro Naftali Bennett, in visita alla zona colpita, ha dichiarato che coloro che cercano di danneggiare Israele pagheranno “un prezzo doloroso”, dopo che due razzi sono stati lanciati su Israele dal Libano dalla notte a martedì. Parlando in una conferenza stampa a Ma’alot-Tarshiha nel nord, Bennett ha proseguito dicendo che Israele “non permetterà a nessuno di danneggiare la sua sovranità e sicurezza. “Stiamo lavorando giorno e notte, su tutti i fronti e continueremo a farlo. Il Libano è sull’orlo del collasso, come ogni paese in cui l’Iran si sta trincerando”, ha detto Bennett.”I cittadini del Libano sono stati presi in ostaggio da [Ali] Khamenei e [Hassan] Nasrallah in favore degli interessi iraniani. Per quanto sfortunato possa essere, non accetteremo una ricaduta della crisi in Libano su Israele”, ha aggiunto il primo ministro.

Nella notte di lunedì, i media siriani hanno riferito che le difese aeree della Siria hanno intercettato un attacco israeliano sulla zona di Al-Safirah, nella campagna meridionale di Aleppo. .Un funzionario militare non identificato, citato dall’agenzia di stato siriana  Sana, ha detto che le difese aeree siriane hanno abbattuto la maggior parte dei missili nell’attacco che si è verificato poco prima di mezzanotte e che gli obiettivi sono ancora in fase di identificazione. L’Osservatorio siriano per i diritti umani con sede in Gran Bretagna, un monitor di guerra che ha attivisti sul terreno in Siria, ha detto che gli attacchi israeliani hanno preso di mira i depositi di armi che appartengono alle milizie sostenute dall’Iran che operano ad Al-Safirah. A maggio, durante il recente ciclo di combattimenti tra Israele e Hamas a Gaza, sono stati lanciati razzi dal Libano verso il nord di Israele in diversi incidenti. Non era chiaro quali gruppi fossero dietro gli sbarramenti. L’esercito israeliano ritiene che dietro i lanci ci siano gruppi palestinesi. Alcuni anni fa, i rapporti dicevano che Hamas stava cercando di organizzare reti di lancio di razzi nei campi profughi palestinesi per sparare contro Israele in caso di escalation. Una fonte della sicurezza ha detto che il gruppo militante Hezbollah, che ha influenza nel sud del Libano, non è stato coinvolto nei lanci, e che il gruppo stava cercando di determinare la fonte dei razzi.

La situazione nel Paese dei cedri è ad un passo dal collasso totale. Le difficoltà economiche aggravatesi con l’esplosione che che ha danneggiato il porto di Beirut lo scorso agosto, hanno ricevuto un colpo durissimo causato dalla pandemia di Covid. L’immobilismo della politica e il continuo rimbalzo di responsabilità fra il presidente libanese Michel Aoun e il primo ministro Saad Hariri rende ancor più complicato trovare una soluzione. Intanto gli effetti delle difficoltà sono ben visibili sulla pelle dei cittaidni. È la peggior crisi economica degli ultimi 30 anni, la moneta libanese ha perso il 90% del suo valore rendendo impossibile l’accesso ai beni di prima necessità, il 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, le scorte di farmaci sono quasi terminate.

Bancarotta politica, dramma sociale.

Alla crisi economica è legata anche quella farmaceutica. L’organizzazione degli importatori farmaceutici e dei proprietari di magazzini ha annunciato che un gran numero di farmaci essenziali è ormai terminato, chiedendo misure immediate per affrontare la crisi. Il calo delle riserve della Banca Centrale libanese in valuta estera l’ha costretta a ritardare il pagamento delle quote alla società importatrici di farmaci. Attualmente 1 dollaro è scambiato a 1.515 lire libanesi, il suo suo valore sul mercato nero ha superato le 18.000 lire.

“Le importazioni si sono quasi completamente fermate più di un mese fa“, ha affermato l’organizzazione in una nota, spiegando che alla base della crisi ci sia il ritardo dei pagamenti di 600 milioni da parte della Banca ai fornitori.  L’organizzazione ha sottolineato che l’unica soluzione a breve termine sarebbe un accordo tra il ministero della Salute pubblica e la Banca centrale sul mantenimento dei sussidi ai farmaci in base, invitando poi la Banca centrale a destinare un importo mensile all’importazione di medicinali del Libano.

Un Paese nel baratro.

La ripresa dell’azione di gruppi eterodiretti è favorita dal caos politico e istituzionale in cui versa il Paese dei cedri. Il Libano è sull’orlo di un disastro che avrà delle “ripercussioni al di fuori del Paese“. Parole drammatiche quelle del primo ministro libanese uscente Hassan Diab. Al fine di prevenire quella che sarebbe una vera e propria “esplosione sociale“, il primo ministro si è rivolto televisivamente alla comunità internazionale chiedendo aiuto. Diab, che presiedeva il governo in carica dal 4 agosto scorso, giorno della tremenda esplosione nel proto di Beirut, ha aggiunto che qualsiasi governo avrebbe bisogno del sostegno di “nazioni amiche per salvarsi dalla situazione in cui si trova attualmente“. “I libanesi sono stati pazienti e stanno portando il peso di questa lunga attesa. Ma la loro pazienza si sta esaurendo mentre la loro sofferenza aumenta“, ha spiegato Diab. Oltre il 60% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.  La lira libanese ha perso oltre il 91%del suo valore, ciò rende complicato accedere anche ai più comuni beni di prima necessità. L’insolvenza dello Stato ha generato anche una carenza di carburante che ha creato diversi danni a settori vitali come gli ospedali. Soltanto due delle quattro centrali elettriche del Libano sono attualmente in funzione con scarse forniture di carburante e la società elettrica statale, E’lectricite’ du Liban, ha avvertito che potrebbe spegnerle se le riserve di gasolio dovessero esaurirsi.

Secondo quanto ha riferito la Banca Mondiale, la recessione che vive il “Paese dei Cedri” potrebbe essere la peggiore al mondo dagli anni ’50 dell’Ottocento. Il Pil è crollato dai 55 miliardi del 2018 ai 33 del 2020 causando così un aumento dell’inflazione che si teme possa essere ancora peggiore quest’anno. Alla crisi finanziaria, si aggiunge poi quella politica. Il Libano non ha un governo da agosto, da quando cioè una esplosione al porto di Beirut ha distrutto parti della città e ha ucciso oltre 200 persone. Diab, allora, rassegnò le dimissioni, ma tuttavia resta a svolgere le funzioni di premier a interim dato che quello designato, Saad Hariri, continua a non riuscire a formare un esecutivo viste le profonde divisioni interne. Uno stallo inaccettabile considerato il dramma umano vissuto da centinaia di migliaia di libanesi a causa della grave situazione economica. Una crisi finanziaria e sociale che si protrae da tempo: già nell’aprile del 2018 una conferenza di donatori internazionale aveva stabilito per il Libano un prestito di 11 miliardi di dollari in cambio di “riforme economiche” che tuttavia non sono state ancora implementate. Beirut vorrebbe avere anche un ulteriore prestito di 10 miliardi dal Fondo Monetario Internazionale, ma per ottenerlo è necessaria prima la formazione di un nuovo governo. Proprio su quest’ultimo punto è tornato a parlare nei giorni scorsi Diab: “Collegare l’assistenza del Paese alla formazione di un nuovo governo è diventato una minaccia per la vita dei libanesi e dell’entità libanese”.

Una minaccia che rischia di far esplodere la polveriera mediorientale.